sabato 10 dicembre 2016

Paolo di Tarso ha divulgato la piena Divinità di Gesù Cristo



Alcune persone pensano che la Divinità di Gesù Cristo sia un concetto espresso solamente nel Vangelo di Giovanni. Vi sono però altri libri del Nuovo Testamento dove si proclama la piena Divinità di Gesù Cristo. Innanzitutto il Vangelo di Matteo (1), che secondo vari studiosi risulta essere il primo libro scritto del Nuovo Testamento (2). Anche dalle lettere paoline si evince la piena Divinità di Gesù Cristo.
L’Apostolo dei Gentili aveva chiarissimo il concetto di Divinità di Gesù Cristo, e si evince da numerosi passaggi delle sue Lettere: 
Innanzitutto vediamo un passaggio importante della Lettera ai Filippesi dell’Apostolo Paolo, (2, 3-11): 

Non fate niente per ambizione ne per vanagloria, ma con umiltà ritenete gli altri migliori di voi; non mirando ciascuno ai propri interessi, ma anche a quelli degli altri. Coltivate in voi questi sentimenti che furono anche in Cristo Gesù: 
il quale, essendo per natura Dio, 
non stimò un bene irrinunciabile 
l’essere uguale a Dio
ma annichilì se stesso
prendendo natura di servo,
diventando simile agli uomini; 
e apparso in forma umana
si umiliò facendosi obbediente
fino alla morte
e alla morte in croce.
Per questo Dio lo ha sopraesaltato
ed insignito di quel nome,
affinché, nel nome di Gesù,
si pieghi ogni ginocchio
degli esseri celesti
dei terrestri e dei sotterranei
e in ogni lingua proclami,
che Gesù Cristo è Signore
a gloria di Dio Padre. 

Analizzando questo importante brano ritmico, vediamo che, al sesto passo Paolo scrive: “il quale, essendo per natura Dio”. Quindi Paolo scrive chiaramente che Gesù è Dio, per natura. Inoltre nell’undicesimo passo scrive: “e in ogni lingua proclami, che Gesù Cristo è Signore a gloria di Dio Padre”. Paolo non scrive “Dio”, ma bensì “Dio Padre”. Così facendo, ricollegandosi al sesto passo, certifica la Divinità del Figlio. 

Quindi vediamo il versetto della Lettera ai Colossesi (2, 9), in lingua greca: 

ὅτι ἐν αὐτῷ κατοικεῖ πᾶν τὸ πλήρωμα τῆς θεότητος σωματικῶς, 

che tradotto nella King James del 1611 d.C. è: “For in him dwelleth all the fulness of the Godhead bodily”. E in italiano: 

È in lui che dimora corporalmente tutta la pienezza della divinità”. 

Paolo afferma che in Cristo si ha “tutta la pienezza della divinità”, cioè l'essenza divina. Cristo è Dio. Egli, in quanto Persona, si distingue dal Padre per la relazione che ha con il Padre essendo lui il Figlio Unigenito, ma una sola è l'essenza. Tutta la pienezza della divinità “abita corporalmente” in lui, cioè non per via di semplice azione della divinità su di un corpo umano, ma per l'unione ipostatica delle due nature, quella divina e quella umana. In Cristo vi sono due nature, non mescolate tra di loro, nell'unica Persona che è quella divina. In Dio si hanno tre Persone uguali e distinte nell'unica essenza. Dio è Trinità.

Vi sono poi altri passaggi di Paolo di Tarso dove si afferma la piena Divinità di Gesù Cristo. 

Per esempio la Prima Lettera a Timoteo 3, 16, (Versione Diodati)

Senza alcun dubbio, infatti, è grande il mistero della pietà:
Dio si è manifestato nella carne
Fu giustificato nello spirito
Apparve agli angeli
Fu predicato alle nazioni
Fu creduto nel mondo
Fu assunto nella gloria

Mentre nel Textus Receptus è scritto “Dio si è manifestato nella carne”, nelle edizioni San Paolo, derivate dalla Vulgata è scritto “Colui che fu manifestato nella carne”. (3)

Analizziamo nuovamente un passaggio della Lettera ai Romani (9, 4-5)

Essi sono Israeliti, loro è l’adozione a figli, la gloria le alleanze, a loro è stata data la legge, il culto le promesse, i patriarchi, da loro proviene Cristo secondo la sua natura umana, egli che domina tutto è Dio, Benedetto nei secoli, amen.

In questo passaggio è chiaro che Paolo sosteneva la piena Divinità del Figlio.

Vediamo questo ultimo passaggio di Paolo di Tarso, nella Lettera a Tito, (2, 13):

nell'attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore Gesù Cristo 

Ovviamente il fatto che Paolo credesse e divulgasse la piena Divinità di Gesù Cristo si evince anche dalla Prima Lettera ai Corinzi cap. 15, dove si descrive la Risurrezione. 
Nella Risurrezione Gesù Cristo ha vinto la morte e ha dimostrato il suo potere su di essa. Solo Dio stesso, che ha creato l’universo, ha il potere di vincere il peccato e la morte. Senza Risurrezione, come scrive Paolo, la fede in Cristo sarebbe inutile. Tutte le altre religioni sono state fondate da uomini e profeti, la cui fine è stata la tomba. Ma solo nella religione cristiana Dio si è incarnato in un essere umano, che è venuto sulla terra (Giovanni 1, 11), con lo scopo di “togliere il peccato del mondo” (Giovanni 1, 29), vincere il peccato e la morte, fatto attestato dalla Risurrezione. 
E tutto questo Paolo di Tarso lo ha sancito chiaramente, fino alle estreme conseguenze, ossia fino al martirio (4).

Yuri Leveratto
Copyright 2016

Immagine: Andrej Rublev, Icona di Paolo di Tarso, 1407

Note:
1-Per esempio nei passaggi del Vangelo di Matteo (26, 64) e (28, 19). 
2-L'esegeta Francesco Spadafora sostiene che le lettera ai Tessalonicesi composte nel 50-51 dipendono dal Vangelo di Matteo ( Francesco Spadafora, L'escatologia di san Paolo, Ed. Studium, 1957). Il biblista Bernard Orchard data il Vangelo di Matteo tra il 45 e il 50 (J. B. Orchard, Thessalonians and the Synoptic Gospels, Bib 19 1938). Inoltre lo storico Gerarde Garitte riporta che due codici georgiani del X e XI secolo riferiscono la notizia che il vangelo secondo Matteo fu scritto otto anni dopo l'Ascensione di Gesù, il vangelo di Marco 11 anni dopo, Luca 15 anni dopo e Giovanni 32 anni dopo. (G. Garitte, Catalogue des manuscrits géorgiens littéraires du Mont Sinaï, Louvain, 1956.) Per finire Jean Carmignac propone una datazione originale dell'originale ebraico del Vangelo di Matteo intorno al 45 e la traduzione al greco nel 50. (J. Carmignac, Nascita dei Vangeli sinottici, San Paolo, Cinisello Balsamo, 1986).
3- Negli antichi manoscritti, i nomi sacri di Dio, Cristo, lo Spirito, ecc., erano abbreviati. L’abbreviazione greca per “Dio” sembra esattamente iguale alla parola “Chi”, eccetto che ha un breve trattino orrizontale che segna la differenza tra una theta e una omicron, e un altro trattino sulla parola da mostrare che si tratta di un’abbreviazione. I manoscritti hanno differenti letture: “Dio” (Textus receptus), “Chi”, e Colui che”. In ogni caso anche la dicitura “Colui che si manifestò nella carne”, indica l’incarnazione del Verbo, ossia Dio, in una persona umana. Infatti Paolo di Tarso non avrebbe scritto “colui che si manifestò nella carne” riferendosi ad un semplice uomo, giacché un semplice uomo è sempre in carne e ossa. 
4-Ecco alcune fonti storiche sul martirio di Paolo di Tarso: 
Lettera di Ignazio di Antiochia agli Efesini (110 AD)

XII. So chi sono e a chi scrivo. Io sono un condannato, voi avete ottenuto misericordia. Io in pericolo, voi al sicuro. Voi siete la strada per quelli che s'innalzano a Dio. Gli iniziati di Paolo che si è santificato, ha reso testimonianza ed è degno di essere chiamato beato. Possa io stare sulle sue orme per raggiungere Dio; in un'intera sua lettera si ricorda di voi in Gesù Cristo.

Lettera ai Romani di Dionigi, vescovo di Corinto (166-174 AD), in Eusebio di Cesarea - Storia Ecclesiastica 25-8

Con una tale ammonizione voi avete fuso le piantagioni di Roma e di Corinto, fatte da Pietro e da Paolo, giacchè entrambi insegnarono insieme nella nostra Corinto e noi ne siamo i frutti, e ugualmente, dopo aver insegnato insieme anche in Italia, subirono il martirio nello stesso tempo”

Tertulliano –Prescrizione contro le eresie (200 AD)

Come felice è la sua chiesa, su cui gli apostoli riversano tutta la loro dottrina insieme con il loro sangue! Dove Pietro subisce la passione come il suo Signore! Dove Paolo vince la corona in una morte simile a quella di Giovanni, dove l'apostolo Giovanni fu immerso, illeso, in olio bollente, e quindi rimandato in esilio nella sua isola! Vedete ciò che ha imparato, ciò che ha insegnato, e quello che ha avuto comunione con le nostre chiese in Africa!

Lattanzio, De Mortibus Persecutorum (318 AD)

I suoi apostoli erano allora undici di numero, al quale sono stati aggiunti Mattia, al posto del traditore Giuda, e poi Paolo. Poi si dispersero per tutta la terra a predicare il Vangelo, come il Signore loro Maestro gli aveva ordinato; e durante venticinque anni, e fino all'inizio del regno di Nerone, si occuparono di gettare le fondamenta della Chiesa in ogni provincia e città. E mentre Nerone regnava, l'apostolo Pietro è venuto a Roma, e, attraverso la potenza di Dio che gli fu affidata, fece certi miracoli e, convertendo molti alla vera religione, costruì un tempio fedele e saldo al Signore. Quando Nerone sentì parlare di queste cose, e osservò che non solo a Roma, ma in ogni altro luogo, una grande moltitudine di persone abbandonava ogni giorno il culto degli idoli, e, condannando le loro vecchie abitudini, si avvicinava alla nuova religione, lui, un esecrabile e pernicioso tiranno, decise di radere al suolo il tempio celeste e distruggere la vera fede. Fu lui che per primo ha perseguitato i servi di Dio; lui ha crocifisso Pietro e ha fatto uccidere Paolo.

