sabato 2 dicembre 2017

Commento al “Trattato teologico-politico” di Baruch Spinoza


Baruch Spinoza (1632-1677) è stato un filosofo ebreo razionalista. 
Per le sue idee non ortodosse sulla natura di Dio e per la sua critica alla Bibbia, fu espulso, nel 1656, dalla comunità degli ebrei olandesi, e in seguito fu persino criticato da comunità di calvinisti.
Per Spinoza esisteva una sola sostanza: Dio. Spinoza però non si riferiva al Dio della Bibbia, quindi l’Essere Trascendente creatore dell’universo, ma a un Dio che è in tutte le cose, un Dio “freddo”, che non partecipa attivamente alla vita delle sue creature. 
Per Spinoza tutti gli esseri, compreso l’uomo, facevano parte della sostanza di Dio. Questa “sostanza” non ha bisogno di essere generata, ma esiste da sempre. E’ eterna, infinita ed unica. Proprio perché unica, la sostanza è sia Dio che l’universo. In pratica l’universo non è stato creato da Dio, ma è una “emazione di Dio”. 
Dio, per Spinoza, non è separato dalle creature, ma è nelle sue creature. Le creature sono aspetti della sostanza di Dio. 
Il Dio di Spinoza quindi non ha ne intelletto, ne volontà, ne amore, e non è quindi “una persona”, come invece è l’Essere Trascendente descritto nella Bibbia, che si è incarnato nella persona umana di Gesù Cristo. Non essendo una persona, il “Dio di Spinoza” è un essere freddo, che non interagisce con le sue “emanzioni”. Secondo Spinoza la materia e le anime derivano da Dio in modo inevitabile, ma questa inevitabilità deriva dalle leggi di natura, ossia dalle leggi che Dio si è dato sin dall’eternità. 
Il pensiero di Spinoza, detto anche panenteistico (noi siamo in Dio e Dio è in noi), ha certe similitudini con la filosofia di Parmenide di Elea o con le attuali filosofie dello “yoga della conoscenza”, il cosidetto “Jinani yoga” (facente parte dell’induismo).  
Per confutare brevemente la visione metafisica di Spinoza si potrebbe obiettare che la “sostanza” delle cose create, ossia: materia, vegetali, animali, uomini, non dimostra di essere “divina”, in quanto non ne ha gli attributi. Nessuna delle cose create, incluso l’uomo, dimostrano onniscenza, onnipotenza, eternità, ma al contrario tutte queste cose create dimostrano di essere temporanee, deboli, soggette alla morte, o all’entropia. 

Spinoza però non si è limitato ad esprimere la sua filosofia metafisica sull’essenza di Dio, ma, nel 1670, ha scritto un libro, il Trattato teologico-politico, nel quale ha tentato di dimostrare che la Bibbia non esprime la verità ultima. Quindi ha tentato di negare la veridicità della Bibbia, sostenendo che in essa si esprimono solo degli ottimi valori morali e niente più. Secondo Spinoza quindi YHWH, non avrebbe mai potuto salvare il suo popolo, e la morte di Gesù Cristo, che per i cristiani è l’unigenito Figlio di Dio, non avrebbe valore salvifico universale. 
Nel suo Trattato teologico-politico Spinoza non nomina mai il nome “Gesù”, ma si riferisce spesso a lui indicandolo con il nome di “Cristo”. Per Spinoza infatti non avevano importanza i fatti del Gesù storico, come per esempio i suoi miracoli, la sua effettiva morte in croce e la sua Risurrezione nella carne. Ma vediamo due sue citazioni sul Cristo tratte dal primo capitolo del suo Trattato: 

“Per cui credo che nessun uomo sia arrivato a tanta perfezione sopra gli altri, tranne il Cristo, cui senza parole e senza visioni, ma immediatamente furono rivelati i decreti di Dio che conducono gli uomini alla salvezza; di modo che Dio si manifestò  agli Apostoli, attraverso la mente del Cristo, come prima si era manifestato a Mosè per mezzo di una voce aerea. Quindi la voce del Cristo, come prima quella che udiva Mosè, può  chiamarsi la voce di Dio. Pure in questo senso, possiamo dire che la sapienza di Dio, cioè la sapienza che è sovrumana, ha assunto nel Cristo l’umana natura, e che il Cristo fu la via della salvezza.

Infatti, in nessun luogo lessi che Dio sia apparso al Cristo, o gli abbia parlato, ma solo che Dio si è rivelato agli Apostoli per mezzo del Cristo, che il Cristo è la via della salvezza, e infine, che l’antica Legge fu rivelata da Dio, non immediatamente, ma per la mediazione di un angelo. Per cui se Mosè parlò a Dio faccia a faccia (cioè come due uomini parlano tra loro), il Cristo comunicò con Dio mente a mente". 

Come vediamo in queste frasi Spinoza ha espresso un’altissima considerazione del Cristo. 
Per lui il Cristo fu molto più di un profeta, in quanto comunicava con Dio attraverso la mente, ma non era “Dio incarnato”, non è morto in croce per espiare i peccati dell’umanità, e non è neppure risorto nella carne, vincendo così la morte. Da ciò si nota che le vicende del Gesù storico, così come ce le hanno comunicate gli Apostoli, non erano interessanti per Spinoza. 

Sempre nel primo capitolo, il cui titolo è “la profezia”, Spinoza sostiene che i profeti dell’Antico Testamento (il Tanakh), erano solo uomini con fervida immaginazione che seppero interpretare il futuro, ma non ricevettero una rivelazione diretta da Dio. Vediamo una sua citazione a proposito: 

Confesso, poi, di ignorare per quali leggi di natura sia stata concepita la Rivelazione. E’ vero che potrei dire, come tanti altri dicono, che ciò avvenne per la potenza di Dio; ma dicendo questo, non direi che parole, perché sarebbe come se io volessi spiegare la forma di una cosa particolare con un qualche termine trascendentale. 

Con questa frase Spinoza sostiene che anche la Rivelazione diretta da Dio ai profeti dovrebbe avvenire secondo le leggi di natura. Quindi, indirettamente, Spinoza nega la sfera del Trascendente (lo fa anche in riferimento ai miracoli). Infatti per Spinoza Dio non è Trascendente, ossia al di fuori della sfera dell’immanente, (del creato), ma è Egli stesso parte della natura. Tuttavia, l’idea che i profeti avessero avuto “solo” una fervida immaginazione, e che non ricevettero una Rivelazione diretta da Dio, è una opinione personale di Spinoza, che comunque non poté provare il contrario. 
Vediamo innazitutto cosa vi è scritto sulla profezia nella Seconda Lettera di Pietro (1, 21): 

Nessuna profezia infatti è mai proceduta da volontà d'uomo, ma i santi uomini di Dio hanno parlato, perché spinti dallo Spirito Santo.

Vediamo inoltre alcune profezie su Gesù Cristo: 

Isaia (35, 5-6): 

Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e saranno sturate le orecchie dei sordi; allora lo zoppo salterà come un cervo e la lingua del muto griderà di gioia, perché sgorgheranno acque nel deserto e torrenti nella solitudine. 

Compimento: 

Vangelo di Matteo (11, 3-6): 

«Sei tu colui che deve venire, oppure dobbiamo aspettarne un altro?» E Gesù, rispondendo, disse loro: «Andate e riferite a Giovanni le cose che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista e gli zoppi camminano; i lebbrosi sono mondati e i sordi odono; i morti risuscitano e l'evangelo è annunziato ai poveri. Beato è colui che non si sarà scandalizzato di me!».

Isaia (52, 13-15 - 53: 1-12): 

Ecco, il mio servo avrà successo,
sarà onorato, esaltato e innalzato grandemente.
Come molti si stupirono di lui
– tanto era sfigurato per essere d’uomo il suo aspetto
e diversa la sua forma da quella dei figli dell’uomo –,
così si meraviglieranno di lui molte nazioni;
i re davanti a lui si chiuderanno la bocca,
poichè vedranno un fatto mai a essi raccontato
e comprenderanno ciò che mai avevano udito.

Chi avrebbe creduto al nostro annuncio?
A chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore?
È cresciuto come un virgulto davanti a lui
e come una radice in terra arida.
Non ha apparenza nè bellezza
per attirare i nostri sguardi,
non splendore per poterci piacere.
Disprezzato e reietto dagli uomini,
uomo dei dolori che ben conosce il patire,
come uno davanti al quale ci si copre la faccia;
era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima.
Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze,
si è addossato i nostri dolori;
e noi lo giudicavamo castigato,
percosso da Dio e umiliato.
Egli è stato trafitto per le nostre colpe,
schiacciato per le nostre iniquità.
Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui;
per le sue piaghe noi siamo stati guariti.
Noi tutti eravamo sperduti come un gregge,
ognuno di noi seguiva la sua strada;
il Signore fece ricadere su di lui
l’iniquità di noi tutti.
Maltrattato, si lasciò umiliare
e non aprì la sua bocca;
era come agnello condotto al macello,
come pecora muta di fronte ai suoi tosatori,
e non aprì la sua bocca.
Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo;
chi si affligge per la sua posterità?
Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi,
per la colpa del mio popolo fu percosso a morte.
Gli si diede sepoltura con gli empi,
con il ricco fu il suo tumulo,
sebbene non avesse commesso violenza
nè vi fosse inganno nella sua bocca.
Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori.
Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione,
vedrà una discendenza, vivrà a lungo,
si compirà per mezzo suo la volontà del Signore.
Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce
e si sazierà della sua conoscenza;
il giusto mio servo giustificherà molti,
egli si addosserà le loro iniquità.
Perciò io gli darò in premio le moltitudini,
dei potenti egli farà bottino,
perché ha spogliato se stesso fino alla morte
ed è stato annoverato fra gli empi,
mentre egli portava il peccato di molti
e intercedeva per i colpevoli.

