lunedì 12 settembre 2016

I figli di Dio: analisi del dodicesimo verso del Vangelo di Giovanni


Come abbiamo visto nell’undicesimo verso del suo Prologo, Giovanni descrive in senso generale la venuta del Cristo eterno nel mondo e il fatto che non è stato accolto dalla sua creazione. In senso più specifico descrive la missione di Gesù Cristo nella sua terra, Israele, e il fatto che non è stato accolto dal suo popolo. Nel dodicesimo verso vi è però un’affermazione contraria e specifica: si descrive che alcune persone, non solo appartenenti alla nazione israelita, lo hanno accolto, ossia lo hanno riconosciuto come l’unico e solo Figlio di Dio.
Vediamo il dodicesimo verso del Vangelo di Giovanni:

A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,

Vediamo la corrispondente pronuncia in greco:

hosoi de elabon auton edōken autois exousian tekna Theou genesthai tois pisteuousin eis to onoma autou

Mentre nell’undicesimo verso vi è delineato un generale ripudio del Salvatore, nel dodicesimo verso si descrive l’accettazione di Cristo da parte di differenti persone, in forma individuale. La prima parola greca che analizziamo è: “hosoi”, che viene tradotta “A quanti” o “a tutti quelli che”. Questo pronome include la totalità e l’individualità allo stesso tempo: la totalità di coloro che lo hanno accettato e l’individualità di chi lo ha accettato. La prima categoria di persone che lo hanno accettato sono coloro i quali si sono convertiti a Cristo, coloro che credono che Egli è il Figlio di Dio e che è morto in croce per i nostri peccati. Queste persone si convertono in figli di Dio.
Nel pronome “hosoi” vi è però incluso anche il concetto di “individualità”, in quanto sono le persone singole che accettano Cristo. Queste persone possono essere di qualsiasi estrazione sociale, origine o etnia. La porta sarà sempre aperta per chiunque voglia entrare. Cristo non è il Salvatore di un popolo, ma lo è di ognuno di noi nella sua intimità e individualità. E’ il Salvatore di tutti coloro i quali credono nel suo nome.
Tornando al pronome “hosoi”, non vi è nulla nel dodicesimo verso che faccia intendere che esso sia riferito solo agli ebrei. Se lo fosse, come specificato da Frederick Luis Godet (1), si sarebbero dovute aggiungere le parole “ex autoon”, ossia “di loro”, e in questo modo il verso si sarebbe letto: “ma a quanti di loro che lo hanno accolto”. Al contrario “a quanti” è incondizionale e pertanto non è riferito solo agli ebrei, ma a tutti.
Analizziamo ora la frase “a quanti però lo hanno accolto”. A volte questa frase viene tradotta con “a quanti lo hanno ricevuto”. In effetti le parole “ricevere” o accogliere”, sono molto importanti nel Vangelo. E’ evidente che Giovanni si riferiva a Gesù Cristo, il Verbo eterno, che entrò nella storia con la sua Incarnazione, nel paesello di Betlemme, in Giudea.
Cosa significa ricevere o accogliere Gesù Cristo?
Secondo Giovanni, il Cristo eterno, prima di incarnarsi nella persona umana di Gesù, era Spirito eterno, infinito, onniscente e onnipotente. Quando, di sua propria volontà, volle limitarsi in un corpo umano, non cessò di essere ciò che è stato da sempre, dall’eternità del passato: il Cristo eterno spirituale. Accogliendolo, riceviamo il suo Spirito, e in questo modo Egli occupa pienamente il nostro essere. Quando una persona riceve Cristo è pienamente cosciente di ciò, e la sua vita cambierà per sempre. E’ come se bevesse l’acqua pura e fresca di una fonte di montagna. La serenità, la pace e l’amore saranno parte di lui per tutta la vita.
Nell’undicesimo verso si utilizza la parola “parelabon” tradotta con “hanno accolto”.
Vediamo l’undicesimo verso del Vangelo di Giovanni:

Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.

Nel dodicesimo verso si utilizza la parola “elabon”, che ugualmente significa sempre “hanno accolto”, ma rispetto a “parelabon” indica una maggiore attività da parte di chi riceve.
Chi riceve lo Spirito di Cristo, riconosce Gesù Cristo come suo Re, Signore e Salvatore.
Il verbo “elabon” (hanno accolto, hanno ricevuto), è nel secondo tempo aoristo. L’aoristo anche se è tradotto al tempo passato si usa per considerare il passato, il presente e il futuro. In pratica Giovanni ci sta comunicando che ci sono persone che accolsero Gesù durante la sua missione sulla terra, altri che lo accolsero verso la fine del primo secolo, quando Giovanni scrisse il suo Vangelo, e ci saranno altri che lo accoglieranno nel futuro. La salvezza in Cristo non ha mai avuto una limitazione cronologica nel tempo, ma è una situazione personale che chiunque ha potuto vivere e sperimentare anche prima di Cristo, giacchè la sua luce eterna ha brillato da sempre.
Il processo di ricezione e accoglimento di Cristo nel cuore dell’uomo è comunque solo l’inizio di un percorso che terminerà con la completa accoglienza che Cristo ci darà nel suo regno, il Regno di Dio. Da un certo punto di vista l’uomo fa un passo credendo e accogliendo Cristo in se e Cristo poi accoglie l’uomo definitivamente nel suo Regno.
Per quale motivo Giovanni non scrisse: “a quanti lo accolsero come Salvatore”? Perché scrisse solamente: “a quanti lo accolsero”?
E’evidente che lo scopo principale della missione di Gesù Cristo sulla terra è stato quello di salvare gli esseri umani, ossia liberarli dal peccato. Lo ha fatto con la sua morte vicaria sulla croce. In pratica Gesù Cristo è morto al posto nostro sulla croce e si è sacrificato espiando così tutti i peccati e quindi perdonandoli. Vediamo a tale proposito due passaggi importanti del Vangelo di Matteo:

(20, 28):
Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti.

