sabato 10 dicembre 2016

Paolo di Tarso ha divulgato la piena Divinità di Gesù Cristo



Alcune persone pensano che la Divinità di Gesù Cristo sia un concetto espresso solamente nel Vangelo di Giovanni. Vi sono però altri libri del Nuovo Testamento dove si proclama la piena Divinità di Gesù Cristo. Innanzitutto il Vangelo di Matteo (1), che secondo vari studiosi risulta essere il primo libro scritto del Nuovo Testamento (2). Anche dalle lettere paoline si evince la piena Divinità di Gesù Cristo.
L’Apostolo dei Gentili aveva chiarissimo il concetto di Divinità di Gesù Cristo, e si evince da numerosi passaggi delle sue Lettere: 
Innanzitutto vediamo un passaggio importante della Lettera ai Filippesi dell’Apostolo Paolo, (2, 3-11): 

Non fate niente per ambizione ne per vanagloria, ma con umiltà ritenete gli altri migliori di voi; non mirando ciascuno ai propri interessi, ma anche a quelli degli altri. Coltivate in voi questi sentimenti che furono anche in Cristo Gesù: 
il quale, essendo per natura Dio, 
non stimò un bene irrinunciabile 
l’essere uguale a Dio
ma annichilì se stesso
prendendo natura di servo,
diventando simile agli uomini; 
e apparso in forma umana
si umiliò facendosi obbediente
fino alla morte
e alla morte in croce.
Per questo Dio lo ha sopraesaltato
ed insignito di quel nome,
affinché, nel nome di Gesù,
si pieghi ogni ginocchio
degli esseri celesti
dei terrestri e dei sotterranei
e in ogni lingua proclami,
che Gesù Cristo è Signore
a gloria di Dio Padre. 

Analizzando questo importante brano ritmico, vediamo che, al sesto passo Paolo scrive: “il quale, essendo per natura Dio”. Quindi Paolo scrive chiaramente che Gesù è Dio, per natura. Inoltre nell’undicesimo passo scrive: “e in ogni lingua proclami, che Gesù Cristo è Signore a gloria di Dio Padre”. Paolo non scrive “Dio”, ma bensì “Dio Padre”. Così facendo, ricollegandosi al sesto passo, certifica la Divinità del Figlio. 

Quindi vediamo il versetto della Lettera ai Colossesi (2, 9), in lingua greca: 

ὅτι ἐν αὐτῷ κατοικεῖ πᾶν τὸ πλήρωμα τῆς θεότητος σωματικῶς, 

che tradotto nella King James del 1611 d.C. è: “For in him dwelleth all the fulness of the Godhead bodily”. E in italiano: 

È in lui che dimora corporalmente tutta la pienezza della divinità”. 

Paolo afferma che in Cristo si ha “tutta la pienezza della divinità”, cioè l'essenza divina. Cristo è Dio. Egli, in quanto Persona, si distingue dal Padre per la relazione che ha con il Padre essendo lui il Figlio Unigenito, ma una sola è l'essenza. Tutta la pienezza della divinità “abita corporalmente” in lui, cioè non per via di semplice azione della divinità su di un corpo umano, ma per l'unione ipostatica delle due nature, quella divina e quella umana. In Cristo vi sono due nature, non mescolate tra di loro, nell'unica Persona che è quella divina. In Dio si hanno tre Persone uguali e distinte nell'unica essenza. Dio è Trinità.

Vi sono poi altri passaggi di Paolo di Tarso dove si afferma la piena Divinità di Gesù Cristo. 

Per esempio la Prima Lettera a Timoteo 3, 16, (Versione Diodati)

Senza alcun dubbio, infatti, è grande il mistero della pietà:
Dio si è manifestato nella carne
Fu giustificato nello spirito
Apparve agli angeli
Fu predicato alle nazioni
Fu creduto nel mondo
Fu assunto nella gloria

Mentre nel Textus Receptus è scritto “Dio si è manifestato nella carne”, nelle edizioni San Paolo, derivate dalla Vulgata è scritto “Colui che fu manifestato nella carne”. (3)

Analizziamo nuovamente un passaggio della Lettera ai Romani (9, 4-5)

Essi sono Israeliti, loro è l’adozione a figli, la gloria le alleanze, a loro è stata data la legge, il culto le promesse, i patriarchi, da loro proviene Cristo secondo la sua natura umana, egli che domina tutto è Dio, Benedetto nei secoli, amen.