In questi passaggi biblici si delinea la sofferenza e il successivo trionfo del Servo. Questi versi presentano il Servo che soffre in modo vicario (ossia: “al posto di”), per i peccati dell’uomo. Prima di Gesù Cristo gli ebrei sostenevano che Isaia si riferisse al Messia. Questa interpretazione fu abbandonata quando i primi cristiani, in maggioranza ebrei, hanno applicato questa profezia a Gesù di Nazaret. Più tardi, nel XII secolo, sorse l’idea che il passaggio si riferisse alla nazione di Israele, intrepretazione che da allora ha predominato nel giudaismo. Però  il servo si differenzia dal popolo in Isaia (53, 8), ed è una vittima innocente, cosa che non potrebbe dirsi della nazione d’Israele (53, 9). 

Geremia (31, 31-33): 

Ecco, verranno i giorni», dice l'Eterno, «nei quali stabilirò un nuovo patto con la casa d'Israele e con la casa di Giuda; non come il patto che ho stabilito con i loro padri nel giorno in cui li presi per mano per farli uscire dal paese di Egitto, perché essi violarono il mio patto, benchè io fossi loro Signore», dice l'Eterno. «Ma questo è il patto che stabilirò con la casa d'Israele dopo quei giorni», dice l'Eterno: «Metterò la mia legge nella loro mente e la scriverò sul loro cuore, e io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo.

Compimento: 

Vangelo di Matteo (26, 28):

perché questo è il mio sangue, il sangue del nuovo patto che è sparso per molti per il perdono dei peccati.

Vangelo di Marco (14, 24): 

Quindi disse loro: «Questo è il mio sangue, il sangue del nuovo patto, che è sparso per molti. 

Vangelo di Luca (22, 20):

Così pure, dopo aver cenato, prese il calice dicendo: «Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue, che è sparso per voi. 

Lettera agli Ebrei (8, 6-13): 

Ma ora Cristo ha ottenuto un ministero tanto più eccellente in quanto egli è mediatore di un patto migliore, fondato su migliori promesse, perché, se quel primo patto fosse stato senza difetto, non sarebbe stato necessario stabilirne un altro. Dio infatti, rimproverandoli, dice: «Ecco, vengono i giorni che io concluderò con la casa d'Israele e con la casa di Giuda un nuovo patto, non come il patto che feci con i loro padri, nel giorno che li presi per mano per condurli fuori dal paese di Egitto, perché essi non sono rimasti fedeli al mio patto, ed io li ho rigettati, dice il Signore. Questo dunque sarà il patto che farò con la casa d'Israele dopo quei giorni, dice il Signore, io porrò le mie leggi nella loro mente e le scriverò nei loro cuori; e sarò il loro Dio, ed essi saranno il mio popolo. E nessuno istruirà più il suo prossimo e nessuno il proprio fratello, dicendo: "Conosci il Signore!". Poichè tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande di loro, perché io avrò misericordia delle loro iniquità e non mi ricorderò più dei loro peccati e dei loro misfatti». Dicendo "un nuovo patto", egli ha reso antico il primo; or quello che diventa antico ed invecchia, è vicino ad essere annullato.

Zaccaria (12, 10): 

Riverserò sopra la casa di Davide e sopra gli abitanti di Gerusalemme uno spirito di grazia e di consolazione: guarderanno a colui che hanno trafitto. Ne faranno il lutto come si fa il lutto per un figlio unico, lo piangeranno come si piange il primogenito. 

Compimento: 

Vangelo di Giovanni (19, 34-37):

ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua.
Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera e egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si adempisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso. E un altro passo della Scrittura dice ancora: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto.

Abbiamo visto alcune profezie di Isaia, Geremia e Zaccaria che si riferivano a Gesù Cristo. Come si vede si sono avverate. La lista potrebbe continuare (vedi nota 1), ma per ora ciò è sufficente per dimostrare che i profeti non avevano solo “una fervida immaginazione”, ma ricevettero una Rivelazione diretta da Dio su eventi futuri, che poi si verificarono. 

Nel secondo capitolo del “Trattato teologico politico”, il cui titolo è “I profeti”, Spinoza continua a sostenere che i profeti avevano una profonda immaginazione. Infatti sostiene che essi “immaginarono” cose future in base al loro carattere. In pratica sostiene che il profeta che era di temperamento triste, immaginava guerre, pestilenze e supplizi, mentre il profeta che era di temperamento allegro immaginava vittorie, pace e letizia. 
Ma anche questo è un argomento che si può  confutare. Secondo la Bibbia Dio ha rivelato direttamente ai profeti degli eventi futuri, e tali eventi sono stati interpretati secondo il carattere del profeta. Inoltre non è vero che gli eventi tristi siano stati “immaginati” da profeti tristi, infatti il triste evento della crocifissione di Gesù, fu profetizzato da Davide, che non era certo una persona triste. Vediamolo nello specifico: 


Salmi (22, 14):

Io sono come acqua che si sparge,
e tutte le mie ossa sono slogate;
il mio cuore è come la cera,
si scioglie in mezzo alle mie viscere.

Salmi (22, 16):

Poichè cani mi hanno circondato;
una folla di malfattori m'ha attorniato;
m'hanno forato le mani e i piedi.

Compimento:

Vangelo di Giovanni (19, 34):

ma uno dei soldati gli forò il costato con una lancia, e subito ne uscì sangue e acqua.

Vangelo di Giovanni (19, 37):

E un'altra Scrittura dice:
«Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto». 

Sempre nel capitolo “I profeti” Spinoza si riferisce a Dio indicandolo con il nome di “Geova”, ma sappiamo che “Geova” non è un nome bìblico. 
Nel Tanakh (conformato dai 39 libri che oggi noi cristiani denominiamo Antico Testamento), Dio, il Creatore del mondo, era descritto con diversi nomi, proprio per il fatto che l’Onnipotente non può essere limitato da un solo nome. Comunque il nome più utilizzato nella Bibbia per riferirsi a Dio, è YHWH, il tetragrama biblico. 
Secondo alcuni studiosi (1) il tetragrama biblico, o YHWH, (il più ricorrente tra i nomi di Dio nella Bibbia, citato 6823 volte, la cui pronuncia è Yahweh), deriverebbe dalla radice triconsonantica dell’ebraico biblico היה, che significa “essere”.
La forma errata “Geova” è apparsa per la prima volta in una traduzione inglese della Bibbia per opera di Williarn Tyndale, che risale solo al 1530 d.C. Questa forma errata è, entrata poi sia nelle traduzioni della Bibbia di questi ultimi quattro secoli sia in alcune iscrizioni, anche di chiese cattoliche. Ma tutti questi documenti a favore della forma “Geova” non sono anteriori all’anno 1530. In nessun documento prima di quell’anno, e in nessuna traduzione della Bibbia prima del 1530 d.C., è presente la forma “Geova”. 

Sempre nel secondo capitolo, denominato “I profeti”, Spinoza cerca di trovare delle incongruenze bibliche che gli permettano di dimostrare che la Bibbia non deve essere presa alla lettera. Se è pur vero che la Bibbia deve essere, in vari casi, interpretata allegoricamente, ciò  non vuol dire che vi siano delle incongruenze che la invalidano. 
A tale proposito Spinoza mostra che vi sarebbe una contraddizione nel modo come Dio punisce i peccatori. Vediamo innanzitutto il passaggio seguente, Esodo (34, 6-7):

Il Signore passò davanti a lui, proclamando: «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà, che conserva il suo amore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato, ma non lascia senza punizione, che castiga la colpa dei padri nei figli e nei figli dei figli fino alla terza e alla quarta generazione».

Secondo Spinoza il passo precedente sarebbe in contraddizione con questo, tratto da Ezechiele (18-19-20):

Voi dite: “Perché il figlio non sconta l’iniquità del padre?”. Perché il figlio ha agito secondo giustizia e rettitudine, ha osservato tutte le mie leggi e le ha messe in pratica: perciò egli vivrà. 20Chi pecca morirà; il figlio non sconterà l’iniquità del padre, nè il padre l’iniquità del figlio. Sul giusto rimarrà la sua giustizia e sul malvagio la sua malvagità.

Questa supposta contraddizione biblica si può spiegare in questo modo: nell’Antico Testamento, quindi prima dell’invio del Figlio, Dio puniva sempre il peccatore (vedere anche Deuteronomio 7, 10), quindi ciò che è scritto nel Libro di Ezechiele è la norma generale.
Però la punizione del peccato dai padri ai figli, fino alla quarta generazione, come descritto nell’Esodo, non è in contrasto con questo, perché si riferisce al vecchio pensiero, che ancora esisteva nelle società patriarcali tradizionali, che in una famiglia estesa comprende quattro generazioni. Il capo del clan e il clan, erano considerati come una sola unità, una famiglia estesa. Durante il periodo dell’Esodo dall’Egitto quindi, si considerava pertanto che il peccato di una persona avrebbe influenzato gli appartenenti al clan, e che quindi li avrebbe indotti a peccare allo stesso modo. 
Sul finire del secondo capitolo, denominato “I profeti”, Spinoza cita Gesù quando nel Vangelo di Matteo (12, 26), disse: 

“Ora, se Satana scaccia Satana, è diviso in se stesso; come dunque il suo regno potrà restare in piedi? 

Poi Spinoza aggiunge: 

“Cristo non vuole se non convincere i Farisei, servendosi dei loro stessi pregiudizi, e non certo insegnare che ci sono i demoni o un qualche regno di demoni.”

A ciò si può obiettare che Gesù ha insegnato decine di volte che esistono i demoni, per esempio in questa frase, Vangelo di Matteo (10, 8): 

Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date.  

