lunedì 12 settembre 2016

I figli di Dio: analisi del dodicesimo verso del Vangelo di Giovanni


Come abbiamo visto nell’undicesimo verso del suo Prologo, Giovanni descrive in senso generale la venuta del Cristo eterno nel mondo e il fatto che non è stato accolto dalla sua creazione. In senso più specifico descrive la missione di Gesù Cristo nella sua terra, Israele, e il fatto che non è stato accolto dal suo popolo. Nel dodicesimo verso vi è però un’affermazione contraria e specifica: si descrive che alcune persone, non solo appartenenti alla nazione israelita, lo hanno accolto, ossia lo hanno riconosciuto come l’unico e solo Figlio di Dio.
Vediamo il dodicesimo verso del Vangelo di Giovanni:

A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,

Vediamo la corrispondente pronuncia in greco:

hosoi de elabon auton edōken autois exousian tekna Theou genesthai tois pisteuousin eis to onoma autou

Mentre nell’undicesimo verso vi è delineato un generale ripudio del Salvatore, nel dodicesimo verso si descrive l’accettazione di Cristo da parte di differenti persone, in forma individuale. La prima parola greca che analizziamo è: “hosoi”, che viene tradotta “A quanti” o “a tutti quelli che”. Questo pronome include la totalità e l’individualità allo stesso tempo: la totalità di coloro che lo hanno accettato e l’individualità di chi lo ha accettato. La prima categoria di persone che lo hanno accettato sono coloro i quali si sono convertiti a Cristo, coloro che credono che Egli è il Figlio di Dio e che è morto in croce per i nostri peccati. Queste persone si convertono in figli di Dio.
Nel pronome “hosoi” vi è però incluso anche il concetto di “individualità”, in quanto sono le persone singole che accettano Cristo. Queste persone possono essere di qualsiasi estrazione sociale, origine o etnia. La porta sarà sempre aperta per chiunque voglia entrare. Cristo non è il Salvatore di un popolo, ma lo è di ognuno di noi nella sua intimità e individualità. E’ il Salvatore di tutti coloro i quali credono nel suo nome.
Tornando al pronome “hosoi”, non vi è nulla nel dodicesimo verso che faccia intendere che esso sia riferito solo agli ebrei. Se lo fosse, come specificato da Frederick Luis Godet (1), si sarebbero dovute aggiungere le parole “ex autoon”, ossia “di loro”, e in questo modo il verso si sarebbe letto: “ma a quanti di loro che lo hanno accolto”. Al contrario “a quanti” è incondizionale e pertanto non è riferito solo agli ebrei, ma a tutti.
Analizziamo ora la frase “a quanti però lo hanno accolto”. A volte questa frase viene tradotta con “a quanti lo hanno ricevuto”. In effetti le parole “ricevere” o accogliere”, sono molto importanti nel Vangelo. E’ evidente che Giovanni si riferiva a Gesù Cristo, il Verbo eterno, che entrò nella storia con la sua Incarnazione, nel paesello di Betlemme, in Giudea.
Cosa significa ricevere o accogliere Gesù Cristo?
Secondo Giovanni, il Cristo eterno, prima di incarnarsi nella persona umana di Gesù, era Spirito eterno, infinito, onniscente e onnipotente. Quando, di sua propria volontà, volle limitarsi in un corpo umano, non cessò di essere ciò che è stato da sempre, dall’eternità del passato: il Cristo eterno spirituale. Accogliendolo, riceviamo il suo Spirito, e in questo modo Egli occupa pienamente il nostro essere. Quando una persona riceve Cristo è pienamente cosciente di ciò, e la sua vita cambierà per sempre. E’ come se bevesse l’acqua pura e fresca di una fonte di montagna. La serenità, la pace e l’amore saranno parte di lui per tutta la vita.
Nell’undicesimo verso si utilizza la parola “parelabon” tradotta con “hanno accolto”.
Vediamo l’undicesimo verso del Vangelo di Giovanni:

Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.