In questo passaggio è chiaro che Paolo sosteneva la piena Divinità del Figlio.

Vediamo questo ultimo passaggio di Paolo di Tarso, nella Lettera a Tito, (2, 13):

nell'attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore Gesù Cristo 

Ovviamente il fatto che Paolo credesse e divulgasse la piena Divinità di Gesù Cristo si evince anche dalla Prima Lettera ai Corinzi cap. 15, dove si descrive la Risurrezione. 
Nella Risurrezione Gesù Cristo ha vinto la morte e ha dimostrato il suo potere su di essa. Solo Dio stesso, che ha creato l’universo, ha il potere di vincere il peccato e la morte. Senza Risurrezione, come scrive Paolo, la fede in Cristo sarebbe inutile. Tutte le altre religioni sono state fondate da uomini e profeti, la cui fine è stata la tomba. Ma solo nella religione cristiana Dio si è incarnato in un essere umano, che è venuto sulla terra (Giovanni 1, 11), con lo scopo di “togliere il peccato del mondo” (Giovanni 1, 29), vincere il peccato e la morte, fatto attestato dalla Risurrezione. 
E tutto questo Paolo di Tarso lo ha sancito chiaramente, fino alle estreme conseguenze, ossia fino al martirio (4).

Yuri Leveratto
Copyright 2016

Immagine: Andrej Rublev, Icona di Paolo di Tarso, 1407

Note:
1-Per esempio nei passaggi del Vangelo di Matteo (26, 64) e (28, 19). 
2-L'esegeta Francesco Spadafora sostiene che le lettera ai Tessalonicesi composte nel 50-51 dipendono dal Vangelo di Matteo ( Francesco Spadafora, L'escatologia di san Paolo, Ed. Studium, 1957). Il biblista Bernard Orchard data il Vangelo di Matteo tra il 45 e il 50 (J. B. Orchard, Thessalonians and the Synoptic Gospels, Bib 19 1938). Inoltre lo storico Gerarde Garitte riporta che due codici georgiani del X e XI secolo riferiscono la notizia che il vangelo secondo Matteo fu scritto otto anni dopo l'Ascensione di Gesù, il vangelo di Marco 11 anni dopo, Luca 15 anni dopo e Giovanni 32 anni dopo. (G. Garitte, Catalogue des manuscrits géorgiens littéraires du Mont Sinaï, Louvain, 1956.) Per finire Jean Carmignac propone una datazione originale dell'originale ebraico del Vangelo di Matteo intorno al 45 e la traduzione al greco nel 50. (J. Carmignac, Nascita dei Vangeli sinottici, San Paolo, Cinisello Balsamo, 1986).
3- Negli antichi manoscritti, i nomi sacri di Dio, Cristo, lo Spirito, ecc., erano abbreviati. L’abbreviazione greca per “Dio” sembra esattamente iguale alla parola “Chi”, eccetto che ha un breve trattino orrizontale che segna la differenza tra una theta e una omicron, e un altro trattino sulla parola da mostrare che si tratta di un’abbreviazione. I manoscritti hanno differenti letture: “Dio” (Textus receptus), “Chi”, e Colui che”. In ogni caso anche la dicitura “Colui che si manifestò nella carne”, indica l’incarnazione del Verbo, ossia Dio, in una persona umana. Infatti Paolo di Tarso non avrebbe scritto “colui che si manifestò nella carne” riferendosi ad un semplice uomo, giacché un semplice uomo è sempre in carne e ossa. 
4-Ecco alcune fonti storiche sul martirio di Paolo di Tarso: 
Lettera di Ignazio di Antiochia agli Efesini (110 AD)

XII. So chi sono e a chi scrivo. Io sono un condannato, voi avete ottenuto misericordia. Io in pericolo, voi al sicuro. Voi siete la strada per quelli che s'innalzano a Dio. Gli iniziati di Paolo che si è santificato, ha reso testimonianza ed è degno di essere chiamato beato. Possa io stare sulle sue orme per raggiungere Dio; in un'intera sua lettera si ricorda di voi in Gesù Cristo.