(26, 27-28):
Poi prese il calice, rese grazie e lo diede loro, dicendo: «Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti per il perdono dei peccati.

Però se Giovanni avesse scritto: “a quanti lo accolsero come Salvatore”, l’uomo sarebbe autorizzato ad accogliere Cristo solo per un motivo egoista ossia per salvarsi. Ma in Cristo non c’è solo la salvezza, che è comunque determinante.
In Cristo vi è anche la gioia, la letizia, l’allegria di vivere per lui, mettendo in pratica e diffondendo il Vangelo. In questo modo l’uomo sta accogliendo Cristo e si converte in un figlio di Dio.
Analizziamo ora la frase: “a quelli che credono nel suo nome”. In realtà questa frase è intimamente legata alla prima: “A quanti però lo hanno accolto”.
Le parole greche “tois pisteuousin” significano “a quelli che credono”. Il mezzo per accogliere Cristo è la fede, in quanto una persona può ricevere Cristo solo se crede in lui. A tale proposito vediamo questo passaggio della Lettera agli Efesini (2, 8):

Per grazia infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio;

Sia la Grazia che la fede sono regali di Dio affinchè noi possiamo accogliere Gesù Cristo.
Pertanto la fede è in sintonia con l’accoglienza di Cristo. Credere è ricevere e ricevere è credere. Infatti le parole greche non sono “tois pisteusasi” (ossia: a quanti hanno creduto), ma bensì: “tois pisteuousin” (ossia: a quanti credono). Oltre a ciò bisogna sottolineare che la fede non si manifesta solo una volta, ma è costante. L’Apostolo Giovanni nel suo Vangelo utilizza novantanove volte il verbo credere (pisteuein), ma nemmeno una volta utilizza il sostantivo “il credere” o “la fede” (pistis). Per quale motivo?
Giovanni non descrive mai la fede come qualcosa di astratto. Si riferisce alla fede come qualcosa che è parte del cuore umano. Colui che crede è l’uomo e colui nel quale si crede è Dio incarnato in un essere umano. Quindi nel momento che una persona crede, riceve Gesù Cristo.
Molte volte troviamo, nel Nuovo Testamento, la parola “nel nome di Cristo”. Nel greco ellenistico, l’espressione “nel nome di” era usata sia nel senso legale che in quello commerciale. A volte si diceva “depositalo a mio nome” o “per conto mio”. Anche nel senso commerciale si utilizza la frase “firmare un assegno con il proprio nome”. La persona che riceve l’assegno “ha avuto fede”, ossia “ha creduto”, che la persona che gli ha consegnato l’assegno avesse del denaro nel conto e che quel denaro fosse suo. La persona che ha ricevuto l’assegno ha avuto fede nel nome della persona che glielo ha consegnato.
La relazione con Dio si può riassumere così: Dio è Vita e Luce. L’uomo ha bisogno della salvezza, della vita eterna, ma solo attraverso la Luce eterna di Cristo, e solo credendo nel nome di Cristo, l’uomo può giungere al Padre, alla salvezza.
Giovanni ci ha descritto Cristo come il Verbo eterno, la Vita e la Luce del mondo. Solo se crediamo che Gesù Cristo è l’Incarnazione di Dio il suo nome avrà potere su di noi e i nostri peccati saranno perdonati. Se Gesù fosse stato un semplice uomo, non avrebbe potuto essere il Salvatore del mondo.
Credere nel “nome di Gesù Cristo” significa credere che lui possa compiere qualsiasi cosa, e in specialmodo significa credere che lui possa perdonare i nostri peccati, rendendoci così liberi e quindi, salvi. C’è inoltre una stretta relazione tra credere e ricevere. Credere nel nome di Cristo ci permette di riceverlo. Ciò fa si che lui si faccia “nostro”. Quante volte abbiamo ascoltato le parole “mio Dio!”. In questo modo Gesù Cristo è nostro e noi siamo “di Cristo”. Se diciamo “si”, credendo nel nome di Gesù Cristo ci convertiamo in figli di Dio e accettiamo anche che lui è morto per noi, ottenendo così la redenzione dei peccati.
A questo punto analizziamo la frase: “ha dato potere di diventare figli di Dio”. Da questa frase si evince che non tutti gli umani sono “figli di Dio”. Solo coloro che accolgono, che ricevono Gesù Cristo, diventano “figli di Dio”.
Innanzitutto questa frase significa che siccome l’uomo può diventare figlio di Dio, anteriormente alla sua conversione, non lo era.
Molte persone oggi credono che tutti gli esseri umani siano “figli di Dio”. Arrivano a questa conclusione errata in quanto pensano che siccome Dio è il Creatore, tutti dovremmo essere suoi figli. Invece il Vangelo di Giovanni è chiaro: siamo tutti creature di Dio, ma non tutti siamo “figli di Dio”. L’uomo fu creato inizialmente ad immagine e somiglianza di Dio, però ha deciso di seguire Satana e non obbedire al suo Creatore. Pertanto l’uomo ha preferito convertirsi in figlio del male, piuttosto che in “figlio di Dio”.
Vi sono altri passaggi del Vangelo di Giovanni dove si evidenziano questi concetti, vediamone due:
Nella seconda parte del verso (8, 41) gli interlocutori di Gesù dicono:

“Gli risposero allora: «Noi non siamo nati da prostituzione; abbiamo un solo padre: Dio!»