Pertanto è indubbio che Gesù abbia descritto l’esistenza di demoni ed è indubbio che i primi cristiani credevano nell’esistenza dei demoni.

Passando all’analisi del terzo capitolo, quello sulla “vocazione degli ebrei”, Spinoza afferma: 

“gli ebrei non sarebbero stati meno felici anche se Dio avesse chiamato, assieme ad essi sulla via della salvezza, tutti gli altri popoli”. 

Con questa frase Spinoza sembra non considerare che la Bibbia, letta e considerata nella sua totalità, è la descrizione del progetto di Dio iniziata con la crezione del mondo e dell’uomo. Dopo la caduta dell’uomo, Dio si è rivelato inizialmente ad un uomo, Abraamo, quindi a un popolo, quello degli ebrei, ed infine a tutti tramite il Nuovo Patto, descritto dal profeta Geremia (Libro di Geremia, cap. 31), e sancito con la morte di Gesù Cristo sulla croce. La rivelazione è stata quindi progressiva. 
Spinoza mostra una certa inconformità con il fatto che la Rivelazione sia stata, secondo l’Antico Testamento, rivolta solo agli ebrei. Però non considera il Nuovo Testamento, e le parole stesse di Gesù, che ha ordinato di diffondere il Vangelo a tutte le genti (Vangelo di Matteo cap. 28). Nella Lettera ai Romani inoltre, Paolo di Tarso, scrive, (1, 16): 

Io infatti non mi vergogno del Vangelo, perché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del Giudeo, prima, come del Greco.

Quindi è evidente che Dio, essendo Dio di tutti i popoli della terra, si sia rivelato pienamente solo con Gesù Cristo, e con il suo sacrificio espiatorio. 

Spinoza sempre nel terzo capitolo sostiene che il Cristo ha spinto gli uomini al bene liberandoli dalla schiavitù della Legge; quindi gli uomini dovrebbero ora fare il bene non in quanto schiavi della Legge, ma per “ferma determinazione dell’animo”. Ancora una volta Spinoza riduce la missione del Cristo a mero insegnamento morale. 
Ciò però non è esattamente quello che fu divulgato dagli Apostoli, i quali sostennero che solo dopo aver accettato la morte vicaria di Gesù Cristo sulla croce, l’uomo attua un cambio interiore dentro di se, che lo porta ad un forte cambio di paradigma, verso il bene, verso le azioni di carità e pace. 
Ancora sul finire del terzo capitolo Spinoza sostiene che l’elezione degli ebrei si limiterebbe “all’impero e agli agi materiali”, ma per quanto riguarda l’intelligenza e la vera virtù, non ci sarebbe alcuna distinzione fra le nazioni. Anche in questa frase Spinoza non considera la missione dei profeti e la missione finale di Gesù Cristo, che era ebreo e ha confermato i profeti dal Tanakh. 
Consideriamo invece le parole di Gesù, nel Vangelo di Giovanni, (4, 21-22): 

Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui nè su questo monte nè a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei.

Nel quarto capitolo, denominato “La legge divina”, Spinoza sostiene che “l’uomo è parte della natura”. 
Secondo la Bibbia invece l’uomo è formato da spirito, anima e corpo (Prima Lettera ai Tessalonicesi 5, 23), ed è pertanto “una persona”, proprio come lo è Dio, che è “Uno” in tre persone. L’uomo è stato quindi creato “ad immagine e somiglianza di Dio” (Genesi 1, 26). 

Da buon razionalista, Spinoza sostiene che la parte migliore di noi è “l’intelletto”. Secondo la Bibbia, invece noi siamo dotati di personalità, e tale personalità si fonda su intelletto, volontà e sentimenti, quindi non è affatto vero che la parte migliore di noi sia l’intelletto. 
Quindi Spinoza afferma che la Legge divina dovrebbe essere universale, ancora criticando la rivelazione data agli ebrei nell’Antico Testamento. Ancora una volta non considera che con l’invio del Figlio, Dio ha sancito un Nuovo Patto con gli umani, patto che era stato rivelato nel capitolo 31 del libro di Geremia, e che questo patto è universale, cioè valido per tutti gli uomini (Vangelo di Matteo, 26-28). 

Sempre nel quarto capitolo, Spinoza descrive il Cristo, come un profeta al quale però Dio si rivelò  immediatamente, ossia da mente a mente. Vediamo le sue parole: 

“E in verità, dal fatto che Dio si sia rivelato al Cristo, cioè alla mente di lui, immediatamente, e non come avvenne ai profeti, per mezzo di parole e immagini, niente altro possiamo intendere che il Cristo percepì, ossia comprese, le cose rivelate, nella loro verità; ed infatti una cosa deve considerarsi compresa quando essa venga percepita dalla pura mente, indipendentemente da parole e immagini.”

In effetti qui Spinoza si contraddice rispetto al primo capitolo nel quale aveva scritto che i profeti avevano una “fervida immaginazione”. Qui invece ammette che Dio si sia rivelato ai profeti per mezzo di parole e immagini. Per quanto riguarda la sua concezione del Cristo, Spinoza lo dipinge di nuovo come un profeta che comunicò con Dio “mente a mente”. 
E’ un’opinione personale di Spinoza, ma non concorda con i fatti narrati nel Nuovo Testamento. Infatti i seguaci di Gesù non dissero che Gesù comunicava “mente a mente” con Dio, ma divulgarono che Gesù Cristo è il Figlio di Dio, proprio come avevano detto i profeti (vedi Salmo 2,7 o Isaia 9, 6-7). 

Nel quinto capitolo, Spinoza sostiene che le cerimonie furono istituite per conservare la nazione ebraica, ma non erano riti diretti al “Dio Altissimo”. 
Anche questa tesi di Spinoza si può confutare con un semplice passaggio biblico. Per esempio il Salmo (19, 14):

Siano gradite davanti a Te le parole della mia bocca e la meditazione del mio cuore, o Signore, mia Rocca e mio Redentore

E’ evidente pertanto che le preghiere ebraiche erano rivolte al Dio Altissimo (YHWH, El Shaddai, Adonai), e che quindi avevano un valore rituale, spirituale, trascendente. 

Sempre nel quinto capitolo, Spinoza sostiene che anche le cerimonie cristiane sono solo i segni esteriori della Chiesa universale e che sono state istituite in vista dell’integrità della società. 
Ma anche questa tesi non regge. Infatti i primi cristiani erano avversati dal potere dominante, sia quello della casta sacerdotale giudaica sia quello romano. Se quindi attuavano delle cerimonie cultuali, non lo facevano certo per “mantenere l’integrità della società”, proprio perché la società dove vivevano, quella romana, li avversava completamente. Al contrario, attuavano delle cerimonie in quanto credevano realmente in Gesù Cristo. 

Nel sesto capitolo, denominato “i miracoli”, Spinoza sostiene che essi siano “opere insolite della natura”. Per Spinoza infatti il miracolo è ascrivibile all’interno delle leggi naturali. Per Spinoza è il volgo che chiama “miracolo” ciò  che non può  spiegare. Inoltre Spinoza nega che Dio abbia attuato direttamente dei miracoli. Sostiene per esempio che il miracolo attuato da Gesù quando ha dato la vista a un cieco dalla nascita (Vangelo di Giovanni cap. 9), è stato un accadimento naturale. 
Innanzitutto Spinoza non può provare scientificamente che Gesù non abbia realmente attuato un miracolo. Inoltre Spinoza si contraddice in quanto, pur ammettendo che esiste un “Dio impersonale”, non ammette che Dio possa intervenire con un atto soprannaturale. Ma se Dio è Dio, Egli può tutto, quindi può anche agire “al di sopra della natura”.

Nel settimo capitolo il cui titolo è “interpretazione della scrittura”, Spinoza sostiene che Cristo insegnava come “dottore”. Ma Spinoza dimentica che nei Vangeli il Cristo dice varie volte “Io sono”, esattamente come in Esodo (3, 14), identificando se stesso come “Dio”, e non come un dio qualsiasi, ma come il Dio dell’Antico Testamento. Vediamo: 

Esodo (3, 14):

Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». E aggiunse: «Così dirai agli Israeliti: “Io-Sono mi ha mandato a voi”»

Vangelo di Giovanni (8, 23-24):

E diceva loro: «Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo. Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati».

Vangelo di Giovanni (8, 58):

Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono».

Quindi nei libri del Nuovo Testamento Gesù Cristo non è indicato come “dottore” o “sapiente” o “filosofo”, ma bensì come “Dio”, “Signore”, “Figlio di Dio”. 

Inoltre Spinoza sostiene che l’ebraico biblico sarebbe caduto in disuso, e che oggi non sarebbe possibile risalire al reale significato di alcune parole. Ciò è però facilmente confutabile. Oggigiorno esistono studiosi seri dell’ebraico biblico e si è potuto risalire all’origine etimologica delle parole (vedere nota 2).

Sempre nel settimo capitolo Spinoza sostiene che non si sa chi abbia scritto i libri della Bibbia ne quando. E’ una tecnica comune a coloro che vogliono screditare la Bibbia. Gesù stesso ha sancito la veridicità del Tanakh e, in alcune occasioni, ha pure indicato chi furono gli scrittori. Per esempio, Gesù afferma che fu Mosè a scrivere il Pentateuco: 

Vangelo di Matteo (19, 8):

“Gesù disse loro: «Fu per la durezza dei vostri cuori che Mosè vi permise di mandar via le vostre mogli; ma da principio non era così” 

Vangelo di Giovanni (7, 19):

“Mosè non vi ha forse dato la legge? Eppure nessuno di voi mette in pratica la legge! Perché cercate d’uccidermi?” 