Lettera ai Romani di Dionigi, vescovo di Corinto (166-174 AD), in Eusebio di Cesarea - Storia Ecclesiastica 25-8

Con una tale ammonizione voi avete fuso le piantagioni di Roma e di Corinto, fatte da Pietro e da Paolo, giacchè entrambi insegnarono insieme nella nostra Corinto e noi ne siamo i frutti, e ugualmente, dopo aver insegnato insieme anche in Italia, subirono il martirio nello stesso tempo”

Tertulliano –Prescrizione contro le eresie (200 AD)

Come felice è la sua chiesa, su cui gli apostoli riversano tutta la loro dottrina insieme con il loro sangue! Dove Pietro subisce la passione come il suo Signore! Dove Paolo vince la corona in una morte simile a quella di Giovanni, dove l'apostolo Giovanni fu immerso, illeso, in olio bollente, e quindi rimandato in esilio nella sua isola! Vedete ciò che ha imparato, ciò che ha insegnato, e quello che ha avuto comunione con le nostre chiese in Africa!

Lattanzio, De Mortibus Persecutorum (318 AD)

I suoi apostoli erano allora undici di numero, al quale sono stati aggiunti Mattia, al posto del traditore Giuda, e poi Paolo. Poi si dispersero per tutta la terra a predicare il Vangelo, come il Signore loro Maestro gli aveva ordinato; e durante venticinque anni, e fino all'inizio del regno di Nerone, si occuparono di gettare le fondamenta della Chiesa in ogni provincia e città. E mentre Nerone regnava, l'apostolo Pietro è venuto a Roma, e, attraverso la potenza di Dio che gli fu affidata, fece certi miracoli e, convertendo molti alla vera religione, costruì un tempio fedele e saldo al Signore. Quando Nerone sentì parlare di queste cose, e osservò che non solo a Roma, ma in ogni altro luogo, una grande moltitudine di persone abbandonava ogni giorno il culto degli idoli, e, condannando le loro vecchie abitudini, si avvicinava alla nuova religione, lui, un esecrabile e pernicioso tiranno, decise di radere al suolo il tempio celeste e distruggere la vera fede. Fu lui che per primo ha perseguitato i servi di Dio; lui ha crocifisso Pietro e ha fatto uccidere Paolo.

Vi sono poi altre fonti sul martirio di Paolo, come la Lettera ai Filippesi di Policarpo e la Storia Ecclesiastica Eusebio di Cesarea, Libro II cap. 25 5-7

giovedì 8 dicembre 2016

La morte vicaria di Gesù Cristo


Da un punto di vista storico possiamo affermare che i seguaci di Cristo, quindi gli Apostoli, gli Evangelisti, e i primi cristiani, credevano che Gesù Cristo è il Figlio di Dio, e credevano nella sua doppia natura, ossia vero Dio e vero uomo. I seguaci di Cristo hanno divulgato, oltre alla sua nascita da una vergine, due fatti fondamentali: la sua morte vicaria e la sua Risurrezione. Questi due fatti sono gli eventi fondamentali del Cristianesimo.
Secondo i seguaci di Gesù Cristo, egli, morendo in croce, ha espiato tutti i peccati del mondo, e quindi è stato realmente “l’Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo” (Giovanni 1, 29). A tale proposito vediamo alcuni passaggi neo-testamentari: 

Vangelo di Matteo (26, 27-28):

Poi prese il calice, rese grazie e lo diede loro, dicendo: «Bevetene tutti, perchè questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti per il perdono dei peccati.

Ed ecco quello che predicava Pietro davanti ai capi del popolo e agli anziani, Atti degli Apostoli (4, 8-12):

Allora Pietro, colmato di Spirito Santo, disse loro: «Capi del popolo e anziani, visto che oggi veniamo interrogati sul beneficio recato a un uomo infermo, e cioè per mezzo di chi egli sia stato salvato, sia noto a tutti voi e a tutto il popolo d’Israele: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi risanato. Questo Gesù è la pietra, che è stata scartata da voi, costruttori, e che è diventata la pietra d’angolo. In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati»

Ecco due passaggi del Vangelo di Luca 
(19, 10):

Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».

(22, 19-20):

Poi prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: «Questo è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me». E, dopo aver cenato, fece lo stesso con il calice dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che è versato per voi».

Vediamo ora un passaggio importante della Prima Lettera ai Corinzi (15, 1-8):

Vi proclamo poi, fratelli, il Vangelo che vi ho annunciato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi e dal quale siete salvati, se lo mantenete come ve l’ho annunciato. A meno che non abbiate creduto invano!
A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè
che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture
e che fu sepolto
e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture
e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici.
In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto.

Vediamo ora il passaggio già citato del Vangelo di Giovanni (1, 29):

Il giorno dopo, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!