Vi sono poi altre fonti sul martirio di Paolo, come la Lettera ai Filippesi di Policarpo e la Storia Ecclesiastica Eusebio di Cesarea, Libro II cap. 25 5-7

giovedì 8 dicembre 2016

La morte vicaria di Gesù Cristo


Da un punto di vista storico possiamo affermare che i seguaci di Cristo, quindi gli Apostoli, gli Evangelisti, e i primi cristiani, credevano che Gesù Cristo è il Figlio di Dio, e credevano nella sua doppia natura, ossia vero Dio e vero uomo. I seguaci di Cristo hanno divulgato, oltre alla sua nascita da una vergine, due fatti fondamentali: la sua morte vicaria e la sua Risurrezione. Questi due fatti sono gli eventi fondamentali del Cristianesimo.
Secondo i seguaci di Gesù Cristo, egli, morendo in croce, ha espiato tutti i peccati del mondo, e quindi è stato realmente “l’Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo” (Giovanni 1, 29). A tale proposito vediamo alcuni passaggi neo-testamentari: 

Vangelo di Matteo (26, 27-28):

Poi prese il calice, rese grazie e lo diede loro, dicendo: «Bevetene tutti, perchè questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti per il perdono dei peccati.

Ed ecco quello che predicava Pietro davanti ai capi del popolo e agli anziani, Atti degli Apostoli (4, 8-12):

Allora Pietro, colmato di Spirito Santo, disse loro: «Capi del popolo e anziani, visto che oggi veniamo interrogati sul beneficio recato a un uomo infermo, e cioè per mezzo di chi egli sia stato salvato, sia noto a tutti voi e a tutto il popolo d’Israele: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi risanato. Questo Gesù è la pietra, che è stata scartata da voi, costruttori, e che è diventata la pietra d’angolo. In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati»

Ecco due passaggi del Vangelo di Luca 
(19, 10):

Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».

(22, 19-20):

Poi prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: «Questo è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me». E, dopo aver cenato, fece lo stesso con il calice dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che è versato per voi».

Vediamo ora un passaggio importante della Prima Lettera ai Corinzi (15, 1-8):

Vi proclamo poi, fratelli, il Vangelo che vi ho annunciato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi e dal quale siete salvati, se lo mantenete come ve l’ho annunciato. A meno che non abbiate creduto invano!
A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè
che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture
e che fu sepolto
e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture
e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici.
In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto.

Vediamo ora il passaggio già citato del Vangelo di Giovanni (1, 29):

Il giorno dopo, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!

E’ evidente pertanto che già poco tempo dopo la vita terrena di Gesù, i primi cristiani credevano che Gesù, morendo sulla croce, avesse espiato tutti i peccati. 
Il significato principale della morte vicaria di Cristo è la sostituzione (si utilizza la parola greca “anti” ossia: “al posto di”). Semplicemente, ciò significa che Cristo è morto al posto di tutti i peccatori. Nel passaggio seguente del Vangelo di Matteo si sostiene infatti che la sua morte sarebbe servita a riscattare molti, Vangelo di Matteo (20, 28):

Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

Altre volte si utilizza la parola “huper”, che significa “a favore di” o “al posto di”. Per esempio nella Seconda Lettera ai Corinzi (5, 21): 

Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perchè in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio.

Inoltre la morte vicaria di Gesù Cristo ha fornito la redenzione dal peccato
Vi sono tre vocaboli importanti per descrivere questo concetto. Il primo vocavolo è “Comprare” o “pagare un prezzo per qualcosa”. (per esempio viene utilizzato in Matteo 13, 44). 
Il secondo vocabolo è lo stesso vocabolo che si può tradurre con “pagare un prezzo per qualcosa” ma rinforzato dal suffisso ek che significa “tirare fuori”. Ciò per significare che la morte di Cristo non solo servì a pagare il prezzo del peccato, ma ci tirò fuori dalla schiavitù del peccato. 
Il terzo vocabolo può essere tradotto con “rilasciare”, nel senso che la persona che ha accettato il sacrificio di Cristo sulla croce è stata “rilasciata”, ossia è divenuta libera, libera dal peccato. La base di questa liberazione è il sangue di Cristo (Lettera agli ebrei 9, 12), e il risultato è la purificazione di un popolo puro che appartenga a lui, infatti ecco il passaggio corrispondente: Lettera di Tito (2, 14):

Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sè un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone.

Pertanto la dottrina della redenzione indica che a causa dello spargimento del sangue di Cristo, i credenti sono stati salvati, e allontanati per sempre dalla schiavitù del peccato. 
Un altro effetto della morte di Cristo è la riconciliazione dell’uomo con Dio. Quando l’uomo accoglie il sacrificio di Cristo sulla croce si riconcilia con il Padre e quindi può salvarsi. A tale proposito questo passaggio della Seconda Lettera ai Corinzi (5, 19): 

Era Dio infatti che riconciliava a sè il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione.

Un altro effetto della morte di Cristo è la propiziazione. Normalmente il concetto di propiziazione si riferisce al concetto di placare Dio o soddisfare le sue esigenze. Però perchè l’ira di Dio dovrebbe essere placata? Semplicemente perchè Dio è adirato con l’umanità a causa del peccato. Il concetto dell’ira di Dio appare in molti passaggi neotestamentari per esempio nel Vangelo di Marco (14, 21): 

Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo, dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!».

O nella Lettera ai Romani (1, 18):

Infatti l’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia, 

L’ira di Dio non è solo il risultato della legge di causa ed effetto, ossia ira dovuta al peccato, ma deve intendersi come l’intervento e l’interesse personale di Dio nelle faccende umane. Secondo Giovanni l’opera propiziatoria di Cristo è rivolta al mondo intero. Vediamo a tale proposito questa citazione della Prima Lettera a Giovanni (2, 2):

È lui la vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo.

Un altro effetto della morte di Cristo è la condanna della natura peccaminosa. In pratica la sua morte ha reso inoperoso il dominio del peccato che si annida nella nostra natura umana. Vediamo a tale proposito questo passaggio della Lettera ai Romani: (6, 1-10):

Che diremo dunque? Rimaniamo nel peccato perchè abbondi la grazia? È assurdo! Noi, che già siamo morti al peccato, come potremo ancora vivere in esso? O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinchè, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se infatti siamo stati intimamente uniti a lui a somiglianza della sua morte, lo saremo anche a somiglianza della sua risurrezione. Lo sappiamo: l’uomo vecchio che è in noi è stato crocifisso con lui, affinchè fosse reso inefficace questo corpo di peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato. Infatti chi è morto, è liberato dal peccato.
Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo, risorto dai morti, non muore più; la morte non ha più potere su di lui. Infatti egli morì, e morì per il peccato una volta per tutte; ora invece vive, e vive per Dio.

Naturalmente in questo passaggio Paolo di Tarso intendeva il battesimo nello Spirito Santo. Pertanto la crocifissione del cristiano con Cristo significa la fine del dominio del peccato nella sua vita. In ogni caso ciò non significa che il peccato termini di esistere nel cristiano rinato, ma non è più dominante. 
La morte di Cristo ha inoltre posto fine alla legge mosaica come si può notare in questi due passaggi neotestamentari: 

Lettera ai Romani 10, 4): 

Ora, il termine della Legge è Cristo, perchè la giustizia sia data a chiunque crede.

Lettera ai Colossesi (2, 13-14):

Con lui Dio ha dato vita anche a voi, che eravate morti a causa delle colpe e della non circoncisione della vostra carne, perdonandoci tutte le colpe e annullando il documento scritto contro di noi che, con le prescrizioni, ci era contrario: lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce. 

La Legge non poteva giustificare il peccatore, come vediamo nella Lettera ai Romani (3, 20): 

Infatti in base alle opere della Legge nessun vivente sarà giustificato davanti a Dio, perchè per mezzo della Legge si ha conoscenza del peccato.

La legge poteva mostrare all’uomo la necessità della redenzione, ma non poteva offrire la redenzione. Ciò si evince dalla Lettera ai Galati (3, 23-25):

Ma prima che venisse la fede, noi eravamo custoditi e rinchiusi sotto la Legge, in attesa della fede che doveva essere rivelata. Così la Legge è stata per noi un pedagogo, fino a Cristo, perchè fossimo giustificati per la fede. Sopraggiunta la fede, non siamo più sotto un pedagogo. 

Secondo gli Apostoli fu la morte di Cristo ad offrire all’uomo la possibilità di essere giustificati mediante la fede in lui. 
Però vi sono porzioni della Legge mosaica che si ripetono nel Nuovo Testamento, con il fine della santificazione del credente. In realtà nove dei dieci comandamenti sono ripetuti. Bisogna distinguere tra il codice e i comandamenti contenuti nel codice. Come codice la Legge si è abolita. Mentre il codice attualmente vigente è la Legge di Cristo (Lettera ai Galati 6, 2): 

Portate i pesi gli uni degli altri: così adempirete la legge di Cristo. 

o Legge dello Spirito che da vita: (Letetra ai Romani 8, 2):

Perchè la legge dello Spirito, che dà vita in Cristo Gesù, ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte. 

Il rispetto assoluto dei dieci comandamenti non è sufficente per la salvezza. Al contrario, chi ha accettato Gesù Cristo nel suo cuore, naturalmente rispetterà i dieci comandamenti.
In altre parole non è il rispetto dei dieci comandamenti che porta l’uomo alla salvezza, ma è la fede che Gesù Cristo sia morto per i nostri peccati che porta l’uomo alla salvezza. Infatti anche se una persona rispettasse alla lettera i dieci comandamenti sarebbe sempre un peccatore. Non potrà salvarsi “da solo”, ne con azioni di riparazione dei suoi peccati (il peccato resta), ne con azioni buone tese a compensare il peccato. Solo accettando la Grazia data da Gesù Cristo, per mezzo della fede, l’uomo può salvarsi. Infatti vediamo questi due passaggi neo-testamentari: 

Lettera ai Galati (3, 13): 

Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della Legge, diventando lui stesso maledizione per noi, poichè sta scritto: Maledetto chi è appeso al legno, 

Lettera ai Romani (8, 1): 

Ora, dunque, non c’è nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù.