Nel dodicesimo verso si utilizza la parola “elabon”, che ugualmente significa sempre “hanno accolto”, ma rispetto a “parelabon” indica una maggiore attività da parte di chi riceve.
Chi riceve lo Spirito di Cristo, riconosce Gesù Cristo come suo Re, Signore e Salvatore.
Il verbo “elabon” (hanno accolto, hanno ricevuto), è nel secondo tempo aoristo. L’aoristo anche se è tradotto al tempo passato si usa per considerare il passato, il presente e il futuro. In pratica Giovanni ci sta comunicando che ci sono persone che accolsero Gesù durante la sua missione sulla terra, altri che lo accolsero verso la fine del primo secolo, quando Giovanni scrisse il suo Vangelo, e ci saranno altri che lo accoglieranno nel futuro. La salvezza in Cristo non ha mai avuto una limitazione cronologica nel tempo, ma è una situazione personale che chiunque ha potuto vivere e sperimentare anche prima di Cristo, giacchè la sua luce eterna ha brillato da sempre.
Il processo di ricezione e accoglimento di Cristo nel cuore dell’uomo è comunque solo l’inizio di un percorso che terminerà con la completa accoglienza che Cristo ci darà nel suo regno, il Regno di Dio. Da un certo punto di vista l’uomo fa un passo credendo e accogliendo Cristo in se e Cristo poi accoglie l’uomo definitivamente nel suo Regno.
Per quale motivo Giovanni non scrisse: “a quanti lo accolsero come Salvatore”? Perché scrisse solamente: “a quanti lo accolsero”?
E’evidente che lo scopo principale della missione di Gesù Cristo sulla terra è stato quello di salvare gli esseri umani, ossia liberarli dal peccato. Lo ha fatto con la sua morte vicaria sulla croce. In pratica Gesù Cristo è morto al posto nostro sulla croce e si è sacrificato espiando così tutti i peccati e quindi perdonandoli. Vediamo a tale proposito due passaggi importanti del Vangelo di Matteo:

(20, 28):
Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti.

(26, 27-28):
Poi prese il calice, rese grazie e lo diede loro, dicendo: «Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti per il perdono dei peccati.

Però se Giovanni avesse scritto: “a quanti lo accolsero come Salvatore”, l’uomo sarebbe autorizzato ad accogliere Cristo solo per un motivo egoista ossia per salvarsi. Ma in Cristo non c’è solo la salvezza, che è comunque determinante.
In Cristo vi è anche la gioia, la letizia, l’allegria di vivere per lui, mettendo in pratica e diffondendo il Vangelo. In questo modo l’uomo sta accogliendo Cristo e si converte in un figlio di Dio.
Analizziamo ora la frase: “a quelli che credono nel suo nome”. In realtà questa frase è intimamente legata alla prima: “A quanti però lo hanno accolto”.
Le parole greche “tois pisteuousin” significano “a quelli che credono”. Il mezzo per accogliere Cristo è la fede, in quanto una persona può ricevere Cristo solo se crede in lui. A tale proposito vediamo questo passaggio della Lettera agli Efesini (2, 8):

Per grazia infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio;

Sia la Grazia che la fede sono regali di Dio affinchè noi possiamo accogliere Gesù Cristo.
Pertanto la fede è in sintonia con l’accoglienza di Cristo. Credere è ricevere e ricevere è credere. Infatti le parole greche non sono “tois pisteusasi” (ossia: a quanti hanno creduto), ma bensì: “tois pisteuousin” (ossia: a quanti credono). Oltre a ciò bisogna sottolineare che la fede non si manifesta solo una volta, ma è costante. L’Apostolo Giovanni nel suo Vangelo utilizza novantanove volte il verbo credere (pisteuein), ma nemmeno una volta utilizza il sostantivo “il credere” o “la fede” (pistis). Per quale motivo?
Giovanni non descrive mai la fede come qualcosa di astratto. Si riferisce alla fede come qualcosa che è parte del cuore umano. Colui che crede è l’uomo e colui nel quale si crede è Dio incarnato in un essere umano. Quindi nel momento che una persona crede, riceve Gesù Cristo.
Molte volte troviamo, nel Nuovo Testamento, la parola “nel nome di Cristo”. Nel greco ellenistico, l’espressione “nel nome di” era usata sia nel senso legale che in quello commerciale. A volte si diceva “depositalo a mio nome” o “per conto mio”. Anche nel senso commerciale si utilizza la frase “firmare un assegno con il proprio nome”. La persona che riceve l’assegno “ha avuto fede”, ossia “ha creduto”, che la persona che gli ha consegnato l’assegno avesse del denaro nel conto e che quel denaro fosse suo. La persona che ha ricevuto l’assegno ha avuto fede nel nome della persona che glielo ha consegnato.
La relazione con Dio si può riassumere così: Dio è Vita e Luce. L’uomo ha bisogno della salvezza, della vita eterna, ma solo attraverso la Luce eterna di Cristo, e solo credendo nel nome di Cristo, l’uomo può giungere al Padre, alla salvezza.
Giovanni ci ha descritto Cristo come il Verbo eterno, la Vita e la Luce del mondo. Solo se crediamo che Gesù Cristo è l’Incarnazione di Dio il suo nome avrà potere su di noi e i nostri peccati saranno perdonati. Se Gesù fosse stato un semplice uomo, non avrebbe potuto essere il Salvatore del mondo.
Credere nel “nome di Gesù Cristo” significa credere che lui possa compiere qualsiasi cosa, e in specialmodo significa credere che lui possa perdonare i nostri peccati, rendendoci così liberi e quindi, salvi. C’è inoltre una stretta relazione tra credere e ricevere. Credere nel nome di Cristo ci permette di riceverlo. Ciò fa si che lui si faccia “nostro”. Quante volte abbiamo ascoltato le parole “mio Dio!”. In questo modo Gesù Cristo è nostro e noi siamo “di Cristo”. Se diciamo “si”, credendo nel nome di Gesù Cristo ci convertiamo in figli di Dio e accettiamo anche che lui è morto per noi, ottenendo così la redenzione dei peccati.
A questo punto analizziamo la frase: “ha dato potere di diventare figli di Dio”. Da questa frase si evince che non tutti gli umani sono “figli di Dio”. Solo coloro che accolgono, che ricevono Gesù Cristo, diventano “figli di Dio”.
Innanzitutto questa frase significa che siccome l’uomo può diventare figlio di Dio, anteriormente alla sua conversione, non lo era.
Molte persone oggi credono che tutti gli esseri umani siano “figli di Dio”. Arrivano a questa conclusione errata in quanto pensano che siccome Dio è il Creatore, tutti dovremmo essere suoi figli. Invece il Vangelo di Giovanni è chiaro: siamo tutti creature di Dio, ma non tutti siamo “figli di Dio”. L’uomo fu creato inizialmente ad immagine e somiglianza di Dio, però ha deciso di seguire Satana e non obbedire al suo Creatore. Pertanto l’uomo ha preferito convertirsi in figlio del male, piuttosto che in “figlio di Dio”.
Vi sono altri passaggi del Vangelo di Giovanni dove si evidenziano questi concetti, vediamone due:
Nella seconda parte del verso (8, 41) gli interlocutori di Gesù dicono:

“Gli risposero allora: «Noi non siamo nati da prostituzione; abbiamo un solo padre: Dio!»

E Gesù afferma, nel verso (8, 44):

Voi avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli era omicida fin da principio e non stava saldo nella verità, perché in lui non c’è verità. Quando dice il falso, dice ciò che è suo, perché è menzognero e padre della menzogna.

Pertanto se l’uomo resta nel peccato e nella disobbedienza non è un “figlio di Dio”, ma è bensì un “figlio di satana”.
Il secondo insegnamento che si può trarre dalla frase “ha dato potere di diventare figli di Dio”, è che qualsiasi persona, anche se ha vissuto molti anni nel peccato, nell’errore e nelle tenebre, può ricevere Cristo e può essere accolto da Dio come figlio.
Ovviamente, come spiegato anteriormente, per poter ricevere, deve credere.
Il verbo utilizzato è edōken (ha dato), che appare nel tempo aoristo. Anche se l’uomo ha voltato le spalle a Dio, Dio, con Cristo, gli ha dato la possibilità di redimersi. Dopo che l’uomo ha lasciato la casa del Padre, Dio non ha mai chiuso la porta, ma l’ha lasciata aperta in modo che l’uomo possa avere l’opzione di tornare.
Torniamo ora ad analizzare la parola edōken (ossia: ha dato). Questa parola deriva dalla stessa radice delle parole dosis e dooron, che significa “regalo”. Pertanto la frase “ha dato”, implica la nozione di dare con generosità e senza costo alcuno. L’attitudine di Dio verso di noi e verso il nostro stato peccaminoso è generosa. Non importa quale sia stato il nostro peccato. Può anche essere stato un peccato grave, ma la Grazia di Dio è più che sufficiente per “coprirlo”, “espiarlo”.
La parola edōken viene utilizzata anche nel verso (3, 16) del Vangelo di Giovanni:

Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.

Il fatto che la Grazia di Dio è senza costo, significa che noi non dobbiamo “pagare” nulla. Il prezzo del nostro peccato è già stato pagato da Dio mediante il sacrificio di suo Figlio, Gesù Cristo, con la sua morte in croce. Vediamo a tale proposito questo passaggio della Lettera ai Romani (6, 23):

Perché il salario del peccato è la morte; ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore.