E’ evidente pertanto che già poco tempo dopo la vita terrena di Gesù, i primi cristiani credevano che Gesù, morendo sulla croce, avesse espiato tutti i peccati. 
Il significato principale della morte vicaria di Cristo è la sostituzione (si utilizza la parola greca “anti” ossia: “al posto di”). Semplicemente, ciò significa che Cristo è morto al posto di tutti i peccatori. Nel passaggio seguente del Vangelo di Matteo si sostiene infatti che la sua morte sarebbe servita a riscattare molti, Vangelo di Matteo (20, 28):

Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

Altre volte si utilizza la parola “huper”, che significa “a favore di” o “al posto di”. Per esempio nella Seconda Lettera ai Corinzi (5, 21): 

Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perchè in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio.

Inoltre la morte vicaria di Gesù Cristo ha fornito la redenzione dal peccato
Vi sono tre vocaboli importanti per descrivere questo concetto. Il primo vocavolo è “Comprare” o “pagare un prezzo per qualcosa”. (per esempio viene utilizzato in Matteo 13, 44). 
Il secondo vocabolo è lo stesso vocabolo che si può tradurre con “pagare un prezzo per qualcosa” ma rinforzato dal suffisso ek che significa “tirare fuori”. Ciò per significare che la morte di Cristo non solo servì a pagare il prezzo del peccato, ma ci tirò fuori dalla schiavitù del peccato. 
Il terzo vocabolo può essere tradotto con “rilasciare”, nel senso che la persona che ha accettato il sacrificio di Cristo sulla croce è stata “rilasciata”, ossia è divenuta libera, libera dal peccato. La base di questa liberazione è il sangue di Cristo (Lettera agli ebrei 9, 12), e il risultato è la purificazione di un popolo puro che appartenga a lui, infatti ecco il passaggio corrispondente: Lettera di Tito (2, 14):

Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sè un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone.

Pertanto la dottrina della redenzione indica che a causa dello spargimento del sangue di Cristo, i credenti sono stati salvati, e allontanati per sempre dalla schiavitù del peccato. 
Un altro effetto della morte di Cristo è la riconciliazione dell’uomo con Dio. Quando l’uomo accoglie il sacrificio di Cristo sulla croce si riconcilia con il Padre e quindi può salvarsi. A tale proposito questo passaggio della Seconda Lettera ai Corinzi (5, 19): 

Era Dio infatti che riconciliava a sè il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione.

Un altro effetto della morte di Cristo è la propiziazione. Normalmente il concetto di propiziazione si riferisce al concetto di placare Dio o soddisfare le sue esigenze. Però perchè l’ira di Dio dovrebbe essere placata? Semplicemente perchè Dio è adirato con l’umanità a causa del peccato. Il concetto dell’ira di Dio appare in molti passaggi neotestamentari per esempio nel Vangelo di Marco (14, 21): 

Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo, dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!».

O nella Lettera ai Romani (1, 18):

Infatti l’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia, 

L’ira di Dio non è solo il risultato della legge di causa ed effetto, ossia ira dovuta al peccato, ma deve intendersi come l’intervento e l’interesse personale di Dio nelle faccende umane. Secondo Giovanni l’opera propiziatoria di Cristo è rivolta al mondo intero. Vediamo a tale proposito questa citazione della Prima Lettera a Giovanni (2, 2):

È lui la vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo.

Un altro effetto della morte di Cristo è la condanna della natura peccaminosa. In pratica la sua morte ha reso inoperoso il dominio del peccato che si annida nella nostra natura umana. Vediamo a tale proposito questo passaggio della Lettera ai Romani: (6, 1-10):

Che diremo dunque? Rimaniamo nel peccato perchè abbondi la grazia? È assurdo! Noi, che già siamo morti al peccato, come potremo ancora vivere in esso? O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinchè, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se infatti siamo stati intimamente uniti a lui a somiglianza della sua morte, lo saremo anche a somiglianza della sua risurrezione. Lo sappiamo: l’uomo vecchio che è in noi è stato crocifisso con lui, affinchè fosse reso inefficace questo corpo di peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato. Infatti chi è morto, è liberato dal peccato.
Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo, risorto dai morti, non muore più; la morte non ha più potere su di lui. Infatti egli morì, e morì per il peccato una volta per tutte; ora invece vive, e vive per Dio.