Anche nel Vangelo di Luca (4, 17-19), Gesù legge alcuni passaggi del Libro di Isaia, e quindi conferma che fu Isaia il vero e unico scrittore dell’omonimo libro. Infatti vi è scritto: Vangelo di Luca (4, 17): 

Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto:

Sempre nel settimo capitolo Spinoza sostiene che la vera salvezza e la vera beatitudine consistono nella pace dell’animo. Ma anche qui Spinoza dà un’interpretazione personale. In realtà nella Bibbia si descrive che l’uomo è soggetto al peccato, e l’unico modo per ottenere la vera salvezza è avere fede che Gesù Cristo ha espiato sulla croce tutti i peccati, quindi avere fede nel Figlio di Dio e nella sua opera redentrice attuata con la sua morte in croce. 
A partire dall’ottavo capitolo Spinoza tenta di dimostrare che i libri dell’Antico Testamento non furono scritti dagli autori tradizionali, ma da altri scrittori. E’ una strategia comune a molte persone che tentano di screditare la Bibbia. 
Per quanto riguarda il Pentateuco, Spinoza afferma che non fu Mosè l’autore dei cinque libri iniziali del Tanakh, ma Esdra. 
Ma nel Pentateuco stesso si afferma che fu Mosè a scriverlo: (Esodo 17, 14; 24, 4; 24, 7; 34, 27; Numeri 33, 1-2; Deuteronomio 31, 9).
Inoltre in altri libri dell’Antico Testamento si dichiara la paternità mosaica del Pentateuco (Giosuè 1, 7-8; 8, 32; 8, 34; 22, 5; 1 Re 2, 3; 2 Re 14, 6; 2 Re 21, 8; Esdra 6, 18; Daniele 9, 11-13; Malachia 4, 4). 
Inoltre anche nel Nuovo Testamento si afferma che Mosè scrisse il Pentateuco: (Vangelo di Matteo 19, 8; Vangelo di Marco 12, 26; Vangelo di Giovanni 5, 46-47; 7, 19; Lettera ai Romani 10, 5).
Vi sono anche alcune testimonianze dirette (Numeri 2, 1-31; 11, 7-8). 
Oltre a queste citazioni bibliche si deve considerare che le informazioni proporzionate dall’autore in riferimento a nomi, parole, usi, costumi e la geografìa dell’Egitto, sono molto particolareggiate. Sarebbe stato praticamente impossibile per un autore che avesse vissuto in Israele secoli dopo scrivere quegli eventi in modo così chiaro e preciso. Inoltre alcune scoperte archeologiche, che risalgono alla prima guerra mondiale, hanno dimostrato che nel Pentateuco sono descritti usi e costumi del II milenio a.C. (la doppia porzione consegnata al primogenito, la vendita della primogenitura, la validità del testamento orale ecc.). Come avrebbe potuto pertanto un uomo del I millennio a.C., per esempio Esdra, conoscere nei dettagli questi usi e costumi? (3).

Nel decimo capitolo, Spinoza mette in dubbio, l’esattezza del canone biblico. Riferendosi all’Antico Testamento afferma che furono i Farisei che decisero la canonicità dei rispettivi libri del Tanakh. Spinoza però nel XVII secolo non poteva sapere che secoli dopo, nel 1946, sarebbero stati ritrovati i Manoscritti del Mar Morto, un insieme di antichi papiri che sono stati datati dal 408 a.C. al 318 a.C. e che includono tutti i libri del Tanakh. Quindi il canone dell’Antico Testamento era già in uso nel IV secolo a.C. 

Nell’undicesimo capitolo Spinoza si dedica al Nuovo Testamento. Egli sostiene che gli Apostoli non furono dei profeti, ma semplicemente dei dottori, che insegnavano i concetti di alta moralità che aveva divulgato Gesù. 
Le affermazioni di Spinoza non tengono conto del fatto che gli Apostoli non erano dottori e neppure filosofi. Essi hanno fatto un annuncio, hanno annunciato il Gesù risorto. Ovviamente hanno anche divulgato gli insegnamenti di Gesù sull’amore, ma soprattutto hanno divulgato che Dio ha fatto il massimo gesto d’amore inviando suo Figlio sulla terra come “Agnello sacrificale”. 
Il concetto della morte vicaria che molti attribuiscono esclusivamente a Paolo di Tarso è invece un concetto insito anche negli altri libri del Nuovo Testamento, per esempio nel Vangelo di Matteo (20, 28): 

Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

In certi casi comunque gli Apostoli fecero delle profezie, per esempio questa, Prima Lettera ai Corinzi (15, 51-55): 

Ecco, io vi annuncio un mistero: noi tutti non moriremo, ma tutti saremo trasformati, in un istante, in un batter d’occhio, al suono dell’ultima tromba. Essa infatti suonerà e i morti risorgeranno incorruttibili e noi saremo trasformati. È necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta d’incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta d’immortalità. Quando poi questo corpo corruttibile si sarà vestito d’incorruttibilità e questo corpo mortale d’immortalità, si compirà la parola della Scrittura:
La morte è stata inghiottita nella vittoria.
Dov’è, o morte, la tua vittoria?
Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?

Senza contare le profezie che fece Giovanni nel libro dell’Apocalisse. Spinoza non poté provare che le profezie di Paolo di Tarso o di Giovanni siano false o siano solo il frutto di fervide immaginazioni. 

Spinoza in generale non fa menzione di quello che era la predicazione degli Apostoli, quindi la morte vicaria di Gesù e la sua effettiva Risurrezione nella carne. Per Spinoza gli Apostoli riportarono solo generici insegnamenti morali che aveva dato Gesù Cristo. 

Sempre nel capitolo undicesimo Spinoza sostiene che la teologia di Paolo di Tarso (giustificazione per fede) è diversa dalla teologia espressa nella Lettera di Giacomo (che secondo Spinoza predicava una giustificazione per le opere). 
In realtà non vi è alcuna opposizione tra Paolo di Tarso e Giacomo poichè il punto di vista dei due scrittori è diverso. Paolo parla della fiducia riposta nelle opere della legge mosaica, come se esse di per se potessero meritare la salvezza che, al contrario, ci è meritata e applicata soltanto da Cristo alla quale noi ci uniamo mediante la fede (Lettera ai Romani 1, 17; 3, 21-31; 9, 31; Lettera ai Galati 2, 16; 3, 2; 5, 11; Lettera ai Filippesi 3, 9). Infatti Paolo dice che la fede senza le opere è morta e che essa deve essere vivificata dalla carità (Prima Lettera ai Corinzi 13, 2). Giacomo indica le opere e le virtù che i credenti devono praticare perché l’adesione a Cristo mediante la fede alimenti una vita concreta. Così egli completa la dottrina di Paolo. 

Spinoza sostiene che gli Apostoli abbiano edificato la “nuova religione” su fondamenti diversi. Innanzitutto abbiamo dimostrato che Paolo e Giacomo non erano affatto in contraddizione. Tutti gli Apostoli hanno divulgato il kerygma, l’annuncio che il Messia è morto per i nostri peccati e che è risorto il terzo giorno nella carne. Inoltre vi è da aggiungere che il Cristianesimo non è una “nuova religione”, ma, secondo i cristiani, è il completamento dell’unica e vera fede in Dio, nell’unico Dio. Gesù quindi non ha fondato una religione, ma ha fondato una Chiesa. (Vangelo di Matteo 16, 18). 

Nel capitolo sucessivo, il dodicesimo, Spinoza sostiene che: “il Verbo eterno di Dio, il Patto divino e la vera Religione, sono impressi da Dio nel cuore e nella mente degli uomini”. Sono parole già affermate da Paolo di Tarso nella Lettera ai Romani, vediamo: Lettera ai Romani (2, 12-16): 

Tutti quelli che hanno peccato senza la Legge, senza la Legge periranno; quelli invece che hanno peccato sotto la Legge, con la Legge saranno giudicati. Infatti, non quelli che ascoltano la Legge sono giusti davanti a Dio, ma quelli che mettono in pratica la Legge saranno giustificati. Quando i pagani, che non hanno la Legge, per natura agiscono secondo la Legge, essi, pur non avendo Legge, sono legge a se stessi. Essi dimostrano che quanto la Legge esige è scritto nei loro cuori, come risulta dalla testimonianza della loro coscienza e dai loro stessi ragionamenti, che ora li accusano ora li difendono. Così avverrà nel giorno in cui Dio giudicherà i segreti degli uomini, secondo il mio Vangelo, per mezzo di Cristo Gesù.

Spinoza sempre nel dodicesimo capitolo, si contraddice fortemente. Infatti scrive: 

“Per queste tre ragioni, pertanto, la Scrittura è chiamata “parola di Dio”: 1-cioè, perché insegna quella vera religione di cui Dio è autore eterno; 2- inoltre perché narra le predizioni delle cose future come decreti di Dio; 3-infine, perché coloro che furono gli autori della Scrittura la esposero, per lo più, non per mezzo del comune lume naturale, ma in virtù di un lume loro particolare e insegnarono che, nella Scrittura, era Dio che parlava”. 

Se realmente Spinoza avesse creduto che la Scrittura insegni quella “vera religione di cui Dio è autore eterno”, dovrebbe credere anche che Gesù Cristo è il Messia, che è morto per i nostri peccati e risorto il terzo giorno nella carne. Ma Spinoza non si sofferma mai sulla morte salvifica di Gesù Cristo, per lui Gesù è stato solo un profeta che comunicava con Dio “mente a mente”, e che ha dato solidi principi morali. 