Pertanto Gesù si è caricato dei nostri peccati e se accogliamo il suo sacrificio ci liberiamo dal potere di condanna della Legge, senza violarla, perchè in Cristo troviamo il compimento della Legge morale di Dio. 
L’ultimo effetto della morte di Cristo è la base per la quale il credente possa essere lavato dei suoi peccati. Il sangue di Cristo è la base della costante purificazione dei credenti. A tale propòsito vediamo la Prima Lettera di Giovanni (1, 7): 

Ma se camminiamo nella luce, come egli è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri, e il sangue di Gesù, il Figlio suo, ci purifica da ogni peccato.

Ora passiamo ad analizzare alcuni benefici della morte vicaria di Cristo e dell’accettazione di questo concetto da parte del credente. 
Innanzitutto il credente viene giustificato cioè viene reso accettabile davanti a Dio. A tale proposito vediamo alcuni passaggi del Nuovo Testamento: 

Redenzione e giustificazione: Lettera ai Romani (3, 23-24):

perchè tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, per mezzo della redenzione che è in Cristo Gesù. 

Riconciliazione: Seconda Lettera ai Corinzi (5, 19-21):

Era Dio infatti che riconciliava a sè il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perchè in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio.

Perdono: Lettera ai Romani (3, 25): 

È lui che Dio ha stabilito apertamente come strumento di espiazione, per mezzo della fede, nel suo sangue, a manifestazione della sua giustizia per la remissione dei peccati passati 

Liberazione: Lettera ai Colossesi (1, 12-13):

ringraziate con gioia il Padre che vi ha resi capaci di partecipare alla sorte dei santi nella luce. È lui che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore,

L’accettazione nell’Amato: Lettera agli Efesini (1, 6):

a lode dello splendore della sua grazia,
di cui ci ha gratificati nel Figlio amato.

La sicurezza della glorificazione futura: Lettera ai Romani (8, 30):

quelli poi che ha predestinato, li ha anche chiamati; quelli che ha chiamato, li ha anche giustificati; quelli che ha giustificato, li ha anche glorificati.

Giustificare significa dichiarare giusto. E’ un termine giudiziale che si riferisce al fatto che il verdetto di assoluzione è stato pronunciato, e ha escluso ogni possibile condanna. La giustificazione non potrebbe essere basata sulle opere, in quanto Dio richiede perfetta obbedienza la quale è impossibile all’uomo. In quest’ottica la perfetta santità di Cristo nel compimento della Legge e la sua morte espiatoria sono le basi per la giustificazione del credente. Vediamo a tale proposito un altro passaggio della Lettera ai Romani (5, 8-10): 

Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. A maggior ragione ora, giustificati nel suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui. Se infatti, quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più, ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita.

Il mezzo per raggiungere la gisutificazione è la fede (Lettera ai Romani 3, 22, 25, 28, 30). La fede è il mezzo attraverso il quale la Grazia di Dio imputa al peccatore credente la giustizia di Cristo. 

Dopo la giustificazione il credente diventa “figlio di Dio”, e quindi viene adottato come “figlio”. Inizia una relazione speciale tra lui e il Padre, una relazione filiale. 

Un’altro beneficio della morte vicaria di Cristo è la santificazione del credente. La parola santificazione viene dal ebraico qados ossia “eletto da Dio”, “distinto”, “differenziato”. 
Innanzitutto il credente è stato santificato, separato da i non giustificati. Vediamo questo passaggio della Prima Lettera ai Corinzi (6, 11):

E tali eravate alcuni di voi! Ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio.

In secondo luogo il credente proprio perchè è stato santificato, approffondirà e mettera in pratica sempre più la sua posizione. Vediamo questo passaggio della Prima Lettera di Pietro  (1, 16):

Poichè sta scritto: Sarete santi, perchè io sono santo.

Vi è naturalmente una futura e perfetta santificazione: quando vedremo Cristo faccia a faccia e inizieremo a essere simili a Lui, come specificato nella Prima Lettera di Giovanni (3, 1-3):

Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perchè non ha conosciuto lui. Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perchè lo vedremo così come egli è.

Questa è la definitiva e futura santificazione quando i credenti in Cristo usciranno dai sepolcri con un corpo glorificato, come spiegato in questi due passaggi neo-testamentari:

Lettera agli Efesini (5, 26-27):

E voi, mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola con il lavacro dell’acqua mediante la parola, e per presentare a se stesso la Chiesa tutta gloriosa, senza macchia nè ruga o alcunchè di simile, ma santa e immacolata. 

Lettera di Giuda, (24-25):

A colui che può preservarvi da ogni caduta e farvi comparire davanti alla sua gloria senza difetti e colmi di gioia, all’unico Dio, nostro salvatore, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore, gloria, maestà, forza e potenza prima di ogni tempo, ora e per sempre. Amen.


Yuri Leveratto
Bibliografia: Significato della salvezza e benedizioni che provvede. Charles Ryrie. Commenti alla Bibbia (versione Reina Valera).

sabato 3 dicembre 2016

L’Unigenito Figlio ha fatto conoscere Dio: analisi del diciottesimo verso del Vangelo di Giovanni


Come abbiamo visto il proposito dei primi diciotto versi del Vangelo di Giovanni è stato quello di dimostrare la pre-esistenza, quindi la piena Divinità, di Gesù Cristo. I versi fondamentali del Prologo sono il primo e il quattordicesimo.
Nel primo verso Giovanni dichiara che il Verbo (Gesù Cristo), era pre-esistente con Dio Padre fin dal principio, ossia “da sempre”, e dichiara che il Verbo è Dio.
Nel quattordicesimo verso si indica l’Incarnazione di Dio nella persona di Gesù Cristo. Con le parole “E il Verbo si fece carne”, Giovanni vuole esprimere il momento fondamentale della storia dell’umanità, ossia Dio che si fa uomo, per venire a salvare l’uomo. Tuttavia anche il diciottesimo verso è molto importante per comprendere chi era veramente Gesù Cristo e perché solo attraverso di lui possiamo conoscere il Padre. Vediamolo:

Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.

Vediamo la corrispondente pronuncia in greco:

Theon oudeis heōraken pōpote monogenēs Theos ho ōn eis ton kolpon tou Patros ekeinos exēgēsato

Dalla frase “Dio, nessuno lo ha mai visto”, si evince che nessuno ha mai potuto vedere Dio nella sua completezza. E’ vero che Dio si è manifestato varie volte a Mosè, ma ne il profeta biblico, ne altri profeti hanno mai potuto vedere realmente Dio nella sua pienezza.
La seconda frase del diciottesimo verso ci indica invece che qualcuno, ossia il Figlio unigenito, ha reso Dio visibile.
Torniamo però alla prima frase: “Dio, nessuno lo ha mai visto”. Da questa frase si evince che Dio è spirito, e come tale è invisibile. A tale proposito vediamo una frase del Vangelo di Giovanni, quando il Signore si è rivolto alla donna samaritana (4, 24):

Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». 

Giovanni pertanto, quando scrive che nessuno lo ha mai visto, si riferisce alla pienezza di Dio, alla sua essenza spirituale, infinita ed eterna. Nessuno può vedere l’essenza spirituale di Dio in tutta la sua pienezza, per il semplice fatto che l’uomo, essendo limitato e finito, non può cogliere l’infinito.
Ovviamente Giovanni non scrive “ho Theon”, ma bensì: “Theon”, dimostrando che si riferisce al concetto Trascendente di Dio. Dio nella sua pienezza onniscente, onnipotente e onnipresente, non può essere visto dall’uomo.
La parola heōraken significa “vide”, o “ha visto”. E’ il tempo perfetto del verbo horaao, vedere.
Il verbo horaao può significare tre cose: vedere con gli occhi, vedere con la mente o percepire, sperimentare o conoscere per mezzo dell’esperienza.
Giovanni afferma quindi che nessuno ha mai potuto vedere Dio, nella sua pienezza. L’Evangelista pertanto non si riferisce a manifestazioni parziali di Dio, o teofanie (come per esempio in Esodo 33, 11 o Numeri 12, 8).
Dopo averci comunicato che nessuno ha mai visto Dio, Giovanni ci comunica che esiste un’eccezione, infatti scrive: “il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato”.
Secondo Giovanni, Dio ha voluto rivelarsi completamente e lo ha fatto con Gesù Cristo, che viene chiamato Verbo (Logos), e anche unigenito Figlio. La parola greca “monogenees” può significare (1): 1 - figlio unico, ossia chi non ha fratelli o sorelle (come in Luca 8, 42); 2 - l’unico di questa specie; 3 - della stessa natura. Secondo Spiros Zodhiates “monogenees”, deve essere interpretato “della stessa natura, o della stessa sostanza”. Per Zodhiates pertanto anche “monogenees”, è un indizio che Giovanni volesse intendere che Gesù Cristo, il Verbo, ha la stessa sostanza del Padre e pertanto, solo lui può farlo conoscere.
Proprio per questo Gesù Cristo ha detto, Vangelo di Giovanni (14, 9):

Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? 

Perché Dio si è incarnato nella persona di Gesù Cristo?
La forma di uomo, era l’unica che poteva essere riconosciuta da altri uomini. Ciò naturalmente non significa che durante l’Incarnazione Dio cessò di esistere come puro spirito.
Questa espressione “monogenēs Theos”, è unica e si riferisce al fatto che il Figlio è Dio, e ha la “stessa sostanza” di Dio Padre.
D’altronde sono numerose le citazioni bibliche che indicano la corrispondenza di Dio Padre con il Figlio, per esempio Giovanni (10, 30):

Io e il Padre siamo una cosa sola.

Analizziamo adesso la frase: “che è nel seno del Padre”. E’ vero che Giovanni scrisse queste parole dopo l’Ascensione di Gesù Cristo alla destra del Padre.
In ogni caso la frase “che è nel seno del Padre”, non si riferisce solo al periodo successivo alla sua Ascensione, ma all’eternità. Anche durante l’Incarnazione Gesù Cristo era “nel seno del Padre”. Anche prima dell’Incarnazione, il Cristo eterno era “nel seno del Padre”.
Questa frase comincia con la parola “ho”, che si traduce con “colui”, o “che”. Pertanto la traduzione letterale potrebbe essere: “colui che è nel seno del Padre”. La frase continua con la parola ὢν ossia on, che significa “è”. Giovanni non ha scritto “è stato” o “era”, ma bensì: “è”. Questo tempo indica che Egli è da sempre e per sempre nel seno del Padre. Anche da questo verbo si evince che Gesù Cristo non è soggetto al tempo.
Cosa significa la parola kolpos, ossia “seno”? Generalmente la parola seno si riferisce alla parte superiore del busto, dove è ubicato il cuore. Ciò da l’idea di una relazione intima tra il Figlio e il Padre. Proprio per questo solo il Figlio conosce l’essenza e i desideri del Padre e può pertanto rivelarli.
Analizziamo ora l’ultima frase del diciottesimo verso: “è lui che lo ha rivelato”.
Innanzitutto notiamo che Gesù Cristo si riferisce a Dio come “suo Padre”. Per esempio nel Vangelo di Luca (2, 49):

Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». 