Naturalmente in questo passaggio Paolo di Tarso intendeva il battesimo nello Spirito Santo. Pertanto la crocifissione del cristiano con Cristo significa la fine del dominio del peccato nella sua vita. In ogni caso ciò non significa che il peccato termini di esistere nel cristiano rinato, ma non è più dominante. 
La morte di Cristo ha inoltre posto fine alla legge mosaica come si può notare in questi due passaggi neotestamentari: 

Lettera ai Romani 10, 4): 

Ora, il termine della Legge è Cristo, perchè la giustizia sia data a chiunque crede.

Lettera ai Colossesi (2, 13-14):

Con lui Dio ha dato vita anche a voi, che eravate morti a causa delle colpe e della non circoncisione della vostra carne, perdonandoci tutte le colpe e annullando il documento scritto contro di noi che, con le prescrizioni, ci era contrario: lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce. 

La Legge non poteva giustificare il peccatore, come vediamo nella Lettera ai Romani (3, 20): 

Infatti in base alle opere della Legge nessun vivente sarà giustificato davanti a Dio, perchè per mezzo della Legge si ha conoscenza del peccato.

La legge poteva mostrare all’uomo la necessità della redenzione, ma non poteva offrire la redenzione. Ciò si evince dalla Lettera ai Galati (3, 23-25):

Ma prima che venisse la fede, noi eravamo custoditi e rinchiusi sotto la Legge, in attesa della fede che doveva essere rivelata. Così la Legge è stata per noi un pedagogo, fino a Cristo, perchè fossimo giustificati per la fede. Sopraggiunta la fede, non siamo più sotto un pedagogo. 

Secondo gli Apostoli fu la morte di Cristo ad offrire all’uomo la possibilità di essere giustificati mediante la fede in lui. 
Però vi sono porzioni della Legge mosaica che si ripetono nel Nuovo Testamento, con il fine della santificazione del credente. In realtà nove dei dieci comandamenti sono ripetuti. Bisogna distinguere tra il codice e i comandamenti contenuti nel codice. Come codice la Legge si è abolita. Mentre il codice attualmente vigente è la Legge di Cristo (Lettera ai Galati 6, 2): 

Portate i pesi gli uni degli altri: così adempirete la legge di Cristo. 

o Legge dello Spirito che da vita: (Letetra ai Romani 8, 2):

Perchè la legge dello Spirito, che dà vita in Cristo Gesù, ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte. 

Il rispetto assoluto dei dieci comandamenti non è sufficente per la salvezza. Al contrario, chi ha accettato Gesù Cristo nel suo cuore, naturalmente rispetterà i dieci comandamenti.
In altre parole non è il rispetto dei dieci comandamenti che porta l’uomo alla salvezza, ma è la fede che Gesù Cristo sia morto per i nostri peccati che porta l’uomo alla salvezza. Infatti anche se una persona rispettasse alla lettera i dieci comandamenti sarebbe sempre un peccatore. Non potrà salvarsi “da solo”, ne con azioni di riparazione dei suoi peccati (il peccato resta), ne con azioni buone tese a compensare il peccato. Solo accettando la Grazia data da Gesù Cristo, per mezzo della fede, l’uomo può salvarsi. Infatti vediamo questi due passaggi neo-testamentari: 

Lettera ai Galati (3, 13): 

Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della Legge, diventando lui stesso maledizione per noi, poichè sta scritto: Maledetto chi è appeso al legno, 

Lettera ai Romani (8, 1): 

Ora, dunque, non c’è nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù.

Pertanto Gesù si è caricato dei nostri peccati e se accogliamo il suo sacrificio ci liberiamo dal potere di condanna della Legge, senza violarla, perchè in Cristo troviamo il compimento della Legge morale di Dio. 
L’ultimo effetto della morte di Cristo è la base per la quale il credente possa essere lavato dei suoi peccati. Il sangue di Cristo è la base della costante purificazione dei credenti. A tale propòsito vediamo la Prima Lettera di Giovanni (1, 7): 

Ma se camminiamo nella luce, come egli è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri, e il sangue di Gesù, il Figlio suo, ci purifica da ogni peccato.

Ora passiamo ad analizzare alcuni benefici della morte vicaria di Cristo e dell’accettazione di questo concetto da parte del credente. 
Innanzitutto il credente viene giustificato cioè viene reso accettabile davanti a Dio. A tale proposito vediamo alcuni passaggi del Nuovo Testamento: 

Redenzione e giustificazione: Lettera ai Romani (3, 23-24):

perchè tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, per mezzo della redenzione che è in Cristo Gesù. 