Sempre nel dodicesimo capitolo Spinoza mette in dubbio la canonicità dei testi neotestamentari. Ovviamente non nomina il Canone muratoriano, un documento pubblicato nel 1740, (quindi dopo la morte di Spinoza), che prova che i libri del Nuovo Testamento erano già letti (eccetto la Lettera agli Ebrei), nel 170 d.C. 

Poco più avanti Spinoza si contraddice nuovamente. Infatti scrive: 

“Concludiamo pertanto, e nella maniera più assoluta, che tutta la legge divina universale insegnata nella Scrittura è pervenuta nelle nostre mani senza alcuna corruzione”. 

Ciò è in contraddizione con il suo pensiero. Infatti Spinoza ha scritto vari capitoli del suo libro tentando di dimostrare che nella Scrittura vi sono varie contraddizioni ed è quindi corrotta. Ora invece ci dice che la Scrittura è incorrotta. Ma se la Scrittura è incorrotta, a maggior ragione dovrebbe essere accolta e ricevuta nella sua totalità e quindi anche il sacrificio di Gesù Cristo dovrebbe essere accolto, cosa che Spinoza non sembra fare. 

Nel tredicesimo capitolo Spinoza sostiene che la Scrittura contenga “semplicissime nozioni che possono essere apprese anche dall’uomo più tardo d’intelligenza”. E’ una dichiarazione abbastanza irrispettosa nei confronti dei credenti. In realtà nella Bibbia si sostiene qualcosa di diverso, Vangelo di Matteo (11, 25): 

In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli.

Ciò  significa il contrario di quello scritto da Spinoza: sono gli umili che comprendono il vero significato della Bibbia, non i sapienti, e tantomeno i tardi d’intelligenza.  

Nel quattordicesimo capitolo, Spinoza afferma che lo scopo della Scrittura sarebbe quello di insegnare l’obbedienza, quindi regole morali. 
I cristiani invece sostengono che lo scopo della Bibbia si aquello di rivelare l’unico cammino per la salvezza, ossia Gesù Cristo. Ovviamente questo cammino porta anche ad un miglioramento della propria vita terrena attenendosi alle regoli morali insegnate da Gesù Cristo. 
Per Spinoza esiste un Ente supremo che ama la Carità e la Giustizia, e tutti per salvarsi sono tenuti ad obbedirgli. E’ certamente vero che Dio ama la Carità e la Giustizia, ma nella Scrittura si afferma che non ci si salva solo praticando la carità e la giustizia, ma ci si slava accettando il sacrificio di Gesù Cristo, attuato con il fine di espiare i nostri peccati. 
Spinoza sostiene che lo scopo della fede sia l’obbedienza e la pietà. Ma secondo gli insegnamenti di Gesù riportati dagli Apostoli, la fede porta all’obbedianza e alla pietà. Sono differenze sottili, ma fondamentali. 

Nel diciasettesimo capitolo Spinoza afferma che gli ebrei nutrivano un generale odio verso le altre nazioni. Ma ciò è confutato dalla stessa Bibbia. Leggiamo questi passi del Levitico (19, 33-34): 

Quando un forestiero dimorerà presso di voi nel vostro paese, non gli farete torto. Il forestiero dimorante fra di voi lo tratterete come colui che è nato fra di voi; tu l'amerai come tu stesso perché anche voi siete stati forestieri nel paese d'Egitto. Io sono il Signore, vostro Dio.

Nel capitolo diciottesimo Spinoza sostiene che il patto divino è stato scritto nel cuore degli uomini. Ma ciò  è esattamente quanto annunciato da Geremia (31, 31-34):  

Ecco, verranno giorni – oracolo del Signore –, nei quali con la casa d’Israele e con la casa di Giuda concluderò un’alleanza nuova. Non sarà come l’alleanza che ho concluso con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dalla terra d’Egitto, alleanza che essi hanno infranto, benchè io fossi loro Signore. Oracolo del Signore. Questa sarà l’alleanza che concluderò con la casa d’Israele dopo quei giorni – oracolo del Signore –: porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. Non dovranno più istruirsi l’un l’altro, dicendo: “Conoscete il Signore”, perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande – oracolo del Signore –, poichè io perdonerò la loro iniquità e non ricorderò più il loro peccato».

Sappiamo che il Nuovo Patto è stato sancito dal sangue di Gesù versato sulla croce. Gesù infatti ha detto, Vangelo di Matteo, (26, 27-28): 

Poi prese il calice, rese grazie e lo diede loro, dicendo: «Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti per il perdono dei peccati.

Quindi sembra che Spinoza avalli il concetto che Dio abbia fatto un Nuovo Patto con l’uomo. 
La posizione di Spinoza resulta pertanto ambigua, in quanto alcune volte critica la Bibbia e sostiene che vi siano delle contraddizioni all’interno di essa, altre volte sostiene che la Scrittura è incorrotta e che quindi debba essere considerata come una luce di moralità. Spinoza prende le parti della Bibbia che gli interessano e scarta quelle che non lo convincono, così facendo dimostra che si sta facendo una religione propria. 
Nel capitolo diciannovesimo Spinoza mette il valore dello Stato prima della Bibbia. Infatti scrive: 

“Per esempio sarebbe in se azione pietosa dare anche il mantello a colui che litiga con me per togliermi la tùnica; ma nell’ipotesi che tanta bontà fosse dannosa allo Stato, diventerebbe, invece, azione pietosa chiamare il rapinatore a giudizio, quand’anche si sapesse che l’attende la pena capitale”. 

In pratica Spinoza sostiene che lo Stato avrebbe un’autorità maggiore della Bibbia. Anche qui sembra che Spinoza si contraddica nuovamente in quanto nel capitolo dodicesimo aveva affermato: 

“Per queste tre ragioni, pertanto, la Scrittura è chiamata “parola di Dio”: 1-cioè perché insegna quella vera religione di cui Dio è autore eterno; 2- inoltre perché narra le predizioni delle cose future come decreti di Dio; 3-infine, perché coloro che furono gli autori della Scrittura la esposero, per lo più, non per mezzo del comune lume naturale, ma in virtù di un lume loro particolare e insegnarono che, nella Scrittura, era Dio che parlava”. 

Ma ancora più avanti, nel diciannovesimo capitolo, Spinoza afferma che “la religione sempre si adattò all’interesse dello Stato”. Vediamo tutto il suo ragionamento: 

“Inoltre, perché gli Ebrei potessero conservare la conquistata libertà e tenere con salda mano le terre che avevano occupato, fu necessario, come dimostrammmo al capitolo XVII, ch’essi adattassero la religione soltanto alla loro nazione e si separassero dalle altre. Ed è per questo che fu insegnato agli Ebrei “Ama il prossimo tuo e odia il tuo nemico” (Matteo 5, 43), ma, caduta la nazione ebraica e condotti i prigionieri a Babilonia, Geremia ingiunse agli Ebrei di provvedere (anche) alla sicurezza di quella città nella quale erano stati condotti prigionieri; e dopo che il Cristo previde che sarebbero stati dispersi per tutto il mondo, insegnò  loro che amassero tutti in sommo grado. E questi esempi stanno a significare chiaramente che la religione sempre si adattò  all’interesse dello Stato”. 

A questa considerazione di Spinoza si potrebbe obiettare che se Cristo previde la dispersione dei giudei, allora non ci sarebbe stata alcuna nazione ebrea, nessuno stato ebreo. Non è che la religione si adatta allo stato, ma è la Rivelazione di Dio che è stata progressiva. Quando Gesù disse di amare tutti in sommo grado stava dando un precetto assoluto, valido per ogni persona vivente su questa terra. 

In generale si può  dire che Spinoza in questo suo Trattato teologico-poltico, dimostra notevoli contraddizioni nel suo pensiero. Innanzitutto se lui aveva una concezione panteistica di Dio, perché ha avuto bisogno di tentare di confutare la Bibbia? Ed inoltre nella sua foga di trovare contraddizioni nella Bibbia, perché ha scritto varie volte che la Scrittura è la Parola di Dio? Se per Spinoza la Scrittura fosse stata realmente la Parola di Dio, allora avrebbe dovuto accettare nel suo cuore il sacrificio di Gesù Cristo sulla croce, ma al contrario Spinoza non lo ha mai nominato. 

Yuri Leveratto
Note: 
1-http://www.jewishencyclopedia.com/articles/11305-names-of-god
2-vedere www.biblehub.com
3- Ovviamente Mosè non può aver scritto il cap. 34 del Deuteronomio in quanto in questo capitolo è descritta la sua morte e la sua sepoltura. 

venerdì 1 dicembre 2017

La parte immateriale dell’essere umano secondo la Bibbia


Secondo la Bibbia l’uomo ha avuto origine in seguito ad un atto di creazione di Dio (Genesi 2, 7):

Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente.

Il verbo creò (בָּרָ֣א, bā•rā), è usato tre volte nella Genesi. La prima volta per la crezione della materia. La seconda volta per la creazione dell’anima. La terza volta per la creazione dello spirito. Vediamo i corrispondenti passaggi: 

Genesi (1, 1):

In principio Dio creò il cielo e la terra.

Genesi (1, 21):

Dio creò i grandi mostri marini e tutti gli esseri viventi che guizzano e brulicano nelle acque, secondo la loro specie, e tutti gli uccelli alati, secondo la loro specie. Dio vide che era cosa buona. 

Genesi (1, 27):

E Dio creò l’uomo a sua immagine;
a immagine di Dio lo creò:
maschio e femmina li creò.

L’uomo è stato creato ad “immagine e somiglianza di Dio”. Lo stato originale di Adamo era quello di santità relativa (propria di un essere creato). Adamo perse la santità con la sua caduta, però l’uomo conserva ancora vestigia dell’immagine e somiglianza di Dio. 

L’uomo si compone di corpo, anima e spirito. 
Prima Lettera ai Tessalonicesi (5, 23): 

Il Dio della pace vi santifichi interamente, e tutta la vostra persona, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo.