E Gesù afferma, nel verso (8, 44):

Voi avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli era omicida fin da principio e non stava saldo nella verità, perché in lui non c’è verità. Quando dice il falso, dice ciò che è suo, perché è menzognero e padre della menzogna.

Pertanto se l’uomo resta nel peccato e nella disobbedienza non è un “figlio di Dio”, ma è bensì un “figlio di satana”.
Il secondo insegnamento che si può trarre dalla frase “ha dato potere di diventare figli di Dio”, è che qualsiasi persona, anche se ha vissuto molti anni nel peccato, nell’errore e nelle tenebre, può ricevere Cristo e può essere accolto da Dio come figlio.
Ovviamente, come spiegato anteriormente, per poter ricevere, deve credere.
Il verbo utilizzato è edōken (ha dato), che appare nel tempo aoristo. Anche se l’uomo ha voltato le spalle a Dio, Dio, con Cristo, gli ha dato la possibilità di redimersi. Dopo che l’uomo ha lasciato la casa del Padre, Dio non ha mai chiuso la porta, ma l’ha lasciata aperta in modo che l’uomo possa avere l’opzione di tornare.
Torniamo ora ad analizzare la parola edōken (ossia: ha dato). Questa parola deriva dalla stessa radice delle parole dosis e dooron, che significa “regalo”. Pertanto la frase “ha dato”, implica la nozione di dare con generosità e senza costo alcuno. L’attitudine di Dio verso di noi e verso il nostro stato peccaminoso è generosa. Non importa quale sia stato il nostro peccato. Può anche essere stato un peccato grave, ma la Grazia di Dio è più che sufficiente per “coprirlo”, “espiarlo”.
La parola edōken viene utilizzata anche nel verso (3, 16) del Vangelo di Giovanni:

Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.

Il fatto che la Grazia di Dio è senza costo, significa che noi non dobbiamo “pagare” nulla. Il prezzo del nostro peccato è già stato pagato da Dio mediante il sacrificio di suo Figlio, Gesù Cristo, con la sua morte in croce. Vediamo a tale proposito questo passaggio della Lettera ai Romani (6, 23):

Perché il salario del peccato è la morte; ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore.

La parola exousian viene tradotta con “potere”. Questo sostantivo deriva dal verbo exesti che significa “è permesso”. Pertanto exousian si riferisce al permesso, al diritto, alla libertà e al potere di convertirsi in “figli di Dio”. Nel permesso che Dio da all’uomo di diventare suo figlio, è inclusa anche la capacità di potersi convertire. Questo “permesso” o “diritto”, si ottiene per Grazia per mezzo della fede (Lettera agli Efesini 2, 8).
Exousian è pertanto “diritto” e “potere”. All’uomo viene dato il diritto e il potere di convertirsi in qualcuno che non era. Il “figlio di Dio” è pertanto “una persona nuova”.
Non è che per essere cristiani dobbiamo fare determinati atti. Ma bensì quando diveniamo cristiani, quando ci convertiamo in “figli di Dio”, istintivamente realizziamo atti cristiani (opere buone). Il verbo utilizzato è genesthai (diventare, essere fatti), e non deve essere interpretato come se l’uomo potesse convertirsi di sua volontà. E’ Dio che da questa capacità, questo potere, come si evince anche dal tredicesimo verso.
Genesthai è l’infinitivo del secondo tempo aoristo e si riferisce a due cose.
La prima è il fatto definitivo del cambiamento che si è attuato nella persona convertita che diventa “figlio di Dio”. La seconda implica un fine: quando qualcuno si converte in “figlio di Dio” non è come ottenere qualcosa che poi si può perdere. E’ ovvio che per alcuni il cambio di paradigma non è istantaneo, ma è un processo lento che da comunque la salvezza.
Una volta che una persona si converte in “figlio di Dio”, non può tornare indietro. Non può “perdere la fede”. Può tornare a peccare ma, se la conversione era reale, tornerà sempre a Cristo.
Un terzo punto da analizzare del verbo “genesthai” è il fatto che la conversione non può ripetersi. Succede una volta e per sempre. Una persona non può convertirsi in figlio di Dio molte volte nella sua vita.
Pertanto i convertiti in Cristo sono nati due volte: la prima físicamente, e la seconda spiritualmente, come specificato nel Vangelo di Giovanni (3, 5):

Rispose Gesù: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio.

C’è una splendida armonia tra “genesthai” e il sostantivo tekna (figli). Tekna deriva dal verbo tiktein che significa generare, dare alla luce. Pertanto, quando crediamo in Gesù Cristo siamo creature nuove. Vediamo a tale proposito il seguente passaggio della Seconda Lettera ai Corinzi (5, 17):

Tanto che, se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove.