Riconciliazione: Seconda Lettera ai Corinzi (5, 19-21):

Era Dio infatti che riconciliava a sè il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perchè in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio.

Perdono: Lettera ai Romani (3, 25): 

È lui che Dio ha stabilito apertamente come strumento di espiazione, per mezzo della fede, nel suo sangue, a manifestazione della sua giustizia per la remissione dei peccati passati 

Liberazione: Lettera ai Colossesi (1, 12-13):

ringraziate con gioia il Padre che vi ha resi capaci di partecipare alla sorte dei santi nella luce. È lui che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore,

L’accettazione nell’Amato: Lettera agli Efesini (1, 6):

a lode dello splendore della sua grazia,
di cui ci ha gratificati nel Figlio amato.

La sicurezza della glorificazione futura: Lettera ai Romani (8, 30):

quelli poi che ha predestinato, li ha anche chiamati; quelli che ha chiamato, li ha anche giustificati; quelli che ha giustificato, li ha anche glorificati.

Giustificare significa dichiarare giusto. E’ un termine giudiziale che si riferisce al fatto che il verdetto di assoluzione è stato pronunciato, e ha escluso ogni possibile condanna. La giustificazione non potrebbe essere basata sulle opere, in quanto Dio richiede perfetta obbedienza la quale è impossibile all’uomo. In quest’ottica la perfetta santità di Cristo nel compimento della Legge e la sua morte espiatoria sono le basi per la giustificazione del credente. Vediamo a tale proposito un altro passaggio della Lettera ai Romani (5, 8-10): 

Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. A maggior ragione ora, giustificati nel suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui. Se infatti, quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più, ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita.

Il mezzo per raggiungere la gisutificazione è la fede (Lettera ai Romani 3, 22, 25, 28, 30). La fede è il mezzo attraverso il quale la Grazia di Dio imputa al peccatore credente la giustizia di Cristo. 

Dopo la giustificazione il credente diventa “figlio di Dio”, e quindi viene adottato come “figlio”. Inizia una relazione speciale tra lui e il Padre, una relazione filiale. 

Un’altro beneficio della morte vicaria di Cristo è la santificazione del credente. La parola santificazione viene dal ebraico qados ossia “eletto da Dio”, “distinto”, “differenziato”. 
Innanzitutto il credente è stato santificato, separato da i non giustificati. Vediamo questo passaggio della Prima Lettera ai Corinzi (6, 11):

E tali eravate alcuni di voi! Ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio.

In secondo luogo il credente proprio perchè è stato santificato, approffondirà e mettera in pratica sempre più la sua posizione. Vediamo questo passaggio della Prima Lettera di Pietro  (1, 16):

Poichè sta scritto: Sarete santi, perchè io sono santo.

Vi è naturalmente una futura e perfetta santificazione: quando vedremo Cristo faccia a faccia e inizieremo a essere simili a Lui, come specificato nella Prima Lettera di Giovanni (3, 1-3):

Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perchè non ha conosciuto lui. Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perchè lo vedremo così come egli è.

Questa è la definitiva e futura santificazione quando i credenti in Cristo usciranno dai sepolcri con un corpo glorificato, come spiegato in questi due passaggi neo-testamentari:

Lettera agli Efesini (5, 26-27):

E voi, mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola con il lavacro dell’acqua mediante la parola, e per presentare a se stesso la Chiesa tutta gloriosa, senza macchia nè ruga o alcunchè di simile, ma santa e immacolata. 

Lettera di Giuda, (24-25):

A colui che può preservarvi da ogni caduta e farvi comparire davanti alla sua gloria senza difetti e colmi di gioia, all’unico Dio, nostro salvatore, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore, gloria, maestà, forza e potenza prima di ogni tempo, ora e per sempre. Amen.


Yuri Leveratto
Bibliografia: Significato della salvezza e benedizioni che provvede. Charles Ryrie. Commenti alla Bibbia (versione Reina Valera).

sabato 3 dicembre 2016

L’Unigenito Figlio ha fatto conoscere Dio: analisi del diciottesimo verso del Vangelo di Giovanni


Come abbiamo visto il proposito dei primi diciotto versi del Vangelo di Giovanni è stato quello di dimostrare la pre-esistenza, quindi la piena Divinità, di Gesù Cristo. I versi fondamentali del Prologo sono il primo e il quattordicesimo.
Nel primo verso Giovanni dichiara che il Verbo (Gesù Cristo), era pre-esistente con Dio Padre fin dal principio, ossia “da sempre”, e dichiara che il Verbo è Dio.
Nel quattordicesimo verso si indica l’Incarnazione di Dio nella persona di Gesù Cristo. Con le parole “E il Verbo si fece carne”, Giovanni vuole esprimere il momento fondamentale della storia dell’umanità, ossia Dio che si fa uomo, per venire a salvare l’uomo. Tuttavia anche il diciottesimo verso è molto importante per comprendere chi era veramente Gesù Cristo e perché solo attraverso di lui possiamo conoscere il Padre. Vediamolo:

Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.