Anche se vi è differenza tra anima e spirito, entrambi sono due aspetti della parte immateriale dell’uomo. 

Anima:

L’anima ha emozioni e combatte contro la concupiscenza e i desideri disordinati della carne. Vediamo a tale propósito questa citazione della Prima Lettera di Pietro (2, 11):

Carissimi, io vi esorto come stranieri e pellegrini ad astenervi dai cattivi desideri della carne, che fanno guerra all’anima.

Spirito:


Lo spirito si compone di intelletto, sentimento, volontà. 
L’intelletto è la capacità di apprendere ed elaborare.
Il sentimento è la capacità di amare e odiare.
La volontà è la capacità di prendere decisioni contro i propri istinti. 

Lo spirito si riferisce agli aspetti più elevati dell’uomo. Vediamo un primo verso della Lettera ai Romani (8, 16):

Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. 

Tutti gli esseri umani hanno lo spirito, Prima Lettera ai Corinzi (2, 11): 

Chi infatti conosce i segreti dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai conosciuti se non lo Spirito di Dio. 

Lo spirito può essere corrotto, Seconda Lettera ai Corinzi (7, 1):

In possesso dunque di queste promesse, carissimi, purifichiamoci da ogni macchia della carne e dello spirito, portando a compimento la santificazione, nel timore di Dio.

Cuore:

Il cuore è il concetto più amplio che si utilizza nella Bibbia quando si parla degli aspetti della natura immateriale dell’uomo. Viene utilizzato per descrivere lo spirito. E’ la sede, incluso nel subconscio, della vita intellettuale, emozionale, volitiva e spirituale dell’uomo.
Vediamo, a tale proposito, i passaggi corrispondenti. 

Vangelo di Matteo (22, 37): 

Gli rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente.

Lettera ai Romani (10, 9-10): 

Perché se con la tua bocca proclamerai: «Gesù è il Signore!», e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo. Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia, e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza.

Lettera agli Ebrei (4, 7): 

Dio fissa di nuovo un giorno, oggi, dicendo mediante Davide, dopo tanto tempo:
Oggi, se udite la sua voce,
non indurite i vostri cuori!

Lettera agli Ebrei (4, 12): 

Infatti la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore.

Coscienza: 

La coscienza è un testimonio interiore.
Vediamo a tale proposito questo passaggio della Lettera ai Romani (2, 15):

Essi dimostrano che quanto la Legge esige è scritto nei loro cuori, come risulta dalla testimonianza della loro coscienza e dai loro stessi ragionamenti, che ora li accusano ora li difendono.

La coscienza è stata influenzata dalla caduta dell’uomo, ma a volte può servire da guida sicura.

Lettera agli Ebrei (10, 22): 

accostiamoci con cuore sincero, nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura.

La coscienza può anche essere marchiata e perdere di sensibilità

Prima Lettera a Timoteo (4, 2): 

a causa dell’ipocrisia di impostori, già bollati a fuoco nella loro coscienza:

Mente:

E’ l’aspetto della parte immateriale dell’uomo che che si focalizza nell’apprendimento, pertanto fa parte dello spirito. La mente è stata influenzata dalla caduta dell’uomo però può essere rinnovata in Cristo, Lettera ai Romani (12, 2): 

Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto.

Yuri Leveratto

mercoledì 15 novembre 2017

La profezia di Isaia: il Messia è “Dio”


Circa settecento anni prima di Cristo, Isaia ha profetizzato che il Messia sarebbe venuto come un bambino e come un dono di Dio per governare. Libro di Isaia (9, 5-6)

Perchè un bambino è nato per noi,
ci è stato dato un figlio.
Sulle sue spalle è il potere
e il suo nome sarà:
Consigliere mirabile, Dio potente,
Padre per sempre, Principe della pace.
Grande sarà il suo potere
e la pace non avrà fine
sul trono di Davide e sul suo regno,
che egli viene a consolidare e rafforzare
con il diritto e la giustizia, ora e per sempre.
Questo farà lo zelo del Signore degli eserciti.

Le caratteristiche del Messia sono: 
1-Consigliere mirabile. Il termine פֶּ֠לֶא (pe-le), tradotto con “mirabile”, viene anche tradotto con “meraviglioso”. Quindi il Messia è un consigliere meraviglioso che nella sua prima venuta ha portato parole di vita eterna e quando tornerà regnerà con saggezza perfetta (Isaia 11, 2). 
2-Dio potente. Isaia dichiara che il Messia è “Dio”, quindi Gesù Cristo, il bambino, è “Dio”. E’ una espressione applicata anche a YHWH (per esempio in Deuteronomio 10, 17; Isaia 10, 21; Geremia 32, 18). L’attributo “Dio potente”, predice la vittoria finale del Messia sul male. 
3-Padre per sempre. Il Messia è eternamente un Padre per il suo popolo, occupandosi delle sue necessità. 
4-Principe della pace. Il Messia è colui che porta la pace, la tranquillità e la serenità nel senso assoluto e perfetto. Oggi gli uomini possono conoscere la sua pace. Ciò si vede anche nella Lettera agli Efesini (2, 13-18): 

Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo.
Egli infatti è la nostra pace,
colui che di due ha fatto una cosa sola,
abbattendo il muro di separazione che li divideva,
cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne.
Così egli ha abolito la Legge, fatta di prescrizioni e di decreti,
per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo,
facendo la pace,
e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo,
per mezzo della croce,
eliminando in se stesso l’inimicizia.
Egli è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani,
e pace a coloro che erano vicini.
Per mezzo di lui infatti possiamo presentarci, gli uni e gli altri,
al Padre in un solo Spirito.

Il regno eterno del Messia sul trono di Davide inizierà con il secondo avvento di Gesù Cristo. 

Yuri Leveratto

Tratto da commenti alla Sacra Bibbia, versione Reina Valera, di Charles Ryrie. 

venerdì 10 novembre 2017

Gesù Cristo è sacerdote perfetto: analisi dell’ottavo capitolo della Lettera agli Ebrei


L’ottavo capitolo della Lettera agli Ebrei è incentrato sui concetti del tabernacolo e della Nuova Alleanza. 
Vediamone i seguenti versi (1-7): 

Il punto capitale delle cose che stiamo dicendo è questo: noi abbiamo un sommo sacerdote così grande che si è assiso alla destra del trono della Maestà nei cieli, ministro del santuario e della vera tenda, che il Signore, e non un uomo, ha costruito.
Ogni sommo sacerdote, infatti, viene costituito per offrire doni e sacrifici: di qui la necessità che anche Gesù abbia qualcosa da offrire. Se egli fosse sulla terra, non sarebbe neppure sacerdote, poichè vi sono quelli che offrono i doni secondo la Legge. Questi offrono un culto che è immagine e ombra delle realtà celesti, secondo quanto fu dichiarato da Dio a Mosè, quando stava per costruire la tenda: «Guarda – disse – di fare ogni cosa secondo il modello che ti è stato mostrato sul monte.
Ora invece egli ha avuto un ministero tanto più eccellente quanto migliore è l’alleanza di cui è mediatore, perchè è fondata su migliori promesse. Se la prima alleanza infatti fosse stata perfetta, non sarebbe stato il caso di stabilirne un’altra. 

Gesù Cristo viene descritto come ministro del vero tabernacolo, ossia quello celeste. Infatti egli non poteva essere un sacerdote del santuario terrestre, proprio perchè non discendeva dalla tribù di Levi, ma da quella di Giuda. 
Proprio per questo è stato necessario che sorgesse un sacerdote secondo l’ordine di Melchisedek, e non secondo l’ordine di Aronne. Quel sacerdote era Gesù Cristo, che ha offerto se stesso, in espiazione dei peccati. 
Il patto del quale Cristo è mediatore è migliore dell’antico, la legge mosaica (Esodo 19, 5), in quanto si basa su migliori promesse. Il sangue di Cristo sta alla base del Nuovo Patto ed espia i peccati di tutti. Vediamo infatti questi due versi corrispondenti: 

Vangelo di Matteo (26, 27-28): 

Poi prese il calice, rese grazie e lo diede loro, dicendo: «Bevetene tutti, perchè questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti per il perdono dei peccati.

Sappiamo anche che i cristiani sono i ministri di questo patto, come si evince da questa citazione di Paolo di Tarso: Seconda Lettera ai Corinzi (3, 5-6): 

Non che da noi stessi siamo capaci di pensare qualcosa come proveniente da noi, ma la nostra capacità viene da Dio, il quale anche ci ha resi capaci di essere ministri di una nuova alleanza, non della lettera, ma dello Spirito; perchè la lettera uccide, lo Spirito invece dà vita.

Vediamo ora i versi sucessivi (7-13): 

Dio infatti, biasimando il suo popolo, dice:
Ecco: vengono giorni, dice il Signore,
quando io concluderò un’alleanza nuova
con la casa d’Israele e con la casa di Giuda.
Non sarà come l’alleanza che feci con i loro padri,
nel giorno in cui li presi per mano
per farli uscire dalla terra d’Egitto;
poichè essi non rimasero fedeli alla mia alleanza,
anch’io non ebbi più cura di loro, dice il Signore.
E questa è l’alleanza che io stipulerò con la casa d’Israele
dopo quei giorni, dice il Signore:
porrò le mie leggi nella loro mente
e le imprimerò nei loro cuori;
sarò il loro Dio
ed essi saranno il mio popolo.
Nè alcuno avrà più da istruire il suo concittadino,
nè alcuno il proprio fratello, dicendo:
«Conosci il Signore!».
Tutti infatti mi conosceranno,
dal più piccolo al più grande di loro.
Perchè io perdonerò le loro iniquità
e non mi ricorderò più dei loro peccati.
Dicendo alleanza nuova, Dio ha dichiarato antica la prima: 
ma, ciò che diventa antico e invecchia, è prossimo a scomparire.