Ma anche nel finale del Vangelo di Matteo (28, 19):

Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, 

Possiamo affermare che Gesù è venuto sulla terra per rivelarci che se lo accogliamo come nostro Salvatore, Dio si converte in nostro Padre. Giovanni ha sviluppato questo concetto nel dodicesimo verso del suo Prologo, dove afferma che i figli di Dio sono coloro i quali che accolgono Gesù Cristo e credono nel suo nome. Inoltre con una frase molto tagliente Gesù Cristo ha specificato che solo attraverso di lui si può giungere al Padre, Vangelo di Giovanni (14, 6):

Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me.

Pertanto attraverso Cristo e accettando il suo sacrificio sulla croce, l’uomo può convertirsi in figlio di Dio e quindi Dio può essere suo Padre. Ma di chi era figlio l’uomo prima di convertirsi in figlio di Dio? Ecco la risposta: Vangelo di Giovanni (8, 44):

Voi avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli era omicida fin da principio e non stava saldo nella verità, perché in lui non c’è verità. Quando dice il falso, dice ciò che è suo, perché è menzognero e padre della menzogna. 

La parola ekeinos significa “questa persona” o “lui”, in riferimento a “colui che è nel seno del Padre”. Nell’ultima frase Giovanni vuole dissipare ogni dubbio, vuole comunicarci che solo Gesù Cristo, l’Unigenito Figlio, ci ha fatto conoscere il Padre. Siccome l’essenza di Gesù Cristo (monogenees) è la stessa del Padre, egli, l’Unigenito Figlio, ha potuto farci conoscere il Padre.
Il verbo che Giovanni ha utilizzato per la frase “lo ha fatto conoscere” è exēgēsato, dal quale deriva la parola esegesi. Questo verbo era utilizzato da antichi scrittori greci per per indicare l’interpretazione dei misteri divini. E’ come se Giovanni avesse voluto esprimere che Gesù Cristo ci ha indicato la meravigliosa via per accedere al mistero di Dio, infinito ed onnipotente. In realtà exēgēsato è composto da ex (fuori) e dal verbo heegeomai (portare). Pertanto il suo significato è: portare fuori, estrarre, trarre. Ciò da l’idea che Dio non era pienamente accessibile all’uomo, ma è stato Gesù Cristo che ha reso possibile che l’uomo conoscesse Dio. E’ stato Gesù Cristo a rendere accessibile Dio all’uomo. E non esiste alcun altro modo per l’uomo per conoscere Dio se non attraverso Gesù Cristo, (Vangelo di Giovanni 14, 9).
Il verbo exēgēsato è nel tempo aoristo, e ciò indica che questa azione non si ripeterà. Gesù Cristo ha fatto conoscere il Padre una volta per tutte, e ciò significa che Gesù Cristo non tornerà ancora una volta per rivelare il Padre. Verrà certamente, ma come strumento della giustizia di Dio sulla terra.

Yuri Leveratto
Copyright 2016

Bibliografia: Cristo era Dio? Spiros Zodhiates.

Immagine: il discorso di Cristo agli undici Apostoli, Maestà di Duccio di Buoninsegna.

Note: 
1-Great Lexicon of the Greek language
2-http://yurileveratto2.blogspot.com.co/2015/11/la-vera-identita-di-gesu-cristo.html

venerdì 25 novembre 2016

Legge, Grazia e Verità: analisi del diciassettesimo verso del Vangelo di Giovanni



Nel sedicesimo verso Giovanni ci ha mostrato che Gesù Cristo ci ha dato parte della sua pienezza: grazia su grazia. Nel diciasettesimo verso Giovanni puntualizza la differenza tra la Legge (nomos), la Grazia (charis) e la Verità (aletheia), queste ultime due date da Gesù Cristo. Vediamo il diciasettesimo verso del Vangelo di Giovanni:

Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.

Vediamo la corrispondente pronuncia in greco:

Hoti o nomos dia Mōuseōs edothē hē charis kai hē alētheia dia Iēsou Christou egeneto

Innanzitutto Gesù Cristo è un personaggio storico, ugualmente a come lo fu Mosè.
Però Cristo non è solo al di fuori di noi come lo è stato Mosè. Per il credente, ossia per colui il quale accoglie Gesù Cristo nel suo cuore, Gesù vive in lui e attua un cambiamento in lui. E per il credente Gesù è fonte di pienezza, ed è dispensatore di Grazia e Verità.
Il diciasettesimo verso non vuole mostrare alcun contrasto tra Mosè e Cristo. E neppure tra la Legge, la Grazia e la Verità. Giovanni vuole puntualizzare che mentre Dio ha dato la Legge per mezzo di Mosè, Gesù ha portato la Grazia e la Verità. Anteriormente ci si salvava per fede e seguendo la Legge, ora ci si salva credendo nel sacrificio di Gesù Cristo per noi sulla croce. Ci si salva accettando la Grazia, con la fede.
Però per quale motivo Giovanni ribadisce che Dio diede la Legge per mezzo di Mosè, antecedentemente alla Grazia?
Proprio per il fatto che la prima trasgressione della legge fu in Adamo. Dio aveva dato all’uomo la possibiltà di scelta, in quanto non poteva forzare l’uomo a scegliere il bene. Però poteva imporre un castigo per le trasgressioni. La Legge non fu “un’opzione di Dio”, ne la conseguenza della disobbedienza dell’uomo a Dio. Dopo l’uscita degli ebrei dall’Egitto, Dio scelse Mosè per dare la legge agli uomini. Mosè fu utilizzato da Dio solo come strumento. La legge fu data in un determinato momento storico. Per questo si usa il verbo edothe, “fu data”, che si riferisce ad un determinato periodo.
La Legge data da Dio per mezzo di Mosè era divisa in tre parti: cerimoniale, giudiziale e morale. Una parte della Legge era rivolta solo a Israele, mentre un’altra parte si estendeva a tutte le persone.
La legge cerimoniale si relazionava con il compimento di sacrifici e offerte. Queste norme si applicavano solo al popolo degli ebrei fino al tempo di Gesù Cristo, che fu il compimento della legge cerimoniale. Gesù Cristo si è convertito nel sacrificio finale e perfetto per tutti gli uomini per mezzo dello spargimento del suo sangue nella croce. Dopo la sua morte non era più necessario lo spargimento del sangue di animali per la remissione temporanea dei peccati. Pertanto con Cristo troviamo il compimento della legge cerimoniale. La legge cerimoniale era rivolta solo agli ebrei, infatti in Esodo (34, 23-24), si impone che ogni persona che era sotto la legge cerimoniale doveva recarsi a Gerusalemmme tre volte all’anno. E’ evidente che si riferiva solo agli ebrei. Pertanto oggi, gli ebrei di religione giudaica, dovrebbero recarsi a Gerusalemme tre volte all’anno, se applicassero alla lettera la Legge.
La legge cerimoniale pertanto non si applicò mai ai “gentili”, ossia ai non ebrei. Per gli ebrei cristiani il compimento della legge cerimoniale è stato Gesù Cristo. Infatti, leggiamo la Lettera ai Romani (10, 4):

Ora, il termine della Legge è Cristo, perché la giustizia sia data a chiunque crede.

Per quanto riguarda le Leggi giudiziali, esse si riferivano al governo dello stato di Israele. Queste leggi non erano obbligatorie per nessun’altra nazione. Israele era una teocrazia e Dio diede leggi per il suo governo.
La Legge morale è contenuta principalmente nei dieci comandamenti. Sono principi generali e morali che si riferivano a tutte le persone di qualunque etnia e che ancora adesso hanno vigenza (per i dieci comandamenti vedere Esodo, cap. 20).
Tuttavia, il rispetto assoluto dei dieci comandamenti non è sufficente per la salvezza. Al contrario, chi ha accettato Gesù Cristo nel suo cuore, naturalmente rispetterà i dieci comandamenti (1).
In altre parole non è il rispetto dei dieci comandamenti che porta l’uomo alla salvezza, ma è la fede che Gesù Cristo sia morto per i nostri peccati che porta l’uomo alla salvezza. Infatti anche se una persona rispettasse alla lettera i dieci comandamenti sarebbe sempre un peccatore. Non potrà salvarsi “da solo”, ne con azioni di riparazione dei suoi peccati (il peccato resta), ne con azioni buone tese a compensare il peccato. Solo accettando la Grazia data da Gesù Cristo, per mezzo della fede, l’uomo può salvarsi. Infatti vediamo questi due passaggi neo-testamentari:

Lettera ai Galati (3, 13):

Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della Legge, diventando lui stesso maledizione per noi, poichè sta scritto: Maledetto chi è appeso al legno, 

Lettera ai Romani (8, 1):

Ora, dunque, non c’è nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù.

Pertanto Gesù si è caricato dei nostri peccati e se accogliamo il suo sacrificio ci liberiamo dal potere di condanna della Legge, senza violarla, perché in Cristo troviamo il compimento della Legge morale di Dio.
Però in che cosa e perché la Grazia e la Verità sono superiori alla Legge?
Mosè non fu la personificazione della Legge. Ma Gesù Cristo fu la personificazione della Grazia e della Verità. Vediamo alcune frasi che richiamano alla Legge e altre che richiamano invece alla Grazia e alla Verità.

Legge:
Lettera ai Romani (6, 23 a):

Perché il salario del peccato è la morte; 

Grazia:
Lettera ai Romani (6, 23b):

ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore. 

Legge:
Ezechiele (18, 20):

Chi pecca morirà; il figlio non sconterà l’iniquità del padre, nè il padre l’iniquità del figlio. Sul giusto rimarrà la sua giustizia e sul malvagio la sua malvagità.

Grazia:
Vangelo di Giovanni (11, 25-26):

Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». 

La Legge pronuncia condanna e morte.
La Grazia proclama giustificazione e vita.

Grazia:
Ezechiele (11, 19):

Darò loro un cuore nuovo, uno spirito nuovo metterò dentro di loro. Toglierò dal loro petto il cuore di pietra, darò loro un cuore di carne, 

Ezechiele (36, 26):

vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne.