Vediamo la corrispondente pronuncia in greco:

Theon oudeis heōraken pōpote monogenēs Theos ho ōn eis ton kolpon tou Patros ekeinos exēgēsato

Dalla frase “Dio, nessuno lo ha mai visto”, si evince che nessuno ha mai potuto vedere Dio nella sua completezza. E’ vero che Dio si è manifestato varie volte a Mosè, ma ne il profeta biblico, ne altri profeti hanno mai potuto vedere realmente Dio nella sua pienezza.
La seconda frase del diciottesimo verso ci indica invece che qualcuno, ossia il Figlio unigenito, ha reso Dio visibile.
Torniamo però alla prima frase: “Dio, nessuno lo ha mai visto”. Da questa frase si evince che Dio è spirito, e come tale è invisibile. A tale proposito vediamo una frase del Vangelo di Giovanni, quando il Signore si è rivolto alla donna samaritana (4, 24):

Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». 

Giovanni pertanto, quando scrive che nessuno lo ha mai visto, si riferisce alla pienezza di Dio, alla sua essenza spirituale, infinita ed eterna. Nessuno può vedere l’essenza spirituale di Dio in tutta la sua pienezza, per il semplice fatto che l’uomo, essendo limitato e finito, non può cogliere l’infinito.
Ovviamente Giovanni non scrive “ho Theon”, ma bensì: “Theon”, dimostrando che si riferisce al concetto Trascendente di Dio. Dio nella sua pienezza onniscente, onnipotente e onnipresente, non può essere visto dall’uomo.
La parola heōraken significa “vide”, o “ha visto”. E’ il tempo perfetto del verbo horaao, vedere.
Il verbo horaao può significare tre cose: vedere con gli occhi, vedere con la mente o percepire, sperimentare o conoscere per mezzo dell’esperienza.
Giovanni afferma quindi che nessuno ha mai potuto vedere Dio, nella sua pienezza. L’Evangelista pertanto non si riferisce a manifestazioni parziali di Dio, o teofanie (come per esempio in Esodo 33, 11 o Numeri 12, 8).
Dopo averci comunicato che nessuno ha mai visto Dio, Giovanni ci comunica che esiste un’eccezione, infatti scrive: “il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato”.
Secondo Giovanni, Dio ha voluto rivelarsi completamente e lo ha fatto con Gesù Cristo, che viene chiamato Verbo (Logos), e anche unigenito Figlio. La parola greca “monogenees” può significare (1): 1 - figlio unico, ossia chi non ha fratelli o sorelle (come in Luca 8, 42); 2 - l’unico di questa specie; 3 - della stessa natura. Secondo Spiros Zodhiates “monogenees”, deve essere interpretato “della stessa natura, o della stessa sostanza”. Per Zodhiates pertanto anche “monogenees”, è un indizio che Giovanni volesse intendere che Gesù Cristo, il Verbo, ha la stessa sostanza del Padre e pertanto, solo lui può farlo conoscere.
Proprio per questo Gesù Cristo ha detto, Vangelo di Giovanni (14, 9):

Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? 

Perché Dio si è incarnato nella persona di Gesù Cristo?
La forma di uomo, era l’unica che poteva essere riconosciuta da altri uomini. Ciò naturalmente non significa che durante l’Incarnazione Dio cessò di esistere come puro spirito.
Questa espressione “monogenēs Theos”, è unica e si riferisce al fatto che il Figlio è Dio, e ha la “stessa sostanza” di Dio Padre.
D’altronde sono numerose le citazioni bibliche che indicano la corrispondenza di Dio Padre con il Figlio, per esempio Giovanni (10, 30):

Io e il Padre siamo una cosa sola.