In questi versi l’autore della Lettera agli Ebrei riporta i versi di Geremia, il profeta che ha annunciato il Nuovo Patto. 
Innanzitutto il Nuovo Patto è senza condizioni. La sua base è il sangue di Cristo. I comandamenti del Signore saranno scritti sui cuori. Israele troverà la sua condizione di popolo eterno (decimo verso, ciò  si compirà nel regno millenario vedere Zaccaria 8, 8). La conoscenza del Signore sarà comune a tutti (undicesimo verso, vedere Isaia 54, 13). Dio non si ricorderà più dei loro peccati ne delle loro iniquità (dodicesimo verso). 

Yuri Leveratto

domenica 15 ottobre 2017

Melchisedek, archetipo di Gesù Cristo. Analisi del settimo capitolo della Lettera agli Ebrei


Secondo la visione esoterico-gnostica Melchisedek, il personaggio descritto in Genesi (cap.14), nel Salmo 110 e nella Lettera agli Ebrei, sarebbe “Figlio di Dio”, esattamente come lo è Gesù Cristo. 
In questo articolo si dimostrerà invece che gli autori biblici consideravano Melchisedek come un archetipo sacerdotale dell’Unigenito Figlio di Dio, Gesù Cristo. 
Innanzitutto vediamo il passaggio della Genesi dove si menziona Melchisedek: Genesi (14, 17-20):

Quando Abram fu di ritorno, dopo la sconfitta di Chedorlaomer e dei re che erano con lui, il re di Sòdoma gli uscì incontro nella Valle di Save, cioè la Valle del re. Intanto Melchisedek, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo e benedisse Abram con queste parole: Sia benedetto Abram dal Dio altissimo, creatore del cielo e della terra, e benedetto sia il Dio altissimo, che ti ha messo in mano i tuoi nemici. Abram gli diede la decima di tutto. 

Dal passaggio della Genesi si evince che: 

Melchisedek significa: “re di giustizia”. 
Melchisedek è il re di Salem, quindi è il re di Gerusalemme. 
Salem significa “pace”, quindi Melchisedek è “re di pace”. 
È sacerdote del Dio Altissimo. 
Al Dio Altissimo offre pane e vino. 
Melchisedek è insieme sacerdote e re. 
Melchisedek benedice Abramo. 
Abramo gli consegna la “decima”, quindi riconosce la superiorità di Melchisedek. 

Ora vediamo il Salmo 110: 

Di Davide. Salmo. Oracolo del Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra, finchè io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi. Lo scettro del tuo potere stende il Signore da Sion: Domina in mezzo ai tuoi nemici. A te il principato nel giorno della tua potenza tra santi splendori; dal seno dell'aurora, come rugiada, io ti ho generato. 
Il Signore ha giurato e non si pente: Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchisedek. Il Signore è alla tua destra, annienterà i re nel giorno della sua ira. Giudicherà i popoli: in mezzo a cadaveri ne stritolerà la testa su vasta terra. Lungo il cammino si disseta al torrente e solleva alta la testa. 

Analizziamo il Salmo 110: 

Davide ascolta una conversazione tra YHWH e il Signore (il Messia), nella quale si dice che Cristo siederà alla destra del Padre, nel posto d’onore, fino alla sua seconda venuta, e in quel momento i suoi nemici saranno collocati sotto i suoi piedi. Durante il secondo avvento (il millennio), il Messia regnerà sulla terra da Sion (Gerusalemme), nel trono di David. Quindi Dio giura che il Messia, suo Figlio, sarà sacerdote per sempre, secondo l’ordine di Melchisedek. 

Ora analizziamo il settimo capitolo della Lettera agli Ebrei. Vediamone i primi tre versi, dove si descrive la persona di Melchisedek: 

1 Questo Melchìsedek infatti, re di Salem, sacerdote del Dio altissimo, andò incontro ad Abramo mentre ritornava dall’avere sconfitto i re e lo benedisse; 2 a lui Abramo diede la decima di ogni cosa. Anzitutto il suo nome significa «re di giustizia»; poi è anche re di Salem, cioè «re di pace». 3 Egli, senza padre, senza madre, senza genealogia, senza principio di giorni nè fine di vita, fatto simile al Figlio di Dio, rimane sacerdote per sempre.

Qui l’autore della Lettera agli Ebrei amplia la descrizione di Melchisedek rispetto alle informazioni che si possono trarre dalla Genesi. Infatti aggiunge che Melchisedek è “senza padre, senza madre, senza genealogia, senza principio di giorni nè fine di vita, fatto simile al Figlio di Dio, rimane sacerdote per sempre”.

Analizzeremo presto il perchè Melchisedek viene presentato senza genealogia. Ma prima soffermiamoci sulle similitudini tra Melchisedek e Cristo. 
Innanzitutto Melchisedek è come Cristo “re di giustizia” e “re di pace”. Cristo è “re”, sia per discendenza regale, sia perchè regnerà durante il secondo avvento, (durante il millennio) e poi nell’eternità. Farà giustizia quando sconfiggerà per sempre Satana e quando giudicherà coloro che non hanno creduto nel suo nome e coloro che hanno fatto opere malvagie. Inoltre Cristo ha portato la pace a chiunque lo abbia accolto nel suo cuore, liberandolo dal giogo del peccato, e porterà la pace dopo la sua seconda venuta quando regnerà prima sulla terra e poi nell’eternità. 
Melchisedek offre pane e vino al Dio altissimo come archetipi del sacrificio finale e perfetto di Cristo che offrirà il suo corpo e il suo sangue (dei quali il pane e il vino sono gli archetipi), per espiare i peccati del mondo. Cristo è pertanto sacerdote finale e perfetto.

Facciamo un passo indietro e analizziamo il passaggio 5, 10 della Lettera agli Ebrei: 

essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote secondo l’ordine di Melchìsedek.

In questo passaggio l’autore della Lettera agli Ebrei si riferisce a Cristo, che è stato proclamato sommo sacerdote da Dio, ma non secondo l’ordine levitico, ma secondo l’ordine di Melchisedek. 
Gesù Cristo non poteva essere un sacerdote secondo l’ordine levitico, in quanto nacque dalla tribù di Giuda, e non dalla tribù di Levi. Sia Melchisedek che Cristo erano re e sacerdoti, ed entrambi erano “re di giustizia” e “re di pace”. 
Ora soffermiamoci sul terzo verso: 

3 Egli, senza padre, senza madre, senza genealogia, senza principio di giorni nè fine di vita, fatto simile al Figlio di Dio, rimane sacerdote per sempre.

Melchisedek è presentato senza genealogia, e sacerdote in eterno, ma simile al Figlio di Dio e quindi non “esattamente uguale al Figlio di Dio”. Se l’autore della Lettera agli Ebrei ci avesse voluto comunicare che Melchisedek era “Figlio di Dio”, esattamente come Gesù Cristo, non avrebbe scritto: “fatto simile al Figlio di Dio”.

Secondo alcuni teologi, come il dispensazionalista Charles Ryrie, Melchisedek era un uomo, esattamente come Cristo è anche uomo, ed è sacerdote per sempre in un modo a noi ignoto. Di lui non è descritta la madre, ne il padre, ed è presentato senza genealogia, e senza principio di giorni nè fine di vita, allo scopo di renderlo ancora più adatto ad essere un archetipo di Gesù Cristo.
Infatti Gesù Cristo come vero Dio non ebbe madre e come vero uomo non ebbe padre. Inoltre Gesù Cristo non ebbe principio e non avrà mai fine (Vangelo di Giovanni 1, 1; Apocalisse 1, 17).

Quindi Melchisedek non era “il Figlio di Dio”, ma un suo archetipo. Ciò è provato innanzitutto dalla frase: “fatto simile al Figlio di Dio”, del terzo verso, ma anche dall’oggetto del sacrificio offerto al Dio altissimo: pane e vino da parte di Melchisedek, mentre Gesù Cristo offrì se stesso, la propria carne e il proprio sangue, come sacrificio finale e perfetto. Mentre l’offerta di Melchisedek al Dio altissimo aveva pertanto un valore archetipico e simbolico, l’offerta che Gesù Cristo fece a Dio, ossia il suo corpo e il suo sangue, ha un valore infinito, in quanto il Figlio stesso è Dio, ed è stata quindi sufficente ad espiare tutti i peccati. 
Il sacerdozio di Gesù Cristo è pertanto infinitamente superiore al sacerdozio di Melchisedek. 

Proseguiamo nell’analisi del settimo capitolo della Lettera agli Ebrei. 

4 Considerate dunque quanto sia grande costui, al quale Abramo, il patriarca, diede la decima del suo bottino. 5 In verità anche quelli tra i figli di Levi che assumono il sacerdozio hanno il mandato di riscuotere, secondo la Legge, la decima dal popolo, cioè dai loro fratelli, essi pure discendenti da Abramo. 6 Egli invece, che non era della loro stirpe, prese la decima da Abramo e benedisse colui che era depositario delle promesse. 7 Ora, senza alcun dubbio, è l’inferiore che è benedetto dal superiore. 8 Inoltre, qui riscuotono le decime uomini mortali; là invece, uno di cui si attesta che vive. 9 Anzi, si può dire che lo stesso Levi, il quale riceve le decime, in Abramo abbia versato la sua decima: 10 egli infatti, quando gli venne incontro Melchìsedek, si trovava ancora nei lombi del suo antenato.