Legge:
Lettera ai Galati (3, 10):

Quelli invece che si richiamano alle opere della Legge stanno sotto la maledizione, poichè sta scritto: Maledetto chiunque non rimane fedele a tutte le cose scritte nel libro della Legge per metterle in pratica. 

Grazia:
Salmi (32, 1-2):

Beato l’uomo a cui è tolta la colpa
e coperto il peccato.
Beato l’uomo a cui Dio non imputa il delitto
e nel cui spirito non è inganno.

Legge:
Deuteronomio (6, 5):

Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. 

Grazia:
Vangelo di Giovanni (3, 16-17):

Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. 

La Legge descrive ciò che l’uomo deve fare per Dio.
La Grazia descrive ciò che Cristo ha fatto per l’uomo.

La Legge si dirige all'uomo come parte della creazione antica.
La Grazia permette che l'uomo si faccia membro della nuova creazione.

La Legge produce una propensione naturale alla disobbedienza.
La Grazia crea una propensione naturale all'obbedienza.

La Legge richiede obbedienza per il timore della Legge stessa.
La Grazia supplica l’uomo per la misericordia di Dio.

La Legge chiede santità.
La Grazia da santità.

La Legge dice: “condannalo!”.
La Grazia dice: “assolvilo”.

Per la Legge la benedizione è il risultato dell’obbedienza.
Per la Grazia l’obbedienza è un risultato delle benedizioni.

La Legge fu data per sottomettere il vecchio uomo.
La Grazia libera l’uomo nuovo.

La Legge descrive sacrifici sacerdotali offerti anno per anno che non potranno mai rendere perfetti gli uomini.
Sotto la Legge la salvezza si doveva guadagnare.
Sotto la Grazia la salvezza è un dono.

Grazia:
Lettera agli Ebrei (10, 12-14)

Cristo, invece, avendo offerto un solo sacrificio per i peccati, si è assiso per sempre alla destra di Dio, aspettando ormai che i suoi nemici vengano posti a sgabello dei suoi piedi. Infatti, con un’unica offerta egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati. 

Legge:
Lettera ai Romani (2, 12):

Tutti quelli che hanno peccato senza la Legge, senza la Legge periranno; quelli invece che hanno peccato sotto la Legge, con la Legge saranno giudicati. 

La Grazia:
Vangelo di Giovanni (5, 24):

In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita.

Nel diciassettesimo verso troviamo le parole Grazia e Verità come nel quattordicesimo verso. Infatti Gesù Cristo non venne solo a mostrarci la Grazia. Così come Dio è infinitamente misericordioso e sacro, è anche infinitamente giusto. La parola “Verità”, richiama la giustizia. La Verità richiama al fatto che lui ci trovò colpevoli del peccato. Infatti nessuno è senza peccato. Pertanto, siccome il prezzo del peccato è la morte, (Lettera ai Romani 6, 23), noi dovremmo morire per i nostri peccati. Proprio perché Dio è infinitamente misericordioso, ma anche infinitamente giusto, ha inviato il Figlio, per morire al posto nostro. Lui pagò la nostra pena in modo da poterci liberare, se noi accettiamo il suo sacrificio sulla croce. Pertanto il vero cambio rispetto alla Legge non è solo la Grazia, ma anche la Verità.
Analizziamo ora il verbo “vennero”, nella frase:

la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.

Vediamo la corrispondente pronuncia in greco:

hē charis kai hē alētheia dia Iēsou Christou egeneto

Mentre nella frase “la Legge fu data per mezzo di Mosè”, si utilizza il verbo edothe, nella frase seguente si utilizza il verbo “egeneto”. Egeneto indica un preciso atto, che indica un determinato momento. Lo stesso verbo viene utilizzato nel quattordicesimo verso.
Inoltre nel testo greco è scritto: “hē charis kai hē alētheia”. Giovanni non sta descrivendo un tipo di grazia o un tipo di verità. Giovanni sta descrivendo “la Grazia" e “la Verità". La Grazia e la Verità di Gesù Cristo sono definitive ed esclusive di lui. Pertanto Gesù Cristo non insegna la Grazia e la Verità. Gesù Cristo è la Grazia, ed è la Verità. Quando si dice: “ho sperimentato la verità”, è come se si stesse dicendo: “ho conosciuto Gesù Cristo”.
Inoltre c’è da analizzare un ultimo punto: la verità, (attinente alla giustizia), non si riferisce solo alla morte di Gesù Cristo sulla croce, ma si riferisce anche alla vita dei cristiani dopo che hanno sperimentato la Grazia di Dio nelle proprie vite. Quando una persona accoglie il perdono di Cristo nel suo cuore, e accetta la Grazia, la sua vita cambia, in quanto ottiene la giustificazione.
La Grazia pertanto è differente dalla Legge, in quanto non proclama il castigo, ma ci permette di superarlo. Cristo fa l’uomo nuovo, l’uomo che vive nella Grazia, l’uomo perdonato e che sa perdonare.

Yuri Leveratto
Copyright 2016

Bibligrafia: Cristo era Dio? Spiros Zodhiates

1-Per quanto riguarda il sabato vedere atti degli Apostoli (20, 7).

Immagine: la guarigione del cieco nato, El Greco, 1567.

giovedì 10 novembre 2016

La linea della fede



Non è una novità che vi siano persone non credenti. Già dai primissimi anni dopo la vita terrena di Gesù Cristo vi erano persone che non credevano che Egli era realmente il Figlio di Dio. Il compito di noi cristiani non è quello di forzare altri a credere. Noi dobbiamo solo testimoniare, in differenti modi, il Vangelo di Gesù Cristo. La nostra testimonianza deve essere pacata, cortese, umile, ma ferma. Con la nostra testimonianza riusciremo ad avvicinare le persone a Gesù, e riusciremo ad avvicinarle alla “linea della fede”. Ciò che non potremo fare è far si che una persona creda. Ciò è impossibile da parte dell’uomo. La vera conversione, secondo le parole di Giovanni, (1, 12-13) viene direttamente da Dio, ossia è opera dello Spirito Santo: 

A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.