La parola exousian viene tradotta con “potere”. Questo sostantivo deriva dal verbo exesti che significa “è permesso”. Pertanto exousian si riferisce al permesso, al diritto, alla libertà e al potere di convertirsi in “figli di Dio”. Nel permesso che Dio da all’uomo di diventare suo figlio, è inclusa anche la capacità di potersi convertire. Questo “permesso” o “diritto”, si ottiene per Grazia per mezzo della fede (Lettera agli Efesini 2, 8).
Exousian è pertanto “diritto” e “potere”. All’uomo viene dato il diritto e il potere di convertirsi in qualcuno che non era. Il “figlio di Dio” è pertanto “una persona nuova”.
Non è che per essere cristiani dobbiamo fare determinati atti. Ma bensì quando diveniamo cristiani, quando ci convertiamo in “figli di Dio”, istintivamente realizziamo atti cristiani (opere buone). Il verbo utilizzato è genesthai (diventare, essere fatti), e non deve essere interpretato come se l’uomo potesse convertirsi di sua volontà. E’ Dio che da questa capacità, questo potere, come si evince anche dal tredicesimo verso.
Genesthai è l’infinitivo del secondo tempo aoristo e si riferisce a due cose.
La prima è il fatto definitivo del cambiamento che si è attuato nella persona convertita che diventa “figlio di Dio”. La seconda implica un fine: quando qualcuno si converte in “figlio di Dio” non è come ottenere qualcosa che poi si può perdere. E’ ovvio che per alcuni il cambio di paradigma non è istantaneo, ma è un processo lento che da comunque la salvezza.
Una volta che una persona si converte in “figlio di Dio”, non può tornare indietro. Non può “perdere la fede”. Può tornare a peccare ma, se la conversione era reale, tornerà sempre a Cristo.
Un terzo punto da analizzare del verbo “genesthai” è il fatto che la conversione non può ripetersi. Succede una volta e per sempre. Una persona non può convertirsi in figlio di Dio molte volte nella sua vita.
Pertanto i convertiti in Cristo sono nati due volte: la prima físicamente, e la seconda spiritualmente, come specificato nel Vangelo di Giovanni (3, 5):

Rispose Gesù: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio.

C’è una splendida armonia tra “genesthai” e il sostantivo tekna (figli). Tekna deriva dal verbo tiktein che significa generare, dare alla luce. Pertanto, quando crediamo in Gesù Cristo siamo creature nuove. Vediamo a tale proposito il seguente passaggio della Seconda Lettera ai Corinzi (5, 17):

Tanto che, se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove.

Da notare che il Signore Gesù Cristo non viene mai chiamato “teknon Theou”, ossia “un figlio di Dio”, ma sempre “ho huios tou Theou”, ossia: “il Figlio di Dio”. O altre volte volte viene chiamato “ho huioss ton anthroopon”, ossia “il Figlio dell’Uomo”. Questo perché la parola teknon (figlio) non si applica a Gesù Cristo in quanto il Padre non ha mai creato o dato alla luce il Figlio. Se così fosse il Figlio non sarebbe Dio, consustanziale al Padre, ma sarebbe un essere creato e quindi minore. Ma ciò contraddirebbe il primo verso del Vangelo di Giovanni:

In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.

Nella seconda frase del primo verso: “e il Verbo era presso Dio”, notiamo che il Verbo era in eterna comunione con Dio Padre da sempre, dall’eternità.
Teknon (figlio) indica derivazione, mentre “huios” indica “eterna comunione” o “perfetta relazione”.
In ultima analisi, quando una persona si converte in “figlio di Dio”, vi è l’ingresso della natura divina nella persona umana. La parola teknon indica inoltre la delicatezza e l’amore con i quali il Padre tratta i suoi figli.
Giovanni ci vuole comunicare che credendo e convertendoci in “figli di Dio”, non solo otteniamo la salvezza, ma siamo anche amati profondamente da Dio. Arriviamo così a sentire che realmente Dio è nostro Padre.

Yuri Leveratto
Copyright 2016

Nota:
1-Frederick Luis Godet, Commenti sul Vangelo di Giovanni, Grand Rapids, Zondervan, pag. 164.

2 commenti:

  1. Gv.1:1 fa intendere che il Verbo è Dio. Come mi spieghi Apoc.3:14 che dice, alla fine, che l'Amen (quindi Gesù) è "il principio della creazione di Dio?"

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    1. Grazie per il tuo commento. Giovanni già nel suo Prologo (1, 3) ci ha comunicato che il Creatore è Il Verbo nel suo stato pre-incarnato (Gesù Cristo). Nel passaggio da te indicato Giovanni ce lo ribadisce, sostenendo che Gesù Cristo è l'origine, la prima fonte della Creazione (che è sua, essendo lui Dio, co-eterno con Dio Padre).

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