Dal quarto verso si evince che Abramo diede la decima a Melchisedek e quindi riconobbe la superiorità del Re di Salem. Nel quinto verso l’autore descrive che la decima era donata dai discendenti di Abramo ai loro fratelli sacerdoti. I sacerdoti tuttavia non erano i destinatari della decima ma i beneficiari. Destinatario finale è Dio, e il pagamento della decima era vero atto di adorazione per il Signore. 
Dal sesto all’ottavo verso l’autore torna a delineare la figura di Melchisedek. Nel sesto verso si specifica che Melchisedek, pur non essendo della stirpe di Abramo, prese da lui la decima e lo benedisse. Nel settimo verso si afferma che Melchisedek è quindi superiore ad Abramo. Nell’ottavo verso si specifica che, mentre il sacerdozio levitico o di Aronne era espletato da uomini mortali, e che quindi non era eterno, ma terminava con la morte del sacerdote che doveva essere rimpiazzato, il sacerdozio di Melchisedek è eterno, in quanto egli vive per sempre. Nei versi nono e decimo si ribadisce che in Abramo tutto il popolo di Dio è benedetto e paga la decima a Melchisedek. 

Continuiamo con l’analisi dei versi sucessivi (7, 11-17): 

11 Ora, se si fosse realizzata la perfezione per mezzo del sacerdozio levitico – sotto di esso il popolo ha ricevuto la Legge –, che bisogno c’era che sorgesse un altro sacerdote secondo l’ordine di Melchìsedek, e non invece secondo l’ordine di Aronne? 12 Infatti, mutato il sacerdozio, avviene necessariamente anche un mutamento della Legge. 13 Colui del quale si dice questo, appartiene a un’altra tribù, della quale nessuno mai fu addetto all’altare. 14 È noto infatti che il Signore nostro è germogliato dalla tribù di Giuda, e di essa Mosè non disse nulla riguardo al sacerdozio.
15 Ciò risulta ancora più evidente dal momento che sorge, a somiglianza di Melchìsedek, un sacerdote differente, 16 il quale non è diventato tale secondo una legge prescritta dagli uomini, ma per la potenza di una vita indistruttibile. 17 Gli è resa infatti questa testimonianza: 
Tu sei sacerdote per sempre
secondo l’ordine di Melchìsedek.

A partire dall’undicesimo verso si descrive che il sacerdozio levitico, durante il quale il popolo di Dio ricevette la Legge, non ha portato alla perfezione. Proprio per questo è stato necessario che sorgesse un sacerdote secondo l’ordine di Melchisedek e non secondo l’ordine di Aronne. Quel sacerdote era Cristo. 
La Nuova Alleanza, il Nuovo Patto annunciato da Dio al profeta Geremia (cap. 31 dell’omonimo libro), sarà espletato da un nuovo sacerdozio, basato sull’ordine archetipico di Melchisedek e sarà fondato sul sacrificio finale e perfetto del nuovo e definitivo sacerdote, il Figlio di Dio, Gesù Cristo, che offrirà se stesso per il perdono dei peccati. 
Dal dodicesimo al diciassettesimo verso, l’autore sviluppa il suo ragionamento, dimostrando che, un cambio nel sacerdozio, ossia dai sacerdoti levitici a Cristo, sacerdote eterno dell’ordine di Melchisedek, comporta necessariamente il mutamento della legge mosaica, sostituita dalla Grazia. Il Messia è il vero e definitivo sacerdote. Gesù Cristo è Messia proprio perchè è vero e definitivo sacerdote. 
In particolare nel quindicesimo e sedicesimo verso si attesta che il Messia è sacerdote a somiglianza di Melchisedek (il suo sacerdozio quindi non è uguale a quello di Melchisedek, ma vi somiglia, in quanto eterno), e che non è diventato sacerdote in seguito ad una legge prescritta dagli uomini o secondo discendenza carnale (come lo erano i discendenti di Aronne), ma l’origine del suo sacerdozio eterno è divina, viene direttamente da Dio che lo ha scelto sacerdote dall’eternità del passato quindi da sempre. La frase “per la potenza di una vita indistruttibile”, si riferisce a Dio in quanto la vita di Dio è indistruttibile. Questo verso si può anche leggere nel senso che il Messia, il cui sacerdozio eterno è sorto grazie alla potenza di una vita indistruttibile, ha dato se stesso per noi in modo che anche noi potessimo avere una vita indistruttibile, cioè eterna. 
Nel diciassettesimo verso si evince che Cristo non si è autoproclamato sacerdote, ma bensi è stato chiamato dal Padre al sacerdozio eterno, secondo l’ordine di Melchisedek. 

Vediamo i restanti versi del settimo capitolo (7, 18-28):

18 Si ha così l’abrogazione di un ordinamento precedente a causa della sua debolezza e inutilità – 19 la Legge infatti non ha portato nulla alla perfezione – e si ha invece l’introduzione di una speranza migliore, grazie alla quale noi ci avviciniamo a Dio. 20 Inoltre ciò non avvenne senza giuramento. Quelli infatti diventavano sacerdoti senza giuramento; 21 costui al contrario con il giuramento di colui che gli dice:
Il Signore ha giurato e non si pentirà:
tu sei sacerdote per sempre.
22 Per questo Gesù è diventato garante di un’alleanza migliore.
23 Inoltre, quelli sono diventati sacerdoti in gran numero, perchè la morte impediva loro di durare a lungo. 24 Egli invece, poichè resta per sempre, possiede un sacerdozio che non tramonta. 25 Perciò può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio: egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore.
26 Questo era il sommo sacerdote che ci occorreva: santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli. 27 Egli non ha bisogno, come i sommi sacerdoti, di offrire sacrifici ogni giorno, prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo: lo ha fatto una volta per tutte, offrendo se stesso. 28 La Legge infatti costituisce sommi sacerdoti uomini soggetti a debolezza; ma la parola del giuramento, posteriore alla Legge, costituisce sacerdote il Figlio, reso perfetto per sempre.

Nei versi diciottesimo e diciannovesimo si afferma che il sacerdozio levitico è stato abrogato. Il sacerdozio levitico era basato sulla Legge e sui sacrifici animali. Ciò non portava alla perfezione, perchè non trasformava la natura stessa dell’uomo. Con la Grazia però l’uomo ha una speranza migliore, perchè con la fede può ottenere la giustificazione (Lettera agli Efesini 2, 8). 
Nei versi venti e ventuno si specifica che i discendenti di Aronne assumevano il sacerdozio levitico senza giuramento, mentre il Messia è stato costituito sacerdote in seguito al giuramento del Signore (ci si riferisce al Salmo 110, 4). 
Nel ventiduesimo verso si afferma pertanto che Gesù è divenuto il garante di un’alleanza migliore. L’alleanza è migliore in quanto è perfetta, basata sul sacrificio finale e perfetto dell’Unigenito Figlio di Dio, con lo scopo di espiare tutti i peccati. 
Dal ventitreesimo al venticinquesimo verso si ribadisce un’altra diversità tra il sacerdozio levitico e il sacerdozio di Cristo. Mentre i sacerdoti levitici sono stati molti, in quanto essi, essendo mortali, morivano e venivano pertanto rimpiazzati da altri sacerdoti, Gesù Cristo, invece, è eterno, e il suo sacerdozio è pertanto eterno, senza sucessori. Proprio per questo Egli, può salvare coloro i quali si avvicinano a Dio attraverso di Lui. 
A partire dal ventiseiesimo verso, l’autore ci presenta la persona del sacerdote finale e perfetto, Gesù Cristo. L’autore afferma che vi era bisogno di un sommo sacerdote “santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli.” 
Santo in quanto Gesù Cristo è senza peccato, mentre i sacerdote levitici sono dei peccatori. Proprio perchè è santo Cristo è separato dai peccatori. Non che Gesù non volesse accostarsi ai peccatori; anzi lo fa per redimerli e portarli a Lui, ma è separato dalla loro condizione peccaminosa. 
Nel ventisettesimo verso si afferma che Cristo non ha avuto bisogno di offrire sacrifici per i propri peccati, in quanto Egli era esente dal peccato. E non ha avuto neppure bisogno di offrire ogni giorno sacrifici per i peccati del popolo, in quanto lo ha fatto una volta sola, offrendo se stesso, essendo Egli l’Agnello di Dio (Vangelo di Giovanni, 1, 29). Una sola morte, un solo sacrificio, una sola espiazione, una sola redenzione. Anche in seguito a questo fatto si evince che l’uomo muore una volta sola, e il sacrificio di Cristo è sufficiente per espiare i suoi peccati e quindi per ottenere la redenzione, la liberazione dei peccati e quindi, una futura Risurrezione di vita. 
Nel ventottesimo verso si ribadisce ancora una volta la differenza tra il sacerdozio levitico e il sacerdozio di Cristo. Con Aronne i sacerdoti erano uomini soggetti all’umana debolezza, ma in seguito al giuramento (Salmo 110, 4), il Figlio di Dio è costituito sacerdote perfetto ed eterno. 
Si può pertanto riassumere che gli autori biblici hanno presentato Melchisedek come archetipo sacerdotale di Gesù Cristo. In particolare l’autore della Lettera agli Ebrei ha voluto esprimere che il sacerdozio di Cristo, è superiore al sacerdozio levitico. Sia per il fatto che il sacerdote è eterno, al modo di Melchisedek, ma soprattutto perchè il sacerdote è Dio stesso (Vangelo di Giovanni 1, 1), che, nella persona del Figlio, ha offerto se stesso per la remissione dei peccati. Il valore salvifico del suo sacrificio è pertanto infinito ed è sufficente per espiare tutti i peccati. 

Yuri Leveratto

Illustrazione: Melkisedek offre pane e vino al Dio Altissimo. (Santa Maria Maggiore, Roma).