Tuttavia come ho scritto poc’anzi, il nostro compito è testimoniare il Vangelo. Ma oggi c’è gente che non vuole ascoltare il Vangelo, perchè ha dei preconcetti su Gesù o sui primi cristiani e pertanto si “chiude a riccio”. Analizziamo brevemente questi preconcetti e dimostriamo la loro infondatezza. 
Innanzitutto, seguendo il liberalismo, molte persone oggi credono che Gesù fosse un grande “saggio”, una persona di altissimo valore morale che predicò il bene ed ebbe vari seguaci. In pratica lo individuano come una persona illuminata, un grande filosofo, o “il più grande saggio di tutti i tempi”. Altri seguendo questo filone, considerano che Gesù fosse un “predicatore apocalittico.”
Questa interpretazione viene facilmente smontata non solo dalla Bibbia, ma soprattutto dalla logica. Innanzitutto vediamo questo punto: se Gesù Cristo fosse stato “solo” un “grande saggio”, non sarebbe risorto dai morti il terzo giorno. A questo punto nessuno dei suoi seguaci avrebbe divulgato la sua Risurrezione, peraltro rischiando la vita sia nei confronti del potere sacerdotale giudaico, sia nei confronti del potere romano. Che cosa ci avrebbero guadagnato i seguaci di Gesù a divulgare una menzogna sapendo di divulgare una menzogna? Nulla. 
Inoltre il messaggio centrale del Vangelo non è solo amore, ma è salvezza. Dalle fonti bibliche e storiche in nostro possesso si evince che fin dai primissimi anni dopo la vita terrena di Gesù, gli Apostoli e gli altri seguaci di Cristo hanno predicato che solo attraverso il pentimento dei propri peccati e la fede che Gesù sia morto in croce per perdonare tutti i peccati, si può accedere al Padre. In pratica essi hanno predicato che solo attraverso Gesù si può ottenere la vita eterna (Vangelo di Giovanni 14, 6). Inoltre i primi cristiani battezzavano nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, (Vangelo di Matteo 28, 19), dimostrando di credere nella Trinità e pertanto di considerare che Gesù Cristo, è vero Dio e vero uomo. La maggioranza dei primi cristiani sono andati al martirio pur di non negare la Risurrezione di Gesù nella carne e la sua piena Divinità. 
Tutti gli Apostoli eccetto Giovanni sono morti martiri. Ed inoltre Stefano, Paolo di Tarso, Barnaba, Giacomo il Giusto, Clemente di Roma, Ignazio di Antiochia, Giustino martire ed altri sono anch’essi morti sul patibolo, colpevoli di non aver rinnegato la Divinità di Gesù Cristo. 
A questo punto qualcuno potrebbe obiettare che la Risurrezione stessa non è stato un evento reale, ma che gli Apostoli si sono convinti di aver rivisto Gesù, il loro maestro, e ne hanno divulgato la Risurrezione. Nel mio articolo “Considerazioni sulla Risurrezione di Gesù Cristo”(1), ho analizzato varie ipotesi sulla Risurrezione. Per esempio che il corpo di Gesù sia stato sottratto dalla tomba, o che gli Apostoli abbiano avuto delle allucinazioni collettive. Analizziamo il primo punto: innanzitutto bisogna ricordare che la legge ebraica vietava espressamente di aprire i sepolcri (se non per collocarvi altri morti), e puniva con la morte il trafugamento di cadavere, pertanto l’ipotesi che qualcuno dei seguaci di Gesù abbia realmente asportato il corpo è, da un punto di vista storico, remota. Gli Apostoli stessi non avrebbero guadagnato nulla a divulgare una menzogna che loro stessi avrebbero creato. Al contrario avrebbero rischiato la morte. Anche se uno degli Apostoli, per assurdo, avesse asportato il corpo, la verità sarebbe venuta alla luce, e nessuno avrebbe divulgato una menzogna rischiando la vita. Da escludere che i sacertodi ebrei o i soldati romani abbiamo asportato il corpo, proprio perchè non avevano alcun interesse in alimentare il mito che Gesù fosse risorto dai morti. 
Anche l’ipotesi dell’allucinazione collettiva è da scartare. Gli studiosi di fenomeni di allucinazione sostengono che normalmente le allucinazioni si verificano attraverso uno dei cinque sensi. Pertanto si possono verificare allucinazioni visive, olfattive, uditive, tattili, e persino gustative. E’ rarissimo però che il fenomeno di allucinazione si manisfesti in modo completo, ossia vedendo, ascoltando e toccando “qualcuno o qualcosa”. Inoltre ancora più difficile è che una allucinazione si manisfesti a più persone contemporaneamente. 
Ma le apparizioni di Gesù non hanno avuto luogo in un singolo evento. Ve ne sono state varie, e in differenti luoghi. Inoltre gli Apostoli in seguito alle apparizioni non hanno dato segno di delirio o pazzia, ma hanno vissuto in modo mite, pacato e tranquillo, divulgando con fermezza la Buona Novella. 
Il fatto poi che nessuno di loro abbia contraddetto gli altri è un’altro indizio del fatto che ciò che videro era veritiero. Inoltre il fatto che i primi cristiani fossero disposti addirittura ad andare alla morte pur di non rinnegare Gesù Cristo è una ulteriore prova della veridicità delle apparizioni. Nessuno di loro sarebbe andato alla morte se non fosse stato più che sicuro che colui che gli apparve dopo la Risurrezione era proprio Gesù, in carne e ossa, ricordando ovviamente che questo evento era stato da lui annunciato, mentre era in vita. Inoltre c’è un fatto da considerare: se la teoria delle allucinazioni fosse vera, dovrebbe essere vera pure la teoria dell’asportazione del cadavere di Gesù dalla tomba. A questo punto gli scettici della Risurrezione devono conciliare vari fatti per negare che la Risurrezione sia realmente avvenuta: devono infatti assumere che il corpo di Gesù sia stato rubato (teoria che come abbiamo visto è, da un punto di vista storico, remota), e che contestualmente tutti gli Apostoli, oltre a Maria Maddalena, i discepoli di Emmaus, Giacomo il Giusto e poi Paolo di Tarso abbiano avuto allucinazioni di gruppo per più di una volta. Considerando infatti che nel Nuovo Testamento, vi sono descritte almeno dodici apparizioni (2) diverse fra loro (escludendo l’Apocalisse), risulta altamente improbabile che siano state tutte dovute ad allucinazioni, anche considerando che durante gli anni successivi, nessuno degli Apostoli ha dato segni di schizzofrenia o delirio.
Vediamo pertanto che la teoria del Gesù “grande saggio”, viene a cadere proprio per il comportamento degli Apostoli. Se fosse stato solo “un grande saggio”, nessuno di loro avrebbe divulgato la sua Risurrezione nella carne. 
Analizziamo ora la teoria del Gesù rivoluzionario, partigiano anti-romano che avrebbe combattuto contro le ingiustizie con lo scopo di liberare Israele dal giogo dei romani. Innanzitutto possiamo confutare questa teoria con la prima argomentazione: se Gesù fosse stato solo un partigiano anti-romano, nessuno ne avrebbe divulgato la sua Risurrezione. Ma vi è di più: se Gesù fosse stato un partigiano anti-romano, che voleva generare una rivolta per liberare Israele, i suoi seguaci, dopo la sua morte avrebbero diffuso idee rivoluzionarie e violente, ma la storia prova che essi divulgarono il Vangelo, ossia amore nei confronti anche dei nemici e salvezza per chi accetta il sacrificio di Gesù Cristo sulla croce. 
Il semplice fatto che gli Apostoli morirono come martiri smentisce la possibilità stessa che Gesù fosse un rivoluzionario anti-romano. Il martirio infatti era un atto pacifico e non violento. Essi preferivano morire piuttosto che negare il nome di Gesù Cristo e la sua Divinità. 
Se invece avessero avuto il fine di un complotto anti-romano, non si sarebbero fatti uccidere dopo torture atroci pur di non rinnegare la Divinità di Cristo, (come quelle inflitte per esempio a Bartolomeo, che fu scorticato vivo), ma avrebbero rinnegato, salvandosi così la vita e portando avanti le loro idee in altro modo. Anche la teoria del Gesù partigiano anti-romano decade, quindi. 
Analizziamo ora, brevemente, la teoria islamica su Gesù. Secondo il Corano, Gesù sarebbe stato solo un profeta di Dio, ma non l’Incarnazione di Dio. Inoltre non sarebbe morto in croce, (Corano 4, 157-158), e quindi non avrebbe potuto perdonare i peccati del mondo. Ovviamente per gli islamici Gesù non sarebbe risuscitato nella carne. 
La teoria islamica su Gesù si confuta facilmente con le citazioni storiche sulla morte di Gesù Cristo in croce (vedere nota 3, e 4), anche e soprattutto con la logica. Se infatti Gesù non fosse morto in croce, non sarebbe neppure risuscitato dai morti. Nessuno avrebbe quindi divulgato la sua Risurrezione, rischiando peraltro la vita sia nei confronti del potere sacerdotale giudaico, sia nei confronti del potere romano. 
Analizziamo ora l’ultima teoria su Gesù, ossia quella del “Gesù gnostico”. Innanzitutto individiamo brevemente cosa fu lo gnosticismo cristiano del secondo secolo della nostra era. La visione gnostica di Basilide, Valentino e Marcione, non fu una fede originale, ma fu un adattamento di concetti gnostici applicati al Cristianesimo, in forte contrapposizione all’Antico Testamento. Gli gnostici, vedendo solo le negatività del mondo terreno, ossia il male, il dolore e la sofferenza, le attribuirono a YHWH, che identificavano con il demiurgo cattivo. 
Gesù invece non potevano ripudiarlo, perché il suo messaggio era grandioso e molti erano disposti a morire per lui. Pertanto attuarono un sincretismo, adattandolo alla loro credenza. 
Il “Gesù gnostico” che ne derivava pertanto, non era più quello narrato dagli Apostoli, che furono coloro che vissero con il Salvatore, ma era quello inventato e idealizzato dagli gnostici. Quel “Gesù gnostico” non aveva sofferto in croce, in quanto la sua natura prettamente divina gli impediva di soffrire, e pertanto anche la Risurrezione non aveva senso, era un’allegoria. L’importanza della venuta di Gesù era solo e solamente la sua azione di “ponte” che avrebbe potuto portare l’uomo alla vera gnosi e quindi, a Dio. Ne risulta un Gesù completamente falsato e non attinente ai testi neo-testamentari. 
Gli gnostici attuali, di solito, riconoscono Gesù come una persona illuminata che fu capace di incarnare in sè la “coscienza di Cristo” (spesso utilizzano il termine “coscienza cristica”, in perfetto stile new age), e lo indicano come un ponte per poter ottenere la salvezza. Dichiarano pure di accettare la Bibbia, come rivelazione di Dio, ma nessuno di loro parla del peccato, e del messaggio di salvezza che fu dato da Gesù Cristo. Ripudiano la Grazia che ci è stata data da Gesù Cristo con la sua morte in croce e pertanto negano il concetto della “morte vicaria di Gesù Cristo.” Quando gli si fa notare che gli Apostoli hanno predicato il concetto di “morte vicaria di Gesù Cristo” e il concetto di espiazione dei peccati, sostengono che questo fu il pensiero di Paolo di Tarso, ma non degli Apostoli. Questa tesi è facilmente confutabile. Innanzitutto le citazioni sulla “morte vicaria di Gesù Cristo” sono numerose non solo nelle lettere di Paolo, ma anche nei Vangeli e negli altri libri neotestamentari (5). In secondo luogo è errato dire che Paolo di Tarso avrebbe influenzato gli altri Apostoli e gli Evangelisti. Innanzitutto secondo alcuni studiosi sia il Vangelo di Matteo che il Vangelo di Marco sono stati scritti prima delle lettere paoline. Per lo studioso J. Carmignac il Vangelo di Matteo sarebbe stato scritto nel 45 d.C. inizialmente in aramaico (6). Inoltre secondo lo studioso O’Callaghan, uno dei frammenti dei Rotoli del Mar Morto, sarebbe parte del Vangelo di Marco, e risalirebbe addirittura al 50 d.C. (7).
Inoltre se prima del concilio di Gerusalemme gli Apostoli si fossero resi conto che Paolo di Tarso sosteneva delle tesi non coincidenti con il messaggio centrale di Gesù Cristo, il kerygma (ossia: Gesù Cristo è nato da una vergine, per cui è il Figlio di Dio, è morto sulla croce per perdonare tutti i peccati ed è risorto il terzo giorno nella carne), lo avrebbero allontanato e scomunicato e non gli avrebbero permesso di predicare la parola del Signore. 
In terzo luogo le Lettere di Paolo furono dirette alle comunità cristiane dei tessalonicesi, dei corinzi, dei galati, dei filippesi, dei romani, degli efesini e dei colossesi. Pertanto queste lettere inizialmente non giunsero al cospetto degli altri Evangelisti, che quindi non avrebbero certo potuto copiarne i contenuti. In quarto luogo luogo bisogna considerare che Paolo di Tarso non viaggiò in Egitto, ne a Bisanzio (Costantinopoli), ne in Armenia, ne in Etiopia, ne in Persia e tantomeno in India. Però in quei luoghi si diffuse il kerygma fin dal I secolo. Chi diffuse il kerygma in quei territorio dove Paolo di Tarso non viaggiò? Gli Apostoli, naturalmente. Se Paolo di Tarso avesse inventato qualcosa, e se il suo predicare non fosse stato perfettamente coincidente con l’insegnamento di Gesù Cristo, ne sarebbe risultato che nei luoghi che ho citato si sarebbe diffuso un qualcosa di diverso, mentre solo nelle aree visitate da Paolo si sarebbe diffuso il kerygma, ma come sappiamo non fu così, per esempio in Egitto si diffuse il kerygma e il Cristianesimo apostolico, esattamente uguale al Cristianesimo diffuso da Paolo, e il primo che lo diffuse fu l’Evangelista Marco. E via di seguito per gli altri luoghi da me citati: Andrea per Bisanzio, Giuda Taddeo e Bartolomeo per l’Armenia, Tommaso per l’India ecc. 
Inoltre Paolo di Tarso andò al martirio pur di non rinnegare quello che aveva scritto e detto su Gesù Cristo. Naturalmente le fonti storiche sul martirio di Paolo di Tarso sono numerose. (7). 
Ecco pertanto dimostrato che la dottrina della “morte vicaria di Gesù Cristo” è apostolica, ossia fu divulgata da tutti gli Apostoli e non fu un’invenzione di Paolo di Tarso. 
Pertanto la visione gnostica, che non considera il Vangelo nella sua totalità, ossia scarta il peccato e il messaggio centrale della predicazione di Gesù Cristo sulla salvezza, risulta essere una fede falsata, accomodata alle esigenze di una tendenza alla moda, che mostra un Vangelo di amore, ma non di salvezza. Si scartano le parti del Vangelo che sono taglienti, e che indicano nel pentimento dei propri peccati e nella fede che Gesù sia morto per espiarli al posto nostro, e ci si sofferma solo sull’amore, la compassione e la misericordia. 
Abbiamo visto pertanto che ognuna di queste quattro teorie (ossia il Gesù “grande saggio” o “predicatore apocalittico”, il “Gesù rivoluzionario anti-romano”, il “Gesù  islamico” e il “Gesù gnostico”), non hanno un fondamento solido, ne dal punto di vista storico ne dal punto di vista logico. 