Da notare che il Signore Gesù Cristo non viene mai chiamato “teknon Theou”, ossia “un figlio di Dio”, ma sempre “ho huios tou Theou”, ossia: “il Figlio di Dio”. O altre volte volte viene chiamato “ho huioss ton anthroopon”, ossia “il Figlio dell’Uomo”. Questo perché la parola teknon (figlio) non si applica a Gesù Cristo in quanto il Padre non ha mai creato o dato alla luce il Figlio. Se così fosse il Figlio non sarebbe Dio, consustanziale al Padre, ma sarebbe un essere creato e quindi minore. Ma ciò contraddirebbe il primo verso del Vangelo di Giovanni:

In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.

Nella seconda frase del primo verso: “e il Verbo era presso Dio”, notiamo che il Verbo era in eterna comunione con Dio Padre da sempre, dall’eternità.
Teknon (figlio) indica derivazione, mentre “huios” indica “eterna comunione” o “perfetta relazione”.
In ultima analisi, quando una persona si converte in “figlio di Dio”, vi è l’ingresso della natura divina nella persona umana. La parola teknon indica inoltre la delicatezza e l’amore con i quali il Padre tratta i suoi figli.
Giovanni ci vuole comunicare che credendo e convertendoci in “figli di Dio”, non solo otteniamo la salvezza, ma siamo anche amati profondamente da Dio. Arriviamo così a sentire che realmente Dio è nostro Padre.

Yuri Leveratto
Copyright 2016

Nota:
1-Frederick Luis Godet, Commenti sul Vangelo di Giovanni, Grand Rapids, Zondervan, pag. 164.

giovedì 8 settembre 2016

Alcune profezie sulla morte in croce di Gesù Cristo


La stirpe della donna sarà ferita:

Genesi (3, 14):
Io porrò inimicizia fra te e la donna,
fra la tua stirpe e la sua stirpe:
questa ti schiaccerà la testa
e tu le insidierai il calcagno».

compimento:
Vangelo di Giovanni (19, 18):
dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù in mezzo. 

Grido di dolore sulla croce:

Salmi (22, 1)
Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
Lontane dalla mia salvezza le parole del mio grido!

compimento:
Vangelo di Matteo (27, 46):
Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: «Elì, Elì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». 

Tenebre sulla terra

Salmi (22, 2):
Mio Dio, grido di giorno e non rispondi;
di notte, e non c’è tregua per me.

compimento:
Vangelo di Matteo (27, 45):
A mezzogiorno si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. 

Gesù disprezzato dalla gente

Salmi (22, 6)
Ma io sono un verme e non un uomo,
rifiuto degli uomini, disprezzato dalla gente.

compimento:
Vangelo di Matteo (27, 39-44):
Quelli che passavano di lì lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: «Tu, che distruggi il tempio e in tre giorni lo ricostruisci, salva te stesso, se tu sei Figlio di Dio, e scendi dalla croce!». Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi e gli anziani, facendosi beffe di lui dicevano: «Ha salvato altri e non può salvare se stesso! È il re d’Israele; scenda ora dalla croce e crederemo in lui. Ha confidato in Dio; lo liberi lui, ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: “Sono Figlio di Dio”!». Anche i ladroni crocifissi con lui lo insultavano allo stesso modo.

Gesù circondato dai nemici

Salmi (22, 7-8):
Si fanno beffe di me quelli che mi vedono,
storcono le labbra, scuotono il capo:
«Si rivolga al Signore; lui lo liberi,
lo porti in salvo, se davvero lo ama!».

Salmi (22, 13):
aprono la loro gola contro di me,
come un leone rapace e ruggente.

compimento:
Vangelo di Matteo (27, 39-44):
Quelli che passavano di lì lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: «Tu, che distruggi il tempio e in tre giorni lo ricostruisci, salva te stesso, se tu sei Figlio di Dio, e scendi dalla croce!». Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi e gli anziani, facendosi beffe di lui dicevano: «Ha salvato altri e non può salvare se stesso! È il re d’Israele; scenda ora dalla croce e crederemo in lui. Ha confidato in Dio; lo liberi lui, ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: “Sono Figlio di Dio”!». Anche i ladroni crocifissi con lui lo insultavano allo stesso modo.

Mani e piedi trafitti

Salmi (22, 14):
Io sono come acqua che si sparge,
e tutte le mie ossa sono slogate;
il mio cuore è come la cera,
si scioglie in mezzo alle mie viscere.

Salmi (22, 16):
Poiché cani mi hanno circondato;
una folla di malfattori m'ha attorniato;
m'hanno forato le mani e i piedi.

compimento:
Vangelo di Giovanni (19, 34):
ma uno dei soldati gli forò il costato con una lancia, e subito ne uscì sangue e acqua.

Vangelo di Giovanni (19, 37):
E un'altra Scrittura dice:
«Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto».

Nessun osso gli fu rotto

Salmi (22, 17):
Posso contare tutte le mie ossa.
Essi mi guardano e mi osservano:

Salmi 34, 20
Egli preserva tutte le sue ossa;
non se ne spezza neanche uno.