Yuri Leveratto
Copyright 2016

Note:
1-http://yurileveratto2.blogspot.com/2015/11/considerazioni-sulla-risurrezione-di.html

2-Elenco delle apparizioni e indicazione del rispettivo libro del Nuovo Testamento dove sono citate (senza contare l'Apocalisse):
Prima apparizione a Maria Maddalena, Marco 16, 9-11; Giovanni 20, 11-18
Seconda apparizione a Maria Maddalena e l’altra Maria, Matteo 28, 9-10
Terza apparizione a Simon Pietro: Vangelo di Luca 24: 43; 1 Corinzi 15, 5
Quarta apparizione a due discepoli in Emmaus: Vangelo di Luca 24, 13-35
Quinta apparizione a Gerusalemme ai dieci: Vangelo di Giovanni 20, 19-25; Marco 16, 14; Luca 24, 33-43
Sesta apparizione a Gerusalemme agli undici: Vangeli di Giovanni 20, 26-31; 1 Corinzi 15, 5
Settima apparizione ai sette sul lago di Galilea, (Pietro, Tommaso, Bartolomeo/Natanaele, Giovanni, Giacomo e altri due), Giovanni 21, 1-25
Ottava apparizione a 500 in una sola volta, 1 Corinzi 15, 6
Nona apparizione a Giacomo (fratello di Gesú); 1 Corinzi 15, 7
Decima apparizione agli undici in Galilea, Matteo 28, 16-20; Marco 16, 15-18
Undicesima apparizione agli undici (Ascensione) a Gerusalemme: Luca 24, 44-53; Atti 1, 3-12
Dodicesima apparizione (uditiva e accecante): a Paolo: Atti 9: 3-9; Atti 22: 6-11; Atti 26: 12-18
Tredicesima apparizione: a Stefano: Atti 7, 55

3-http://yurileveratto2.blogspot.com/2015/11/la-morte-in-croce-di-gesu-cristo.html

4-http://yurileveratto2.blogspot.com/2015/04/confutazione-della-religione-islamica.html

5-http://yurileveratto2.blogspot.com/2015/11/lo-scopo-principale-della-missione-di.html

6- J. Carmignac, Nascita dei Vangeli sinottici, San Paolo, Cinisello Balsamo, 1986.

7- http://www.statveritas.com.ar/Varios/JLoring-01.htm

8-Ecco le fonti del martirio di Paolo:

Lettera di Ignazio di Antiochia agli Efesini (110 AD)

XII. So chi sono e a chi scrivo. Io sono un condannato, voi avete ottenuto misericordia. Io in pericolo, voi al sicuro. Voi siete la strada per quelli che s'innalzano a Dio. Gli iniziati di Paolo che si è santificato, ha reso testimonianza ed è degno di essere chiamato beato. Possa io stare sulle sue orme per raggiungere Dio; in un'intera sua lettera si ricorda di voi in Gesù Cristo.

Lettera ai Romani di Dionigi, vescovo di Corinto (166-174 AD), in Eusebio di Cesarea - Storia Ecclesiastica 25-8

“Con una tale ammonizione voi avete fuso le piantagioni di Roma e di Corinto, fatte da Pietro e da Paolo, giacchè entrambi insegnarono insieme nella nostra Corinto e noi ne siamo i frutti, e ugualmente, dopo aver insegnato insieme anche in Italia, subirono il martirio nello stesso tempo”

Tertulliano –Prescrizione contro le eresie (200 AD)

Come felice è la sua chiesa, su cui gli apostoli riversano tutta la loro dottrina insieme con il loro sangue! Dove Pietro subisce la passione come il suo Signore! Dove Paolo vince la corona in una morte simile a quella di Giovanni, dove l'apostolo Giovanni fu immerso, illeso, in olio bollente, e quindi rimandato in esilio nella sua isola! Vedete ciò che ha imparato, ciò che ha insegnato, e quello che ha avuto comunione con le nostre chiese in Africa!

Lattanzio, De Mortibus Persecutorum (318 AD)

I suoi apostoli erano allora undici di numero, al quale sono stati aggiunti Mattia, al posto del traditore Giuda, e poi Paolo. Poi si dispersero per tutta la terra a predicare il Vangelo, come il Signore loro Maestro gli aveva ordinato; e durante venticinque anni, e fino all'inizio del regno di Nerone, si occuparono di gettare le fondamenta della Chiesa in ogni provincia e città. E mentre Nerone regnava, l'apostolo Pietro è venuto a Roma, e, attraverso la potenza di Dio che gli fu affidata, fece certi miracoli e, convertendo molti alla vera religione, costruì un tempio fedele e saldo al Signore. Quando Nerone sentì parlare di queste cose, e osservò che non solo a Roma, ma in ogni altro luogo, una grande moltitudine di persone abbandonava ogni giorno il culto degli idoli, e, condannando le loro vecchie abitudini, si avvicinava alla nuova religione, lui, un esecrabile e pernicioso tiranno, decise di radere al suolo il tempio celeste e distruggere la vera fede. Fu lui che per primo ha perseguitato i servi di Dio; lui ha crocifisso Pietro e ha fatto uccidere Paolo.

Vi sono poi altre fonti su Paolo, come la Lettera ai Filippesi di Policarpo e la Storia Ecclesiastica Eusebio di Cesarea, Libro II cap. 25 5-7

mercoledì 9 novembre 2016

La pienezza e la grazia di Gesù Cristo: analisi del sedicesimo verso del Vangelo di Giovanni

 

Abbiamo visto che nel quindicesimo verso del Prologo si riporta una citazione diretta di Giovanni il Battista nella quale egli, dicendo che Gesù Cristo “era prima” di lui anche se venne dopo di lui, ne dichiarava l’eternità. Nel sedicesimo verso l’Evangelista continua a descrivere il Cristo, e si sofferma su due caratteristiche peculiari: la pienezza e la grazia. Questo verso si collega in parte al precedente in quanto, siccome nel precedente Giovanni il Battista ha dichiarato l’eternità di Cristo e quindi la sua piena Divinità ora ci comunica che due qualità primarie di Cristo sono la pienezza e la grazia. Se egli non fosse Dio non avrebbe potuto dare parte della sua pienezza ai suoi figli. Vediamo il sedicesimo verso:

Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia

Vediamo la corrispondente pronuncia in greco:

Hoti ek tou plērōmatos autou hēmeis pantes elabomen kai charin anti charitos

Secondo il teologo greco Zodhiates vi è una relazione diretta tra il quattordicesimo e il sedicesimo verso. Nel quattordicesimo verso Giovanni ci comunica che Gesù Cristo è pieno di grazia e verità e nel sedicesimo verso Giovanni scrive che i figli di Dio ricevettero parte della pienezza di Cristo: grazia su grazia. La grazia è l’esternalizzazione della bontà.
Innanzitutto quando Giovanni scrive: “ricevemmo”, si riferisce a coloro che hanno accolto Gesù Cristo nel loro cuore, ossia i figli di Dio.
Cosa significa però la parola pienezza? Questa parola si riferisce al concetto di “riempire ciò che era vuoto”. Inoltre questa parola può riferirsi al completamento di qualcosa. Se una coppa è piena a metà di acqua, la sua “pienezza” sarà la quantità d’acqua che si aggiunge per riempire la coppa. Per quanto riguarda Gesù Cristo il concetto di “pienezza” si riferisce alla sua Divinità. Egli è come una coppa ricolma d’acqua fino all’orlo, e che pertanto può solo dare, ma che non ha bisogno di ricevere nulla, in quanto è piena. Ma di cosa è piena la coppa di Cristo? Si potrebbe rispondere affermando che essa è piena di grazia, amore, di misericordia, di bontà di giustizia. Però tutto ciò si può riassumere dicendo che la coppa di Cristo è piena di Divinità, e la sua Divinità è piena.
A tale proposito vediamo il passaggio della Lettera ai Colossesi (2, 9):