Esodo (12, 46):
Si mangi ogni agnello per intero in una casa. Non portate fuori casa nulla della sua carne e non gli spezzate neanche un osso. 

compimento:
Vangelo di Giovanni (19, 36):
Poiché questo è avvenuto affinché si adempisse la Scrittura:
«Nessun osso di lui sarà spezzato».

Lo stavano osservando 

Salmi (22, 17):
Posso contare tutte le mie ossa.
Essi mi guardano e mi osservano:

compimento:
Vangelo di Matteo (27, 36):
e, postisi a sedere, gli facevano la guardia.

Tirarono a sorte

Salmi (22, 18):
spartiscono fra loro le mie vesti
e tirano a sorte la mia tunica.

compimento:
Vangelo di Matteo (27, 35):
Poi, dopo averlo crocifisso, spartirono i suoi vestiti, tirando a sorte;

Non stracciarono la sua tunica

Salmi (22, 18):
spartiscono fra loro le mie vesti
e tirano a sorte la mia tunica.

compimento:
Vangelo di Giovanni (19, 24):
Dissero dunque tra di loro: «Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocchi»; affinché si adempisse la Scrittura che dice:
«Hanno spartito fra loro le mie vesti,
e hanno tirato a sorte la mia tunica».
Questo fecero dunque i soldati.

Rese lo spirito

Salmi (22, 21):
salvami dalla gola del leone.
Tu mi risponderai liberandomi dalle corna dei bufali.

Salmi (31, 5):
Nelle tue mani rimetto il mio spirito;
tu m'hai riscattato, o SIGNORE,
Dio di verità.

compimento:
Vangelo di Giovanni (19, 30):
Quando Gesù ebbe preso l'aceto, disse: «È compiuto!» E, chinato il capo, rese lo spirito.

Vangelo di Luca (23, 46):
Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani rimetto lo spirito mio». Detto questo, spirò.

Vangelo di Giovanni (10, 18):
Nessuno me la toglie, ma io la depongo da me. Ho il potere di deporla e ho il potere di riprenderla. Quest'ordine ho ricevuto dal Padre mio».

Falsi testimoni

Salmi (35, 11):
Si alzano contro di me perfidi testimoni;
mi interrogano su cose delle quali non so nulla.

compimento:
Vangelo di Marco (14, 56):
Molti deponevano il falso contro di lui; ma le testimonianze non erano concordi.

Gli amici guardamano da lontano

Salmi (38, 11):
Amici e compagni stanno lontani dalla mia piaga,
i miei stessi parenti si fermano a distanza.

compimento:
Vangelo di Luca (23, 49):
Ma tutti i suoi conoscenti e le donne che lo avevano accompagnato dalla Galilea stavano a guardare queste cose da lontano.

Tradimento di Giuda

Salmi (41, 9):
Anche l'amico con il quale vivevo in pace,
in cui avevo fiducia, e che mangiava il mio pane,
si è schierato contro di me.

compimento:
Vangelo di Marco (14, 10):
Giuda Iscariota, uno dei dodici, andò dai capi dei sacerdoti con lo scopo di consegnare loro Gesù.

Vangelo di Giovanni (13, 18-19):
«Non parlo di voi tutti; io conosco quelli che ho scelti; ma, perché sia adempiuta la Scrittura:
"Colui che mangia il mio pane,
ha levato contro di me il suo calcagno".
Ve lo dico fin d'ora, prima che accada; affinché quando sarà accaduto, voi crediate che io sono.

La sete di Gesù

Salmo (69, 3):
Sono stanco di gridare, la mia gola è riarsa;
i miei occhi si spengono nell'attesa del mio Dio.

compimento:
Vangelo di Giovanni (19, 28):
Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era già compiuta, affinché si adempisse la Scrittura, disse: «Ho sete».

I soldati scherniscono Gesù

Salmi (69, 19):
Tu conosci la mia vergogna, il mio disonore e la mia infamia;
davanti a te sono tutti i miei nemici.

compimento:
Vangelo di Matteo (27, 28-29):
E, spogliatolo, gli misero addosso un manto scarlatto; intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero una canna nella mano destra e, inginocchiandosi davanti a lui, lo schernivano, dicendo: «Salve, re dei Giudei!»

L’aceto offerto a Gesù

Salmi (69, 21):
Hanno messo fiele nel mio cibo,
e mi hanno dato da bere aceto per dissetarmi.

compimento:
Vangelo di Giovanni (19, 29):
C'era lì un vaso pieno d'aceto; posta dunque una spugna, imbevuta d'aceto, in cima a un ramo d'issopo, l'accostarono alla sua bocca.

I passanti scuotono il capo

Salmi (109, 25):
Sono diventato per loro un oggetto di scherno;
quando mi vedono scuotono il capo. 

compimento:
Vangelo di Matteo (27, 39-40):
E quelli che passavano di là, lo ingiuriavano, scotendo il capo e dicendo: «Tu che distruggi il tempio e in tre giorni lo ricostruisci, salva te stesso, se tu sei Figlio di Dio, e scendi giù dalla croce!»  

L’ora della morte

Daniele (9, 26):
Dopo le sessantadue settimane un unto sarà soppresso, nessuno sarà per lui. Il popolo d'un capo che verrà distruggerà la città e il santuario; la sua fine verrà come un'inondazione ed è decretato che vi saranno devastazioni sino alla fine della guerra.

compimento:
Vangelo di Giovanni (11, 50-52):
e non riflettete come torni a vostro vantaggio che un uomo solo muoia per il popolo e non perisca tutta la nazione». Or egli non disse questo di suo; ma, siccome era sommo sacerdote in quell'anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire in uno i figli di Dio dispersi.

Gesù colpito e schernito

Isaia (50, 6):
Io ho presentato il mio dorso a chi mi percoteva,
e le mie guance a chi mi strappava la barba;
io non ho nascosto il mio vòlto
agli insulti e agli sputi.

compimento:
Vangelo di Matteo (27, 26):
Allora egli liberò loro Barabba; e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso.

Vangelo di Matteo (27, 30):
E gli sputavano addosso, prendevano la canna e gli percotevano il capo.

Gesù dileggiato dai soldati crudeli

Isaia (52,14):
Come molti, vedendolo, sono rimasti sbigottiti
(tanto era disfatto il suo sembiante al punto da non sembrare più un uomo, e il suo aspetto al punto da non sembrare più un figlio d'uomo)

compimento:
Vangelo di Matteo (27, 27-30):
Allora i soldati del governatore portarono Gesù nel pretorio e radunarono attorno a lui tutta la coorte. E, spogliatolo, gli misero addosso un manto scarlatto; intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero una canna nella mano destra e, inginocchiandosi davanti a lui, lo schernivano, dicendo: «Salve, re dei Giudei!» E gli sputavano addosso, prendevano la canna e gli percotevano il capo.

Gesù disprezzato e ripudiato dagli uomini

Isaia (53, 1-3):
Chi ha creduto a quello che abbiamo annunciato?
A chi è stato rivelato il braccio del SIGNORE?
Egli è cresciuto davanti a lui come una pianticella,
come una radice che esce da un arido suolo;
non aveva forma né bellezza da attirare i nostri sguardi,
né aspetto tale da piacerci.
Disprezzato e abbandonato dagli uomini,
uomo di dolore, familiare con la sofferenza,
pari a colui davanti al quale ciascuno si nasconde la faccia,
era spregiato, e noi non ne facemmo stima alcuna.

compimento:
Vangelo di Marco (15, 29-32):
Quelli che passavano lì vicino lo insultavano, scotendo il capo e dicendo: «Eh, tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso e scendi giù dalla croce!» Allo stesso modo anche i capi dei sacerdoti con gli scribi, beffandosi, dicevano l'uno all'altro: «Ha salvato altri e non può salvare se stesso. Il Cristo, il re d'Israele, scenda ora dalla croce, affinché vediamo e crediamo!» Anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano.

Gesù crocifisso per i nostri peccati

Isaia (53, 4-6):
Tuttavia erano le nostre malattie che egli portava,
erano i nostri dolori quelli di cui si era caricato;
ma noi lo ritenevamo colpito,
percosso da Dio e umiliato!
Egli è stato trafitto a causa delle nostre trasgressioni,
stroncato a causa delle nostre iniquità;
il castigo, per cui abbiamo pace, è caduto su di lui
e mediante le sue lividure noi siamo stati guariti.
Noi tutti eravamo smarriti come pecore,
ognuno di noi seguiva la propria via;
ma il SIGNORE ha fatto ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti.

compimento:
Vangelo di Marco (15, 25):
Era l'ora terza quando lo crocifissero.

Prima Lettera di Pietro (2, 24):
egli ha portato i nostri peccati nel suo corpo, sul legno della croce, affinché, morti al peccato, vivessimo per la giustizia, e mediante le sue lividure siete stati guariti.

Gesù offerta per il peccato (la sua morte è vicaria)

Isaia (53, 5-6):
Egli è stato trafitto a causa delle nostre trasgressioni,
stroncato a causa delle nostre iniquità;
il castigo, per cui abbiamo pace, è caduto su di lui
e mediante le sue lividure noi siamo stati guariti.
Noi tutti eravamo smarriti come pecore,
ognuno di noi seguiva la propria via;
ma il SIGNORE ha fatto ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti.

compimento:
Vangelo di Giovanni (19, 16):
Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso.

Lettera ai Romani (4, 25):
il quale è stato dato a causa delle nostre offese ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione.

Seconda Lettera ai Corinzi (5, 21):
Colui che non ha conosciuto peccato, egli lo ha fatto diventare peccato per noi, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui.

Figura in alto: Marc Chagall, L'esodo

mercoledì 7 settembre 2016

Venne fra i suoi: analisi dell’undicesimo verso del Vangelo di Giovanni


Nell’undicesimo verso del Prologo, Giovanni descrive il fatto che Gesù Cristo è venuto “fra i suoi”, nella sua terra, ma non è stato accolto:

Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.

Vediamo la corrispondente pronuncia in greco:

Eis ta idia ēlthen kai hoi idioi auton ou parelabon

Quando Giovanni scrisse “venne”, usando il verbo greco ēlthen, si riferiva all’Incarnazione. Nel nono verso aveva scritto:

Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.