E’ in lui che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, 

Ciò significa che gli Apostoli quando videro Gesù Cristo non videro “una parte di Dio”, ma videro Dio in forma umana, in tutta la sua pienezza. La parola “pienezza”, plērōmatos, significa l’opposto di “parte”.
Giovanni però non scrive : “La sua pienezza infatti ricevemmo”, ma bensì: “Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto”. Cio significa che essi (ossia Giovanni più altri figli di Dio), ricevettero parte della sua pienezza, non “tutta” la sua pienezza.
L’uomo non può ricevere “tutta” la pienezza di Dio, perché sennò si convertirebbe in Dio. Ne può ricevere solo una parte. Ma quando l’uomo riceve parte della pienezza di Dio riceve Gesù Cristo nel suo cuore, e il suo Spirito va ad abitare nel suo cuore. Quando il Figlio vive nel cuore dell’uomo, l’uomo diventa un tutt’uno con il Figlio e potrà quindi accedere al Padre. Pertanto “parte della pienezza di Dio” è sufficente per convertire pienamente l’uomo a Dio.
Dio occupa pienamente la vita del credente, lo cambia radicalmente. La sua natura carnale è dominata e la natura divina ha il pieno dominio su di lui.
Siccome l’uomo che riceve Cristo ottiene la pienezza di Dio, riempie il suo vuoto iniziale, e non vi è più spazio in lui per la vita mondana.
Il verbo che si usa qui è elabomen, “ricevettero”, lo stesso verbo che si usa nel dodicesimo verso dove si descrive che solo chi ha accolto, o ricevuto Gesù Cristo ha ottenuto il potere di diventare figlio di Dio.
Il verbo elabomen si trova nel secondo tempo aoristo che normalmente si riferisce al passato. La pienezza di Cristo è stata ricevuta una volta sola o è un processo continuo che si ripeterà indefinitamente?
Secondo Zodhiates l’Evangelista Giovanni ha utilizzato un “aoristo gnomico”, riferendosi al fatto che ricevere parte della pienezza di Cristo non è un privilegio che ricevettero solo gli Apostoli o gli altri seguaci di Cristo, ma è una possibilità data a tutti gli esseri umani fino all’ultimo giorno di Grazia. La pienezza di Cristo per il credente è come l’aria che ci circonda: è sempre presente e sempre sarà a disposizione di chi vorrà riceverne.
Nell’ultima parte del sedicesimo verso viene descritto che i figli di Dio ricevettero “grazia su grazia”. Il verbo elabomen si riferisce infatti anche alla “grazia su grazia”. Questo concetto si spiega con il fatto che chi riceve parte della pienezza di Cristo ha sempre avuto bisogno di lui, e non ha mai smesso di essere colmato dalla sua grazia. In altre parole Cristo continua a colmare il vuoto che vi è nell’uomo e lo colma continuamente, con la sua grazia. Perché accade ciò? Secondo il Zodhiates l’uomo è come una coppa d’acqua; dopo aver ricevuto gratuitamente, gratuitamente da, regala ad altri parte della pienezza di Dio che ha ricevuto. Ma a questo punto la coppa dell’uomo risulterà essere nuovamente mezza piena. Quindi la coppa sarà riempita nuovamente con nuova “pienezza” e nuova “grazia”, come fosse acqua pura che fluisce da una sorgente di montagna. Chi non desidererebbe nuova acqua fresca e pura, nuova grazia su grazia da parte di Dio? Pertanto l’uomo, anche dopo aver accolto Gesù Cristo nel suo cuore, continua ad aver bisogno di grazia su grazia. Egli non tornerà più al peccato volontariamente o provando piacere al peccare, ma continuerà a deludere Dio in differenti forme. In ogni caso il peccato non avrà più dominio sull’uomo, perché l’uomo convertitosi a Cristo ha ricevuto e continua a ricevere grazia su grazia.
Ciò dimostra che la grazia di Dio è infinita. Se Dio ci dovesse dare esattamente quello che meritiamo, dovremmo ricevere tutti una sentenza di morte per crocifissione per espiare i nostri peccati, che sono infiniti, perché sono contro Dio. Ma Dio è infinitamente misericordioso e ci ha regalato la Grazia, ossia la possibilità di accogliere Cristo nei nostri cuori e di accogliere il sacrificio di Cristo sulla croce come perdono per i nostri peccati. La Grazia è pertanto un flusso continuo. Dio ci dona Grazia continuamente in modo che noi possiamo vivere di essa e continuare a riempire il nostro vuoto. Se noi daremo ad altri, (con l’amore), la grazia che abbiamo ricevuto (anche se non la meritiamo), riceveremo altra “grazia su grazia”.

Yuri Leveratto
Copyright 2016

Bibliografia, Spiros Zodhiates, Cristo era Dio? 
Foto: Cristo degli abissi, statua sommersa nel fondale di San Fruttuoso, (Genova)

mercoledì 5 ottobre 2016

La testimonianza di Giovanni il Battista sull’eternità di Gesù Cristo: analisi del quindicesimo verso del Vangelo di Giovanni

 

L’evangelista Giovanni ha già descritto la persona di Giovanni il Battista nei versi sei, sette ed otto. Giovanni il Battista è stato presentato come un uomo inviato da Dio, (quindi una persona di altissima moralità), che venne come testimone con lo scopo di testimoniare la missione di Gesù Cristo sulla terra. Giovanni il Battista ha semplicemente riflettuto la luce eterna di Gesù Cristo. Nel quindicesimo verso però, l’autore indica una citazione diretta di Giovanni, l’ultimo dei profeti:

Giovanni gli dà testimonianza e proclama:
«Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me
è avanti a me,
perché era prima di me».

Vediamo la corrispondente pronuncia in greco:

Iōannēs martyrei peri autou kay kekragen legōn Houtos ēn hon eipon Ho opisō mou erchomenos emprosthen mou gegonen hoti prōtos mou ēn

Nel primo capitolo del Vangelo di Giovanni, dopo il Prologo, è descritto l’episodio nel quale un gruppo di sacerdoti e leviti giunsero dove viveva Giovanni e gli domandarono chi fosse (1, 19-28). Giovanni rispose di non essere il Cristo e nemmeno Elia. Rispose citando il profeta Isaia (40, 3), ossia identificando se stesso come colui che testimonia l’avvento del Signore. Quindi sempre nel primo capitolo (1, 29-34), vi è la descrizione di Gesù da parte di Giovanni il Battista. Innanzitutto la prima frase (1, 29):

“Il giorno dopo, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!”

Ma anche le frasi successive hanno un’importanza fondamentale. Vediamo il trentesimo verso:

Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”.

Questa citazione di Giovanni il Battista è riportata quasi uguale nel verso quindicesimo, come per rimarcarne l’assoluta importanza.
Secondo il teologo Zodhiates tra il quattordicesimo e il diciottesimo verso vi è una parentesi, rappresentata dal quindicesimo verso, esattamente come vi è una parentesi rappresentata dal sesto, settimo e ottavo verso, tra il primo e il quattordicesimo verso.
In effetti il quindicesimo verso non è interconnesso al quattordicesimo o con altri precedenti infatti non inizia con la congiunzione “e”, ma con la parola “Giovanni”.
Vi sono due motivi per i quali l’Evangelista descrive Giovanni il Battista nei versi sei, sette e otto del suo Prologo. Innanzitutto per risaltare la sua missione di testimone, e in secondo luogo per fugare ogni dubbio sulla sua persona in quanto qualcuno poteva pensare che il Battista fosse il Cristo, infatti nel verso ottavo è scritto:

Egli non era la luce,
ma doveva render testimonianza alla luce.

Il quindicesimo verso inizia con la frase “Giovanni gli dà testimonianza”, che translitterato è “Iōannēs martyrei”. E’ un presente storico. Perché è stato utilizzato un presente storico? Innanzitutto perché Giovanni il Battista, pur essendo morto da tempo, aveva lasciato una testimonianza così forte e chiara che ancora risuonava nella mente dell’Evangelista. In secondo luogo perché la testimonianza di Gesù Cristo è immutabile. Oggi si possono utilizzare differenti metodi per avvicinare la persone a Cristo, ma la testimonianza della sua persona deve essere uguale a quella di Giovanni il Battista. Egli ha detto che Gesù era l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo (1, 29) e ha detto che Gesù è il Figlio di Dio (1, 34). Quindi se si vuole testimoniare Gesù Cristo bisognerà farlo in modo concordante con Giovanni il Battista. Pertanto non è la testimonianza di Cristo che si deve adattare alle differenti epoche, ma è il predicatore e testimone di Cristo che deve correggere gli errori che vengono a crearsi nelle differenti situazioni storiche, continuando a divulgare il Vangelo, che è immutabile.
Quando Giovanni Evangelista scrive “Giovanni gli dà testimonianza”, usa il presente, mentre il verbo successivo, anche se è tradotto al presente nelle versioni bibliche italiane, (kekragen) è al passato. Secondo Zodhiates il primo verbo indica che la sua testimonianza non ha fine, continuerà a risuonare per sempre, mentre il secondo verbo indica che la sua testimonianza fisica fu data in un momento specifico della storia.
Il verbo kekragen deriva dal verbo krazoo che significa “gridare”, “fare clamore”. In effetti Giovanni il Battista gridò, annunciò con la sua forte voce l’arrivo del Messia.
Analizziamo ora la seconda frase:

«Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me
è avanti a me,
perché era prima di me».

Questa frase è simile, (ma non esattamente uguale) a quella del trentesimo verso del Prologo.
Alcune persone nel primo secolo si sono equivocate e hanno pensato che Giovanni il Battista fosse egli stesso il Messia. Oggi alcune persone si confondono e pensano che tra Giovanni il Battista e Gesù ci fosse stata una certa rivalità. Ma Giovanni il Battista, come descritto nel primo capitolo del Vangelo di Giovanni, ha dato una testimonianza verace e chiarissima, innanzitutto sulla missione di Gesù Cristo (1, 29), ma soprattutto sulla identità di Cristo (1, 30). Secondo questo verso, Gesù Cristo era prima del Battista, quindi “era” da sempre, quindi è l’Incarnazione di Dio. Inoltre Giovanni ha detto che Gesù Cristo battezza nello Spirito Santo (1, 34) e che Gesù Cristo  è il Figlio di Dio (1, 34).
Analizziamo la frase in questione: “Colui che viene dopo di me”. Questa frase si riferisce al fatto che Gesù nacque dopo Giovanni il Battista (sei mesi dopo, ma non sappiamo le esatte date di nascita), ed iniziò il suo ministero pubblico dopo quello di Giovanni il Battista. Da notare che “erchomenos” ossia “che viene” è lo stesso verbo che si è usato nel nono verso del Prologo quando ci si riferiva alla Luce eterna di Cristo.
Nella frase: “è avanti a me,” vi è l’avverbio emprosthen, che significa “avanti”.
Il verbo utilizzato nella frase “è avanti a me,” è gegonen, tempo perfetto del verbo ginomai che significa “cominciare a essere”. Questa frase si riferisce al tempo e non al rango. Cioè anche se Gesù è venuto dopo Giovanni il Battista, in realtà “era” prima di lui.
Nell’ultima frase il senso del quindicesimo verso si rivela in tutta la sua pienezza. E infatti si riporta: “perché era prima di me”. Con questa frase il Battista dichiarò la vera natura del Figlio di Dio, ossia la sua co-esistenza con il Padre da sempre, dall’eternità del passato.
Ancora una volta Giovanni, riportando la frase del Battista, ci vuole indicare che Gesù Cristo nella sua eternità e deità non fu creato, ma è auto-esistente. Gesù Cristo non è pertanto una creatura, ma è Dio stesso. Quindi, come Gesù vero uomo, Egli venne dopo Giovanni il Battista, ma come Cristo eterno, Egli “era” da sempre (il verbo utilizzato è “en”, che indica l’eternità). Pertanto Giovanni il Battista non ha avuto bisogno di descrivere il rango superiore di Gesù rispetto a lui. Ha dichiarato semplicemente che Gesù Cristo esiste da sempre, ed è pertanto vero Dio. Da ciò si evince che ogni predicatore che compara Gesù ad altri uomini saggi del passato non sta predicando il Vangelo, in quanto nel Vangelo Gesù è il Verbo, il Cristo eterno, Dio che si è fatto carne per dare la possibilità agli uomini di convertirsi in figli di Dio.

Yuri Leveratto
Copyright 2016

Bibliografia: Spiros Zodhiates, Cristo era Dio?

Immagine: la predicazione di Giovanni il Battista, Pieter Bruegel the Elder