Nell’undicesimo verso, invece di “veniva”, Giovanni scrisse “venne”, utilizzando il tempo aoristo, e indicando un fatto definitivo della storia. Durante molto tempo Cristo stava arrivando, era in procinto di manifestarsi. Poi, finalmente, giunse.
Gesù Cristo non venne al mondo perché obbligato, o perché doveva venire. Non fu un dovere, fu il massimo atto di Grazia.
Non fu il nostro peccato ad obbligarlo a venire tra di noi, ma fu un atto di Grazia.
Gesù Cristo “venne fra i suoi”. Questa espressione in greco è “Eis ta idia”.
Idios si riferisce a qualcosa in contrasto con la proprietà pubblica. Ta idia si può tradurre con: “nel suo”, “la sua casa”, “la sua terra”, “la sua proprietà”. Ciò ci fa ponderare e comprendere che in realtà noi umani non siamo proprietari di nulla su questa terra.
Ta idia si può interpretare in due modi: si può riferire al pianeta terra, quindi “i suoi”, sono gli abitanti del pianeta; o si riferisce alla terra di Israele, quindi, “i suoi” sono gli ebrei.
Secondo la prima interpretazione Gesù Cristo considera che la terra sia di sua esclusiva proprietà. Gesù Cristo non chiese a nessuno il permesso di venire nella sua proprietà. A tale proposito vediamo alcuni versi biblici che corroborano questo concetto:

Esodo (19, 5):

Ora, se darete ascolto alla mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me una proprietà particolare tra tutti i popoli; mia infatti è tutta la terra!

Levitico (25, 23):

Le terre non si potranno vendere per sempre, perché la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e ospiti.

1 Cronache (29, 14):

E chi sono io e chi è il mio popolo, per essere in grado di offrirti tutto questo spontaneamente? Tutto proviene da te: noi, dopo averlo ricevuto dalla tua mano, te l’abbiamo ridato.

Salmi (24, 1):

Del Signore è la terra e quanto contiene:
il mondo, con i suoi abitanti.

Salmi (50, 10):

Sono mie tutte le bestie della foresta,
animali a migliaia sui monti.

Ezechiele (18, 4):

Ecco, tutte le vite sono mie: la vita del padre e quella del figlio è mia; chi pecca morirà.

Il fatto che Gesù venne nella sua proprietà potrebbe far pensare che in un certo senso ne rimase lontano per un certo tempo. Nel decimo verso si afferma che Cristo “era nel mondo”, mentre nell’undicesimo verso si afferma che “venne fra i suoi”. Vi è contraddizione tra i due scritti?
No, in quanto Cristo era nell’universo nel suo stato pre-incarnato, spirituale ed eterno, fin dall’eternità.
La frase “venne fra i suoi”, si riferisce ad una manifestazione particolare e specifica del Cristo eterno nell’uomo Gesù. Pertanto, come Cristo eterno, lui sempre era nel mondo, come uomo Gesù Cristo, venne fra i suoi, nel momento decisivo della storia umana.
La seconda interpretazione delle parole “ta idia” è che la sua proprietà sia la terra di Israele. E’ indubbio che nel decimo verso Giovanni ci comunica che Cristo era nel mondo, in forma spirituale, sin da quando creò il mondo. Si è occupato della sua creazione sostenendo l’universo e regolandolo con leggi armoniche.
Però, seguendo la seconda interpretazione, Cristo venne in una zona specifica del mondo, Israele, la terra degli ebrei, il popolo da lui eletto nell’Antico Testamento.
Cosicchè Israele e il suo popolo sono stati la porta attraverso la quale il Signore apparve al resto del mondo. Vediamo alcune citazioni bibliche che confermano che Dio chiama Israele il popolo eletto:

Esodo, (19, 5):

Ora, se darete ascolto alla mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me una proprietà particolare tra tutti i popoli; mia infatti è tutta la terra!

Deuteronomio (7, 6):

Tu infatti sei un popolo consacrato al Signore, tuo Dio: il Signore, tuo Dio, ti ha scelto per essere il suo popolo particolare fra tutti i popoli che sono sulla terra.

Deuteronomio (26, 18):

Il Signore ti ha fatto dichiarare oggi che tu sarai il suo popolo particolare, come egli ti ha detto, ma solo se osserverai tutti i suoi comandi.

Quando Gesù venne al mondo gli ebrei erano sotto la dominazione romana. Alcuni di loro speravano che il Messia fosse non solo il Salvatore spirituale, ma anche un liberatore politico e nazionale. Non considerarono che il Salvatore è venuto per liberare tutti dalla schiavitù del peccato, e quindi annullare ogni ingiustizia. (Quindi venne anche per i romani).

Analizziamo ora la seconda parte dell’undicesimo verso: “e i suoi non lo hanno accolto”.
La venuta di Cristo sulla terra è annunciata da circa trecento profezie nell’Antico Testamento. Il Messia era atteso, ma quando finalmente giunse l’ora del suo arrivo, “i suoi non lo hanno accolto”. Dio camminò su questa terra, in forma umana nella persona di Gesù Cristo, ma coloro i quali lo avevano aspettato, non lo hanno riconosciuto, ne accolto.
“Non lo hanno riconosciuto”, si evince dal decimo verso, e siccome non lo riconobbero, non lo accolsero.
Questa frase “e i suoi non lo hanno accolto” è forse l’affermazione più dolorosa del Nuovo Testamento. Gesù era atteso, ma non fu benvenuto.
Tornando al tema della Grazia, Gesù Cristo venne al mondo come un regalo per gli esseri umani, e in specialmodo per gli ebrei. Fu come la pioggia dopo un lungo periodo di siccità.
Ma malgrado ciò, non fu riconosciuto, ne accolto. E’ come se un uomo torna alla sua famiglia dopo essere stato lontano e ne sua moglie ne i suoi figli lo riconoscono.
Anche se Gesù Cristo fu accolto da alcune persone (sono descritte nel dodicesimo verso), la maggioranza degli uomini non lo accolse come Dio fatto uomo.

Yuri Leveratto
Copyright 2016

Foto: Chagall, crocifissione bianca.

venerdì 2 settembre 2016

Il mondo non lo ha riconosciuto: analisi del decimo verso del Vangelo di Giovanni


Sebbene l’Evangelista Giovanni nel nono verso del Prologo si era riferito alla “luce vera che veniva nel mondo”, nel decimo verso torna a descrivere l’esistenza previa di Cristo, il Verbo.
“Veniva nel mondo” si riferisce all’Incarnazione, che era in procinto di accadere. “Era nel mondo”, invece, si riferisce alla sua esistenza eterna, al Verbo, il Logos.
Vediamo il decimo verso del Prologo:

Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.

Vediamo la corrispondente pronuncia in greco:

En tō kosmō ēn kai ho kosmos di’ autou egeneto kai ho kosmos auton ouk egnō

Nel nono verso abbiamo visto che l’Evangelista utilizzava il verbo “erchomenon”, ossia “veniva”. Ma nella prima parte del decimo verso si utilizza il verbo “en”, ossia “era”, l’imperfetto durativo del verbo eimi, che, come abbiamo visto varie volte, si riferisce, nel Prologo, all’eternità di Cristo.
La parola “kosmos”, (mondo), ha molteplici significati. In questo caso si riferisce all’universo, l’insieme dello spazio fisico dove sono inclusi il sole e la terra.
La frase “era nel mondo”, può intendersi come: “Cristo non si è mai separato dalla sua creazione”. Al contrario, si è sempre occupato con amore di ciò che ha creato, e continua con la sua azione a mantenere l’armonia e l’ordine. Cristo pertanto non ha solo creato il mondo, ma continua ad esserne la forza sostentatrice.
Questo concetto è espresso anche da Paolo di Tarso nella Lettera ai Colossesi (1, 17):

Egli è prima di tutte le cose
e tutte in lui sussistono.

La parola greca originale per “sussistono” è “sunesteeken”, che significa “mantenere unito”.
Il kosmos è appunto un’insieme ordinato di forme, che sussistono in armonia. Pensiamo per un attimo alla terra, che ruota su se stessa e intorno al sole, alla luna che causa le maree, alle piante che crescono e producono foglie e frutti, dei quali si alimentano gli animali. E’ un insieme armonico, contrapposto al caos, ossia al disordine.
Questo concetto viene espresso anche nella Lettera agli Ebrei, (1, 3):

Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola potente. Dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, sedette alla destra della maestà nell’alto dei cieli,

“Tutto sostiene”, ossia l’universo, viene reso in greco con le parole “pherōn te ta panta”.
Mentre nei versi precedenti del Prologo si evince che Cristo esisteva prima della creazione (1, 1) e che lui creò l’universo (1, 3), in questa prima parte del decimo verso si afferma che lui sosteneva l’universo.
Ciò ovviamente non deve essere frainteso con il panteismo. Che Cristo sia nel mondo, ossia che si occupi della sua creazione, non significa che lui “sia il mondo”. La natura non è Dio come alcuni erroneamente credono, ma è semplicemente una creazione di Dio.
Nella seconda parte del decimo verso vi è scritto: “e il mondo è stato fatto per mezzo di lui”. Il verbo utilizzato qui è “egeneto”, ossia “creare, fare, entrare in esistenza”. E’ lo stesso verbo utilizzato nel terzo verso del Prologo.
Giovanni pertanto usa “egeneto” quando vuole riferirsi ad un fatto storico che è successo in un determinato momento: la creazione del mondo. In pratica Giovanni ribadisce quanto affermato nel terzo verso.
Nell’ultima parte del decimo verso vi è scritto: “eppure il mondo non lo ha riconosciuto”.
La parola kosmos si usa anche per riferirsi all’insieme degli esseri umani, ossia l’umanità. (1).
Le parole greche tradotte “non lo ha riconosciuto”, sono ouk egnō. E’ il tempo aoristo del verbo ginoosko, “conoscere”. Significa: “conoscere per osservazione” e differisce dal verbo “eidenai” che significa “conoscere per riflessione”. In pratica questa terza frase del decimo verso significa che quando il Verbo si è incarnato nella persona di Gesù Cristo, è stato osservabile, visibile, ma malgrado ciò l’umanità (il mondo), nel suo complesso non lo ha riconosciuto come il Cristo eterno, il Logos.
Ciò si evince anche dal seguente verso del Vangelo di Giovanni (16, 3):

E faranno ciò perché non hanno conosciuto ne il Padre, ne me.

Sarà nel dodicesimo e nel tredicesimo verso che Giovanni descriverà invece chi sono coloro i quali lo hanno accolto.

Yuri Leveratto
Copyright 2016

Nota1- altre volte la parola kosmos si riferisce all’insieme dei comportamenti umani considerati negativi dal punto di vista biblico.

Foto: Codex Bezae, Prologo del Vangelo di Giovanni 1, 1-16 AD 400.