Analizziamo adesso la frase: “che è nel seno del Padre”. E’ vero che Giovanni scrisse queste parole dopo l’Ascensione di Gesù Cristo alla destra del Padre.
In ogni caso la frase “che è nel seno del Padre”, non si riferisce solo al periodo successivo alla sua Ascensione, ma all’eternità. Anche durante l’Incarnazione Gesù Cristo era “nel seno del Padre”. Anche prima dell’Incarnazione, il Cristo eterno era “nel seno del Padre”.
Questa frase comincia con la parola “ho”, che si traduce con “colui”, o “che”. Pertanto la traduzione letterale potrebbe essere: “colui che è nel seno del Padre”. La frase continua con la parola ὢν ossia on, che significa “è”. Giovanni non ha scritto “è stato” o “era”, ma bensì: “è”. Questo tempo indica che Egli è da sempre e per sempre nel seno del Padre. Anche da questo verbo si evince che Gesù Cristo non è soggetto al tempo.
Cosa significa la parola kolpos, ossia “seno”? Generalmente la parola seno si riferisce alla parte superiore del busto, dove è ubicato il cuore. Ciò da l’idea di una relazione intima tra il Figlio e il Padre. Proprio per questo solo il Figlio conosce l’essenza e i desideri del Padre e può pertanto rivelarli.
Analizziamo ora l’ultima frase del diciottesimo verso: “è lui che lo ha rivelato”.
Innanzitutto notiamo che Gesù Cristo si riferisce a Dio come “suo Padre”. Per esempio nel Vangelo di Luca (2, 49):

Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». 

Ma anche nel finale del Vangelo di Matteo (28, 19):

Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, 

Possiamo affermare che Gesù è venuto sulla terra per rivelarci che se lo accogliamo come nostro Salvatore, Dio si converte in nostro Padre. Giovanni ha sviluppato questo concetto nel dodicesimo verso del suo Prologo, dove afferma che i figli di Dio sono coloro i quali che accolgono Gesù Cristo e credono nel suo nome. Inoltre con una frase molto tagliente Gesù Cristo ha specificato che solo attraverso di lui si può giungere al Padre, Vangelo di Giovanni (14, 6):

Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me.

Pertanto attraverso Cristo e accettando il suo sacrificio sulla croce, l’uomo può convertirsi in figlio di Dio e quindi Dio può essere suo Padre. Ma di chi era figlio l’uomo prima di convertirsi in figlio di Dio? Ecco la risposta: Vangelo di Giovanni (8, 44):

Voi avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli era omicida fin da principio e non stava saldo nella verità, perché in lui non c’è verità. Quando dice il falso, dice ciò che è suo, perché è menzognero e padre della menzogna. 

La parola ekeinos significa “questa persona” o “lui”, in riferimento a “colui che è nel seno del Padre”. Nell’ultima frase Giovanni vuole dissipare ogni dubbio, vuole comunicarci che solo Gesù Cristo, l’Unigenito Figlio, ci ha fatto conoscere il Padre. Siccome l’essenza di Gesù Cristo (monogenees) è la stessa del Padre, egli, l’Unigenito Figlio, ha potuto farci conoscere il Padre.
Il verbo che Giovanni ha utilizzato per la frase “lo ha fatto conoscere” è exēgēsato, dal quale deriva la parola esegesi. Questo verbo era utilizzato da antichi scrittori greci per per indicare l’interpretazione dei misteri divini. E’ come se Giovanni avesse voluto esprimere che Gesù Cristo ci ha indicato la meravigliosa via per accedere al mistero di Dio, infinito ed onnipotente. In realtà exēgēsato è composto da ex (fuori) e dal verbo heegeomai (portare). Pertanto il suo significato è: portare fuori, estrarre, trarre. Ciò da l’idea che Dio non era pienamente accessibile all’uomo, ma è stato Gesù Cristo che ha reso possibile che l’uomo conoscesse Dio. E’ stato Gesù Cristo a rendere accessibile Dio all’uomo. E non esiste alcun altro modo per l’uomo per conoscere Dio se non attraverso Gesù Cristo, (Vangelo di Giovanni 14, 9).
Il verbo exēgēsato è nel tempo aoristo, e ciò indica che questa azione non si ripeterà. Gesù Cristo ha fatto conoscere il Padre una volta per tutte, e ciò significa che Gesù Cristo non tornerà ancora una volta per rivelare il Padre. Verrà certamente, ma come strumento della giustizia di Dio sulla terra.

Yuri Leveratto
Copyright 2016

Bibliografia: Cristo era Dio? Spiros Zodhiates.

Immagine: il discorso di Cristo agli undici Apostoli, Maestà di Duccio di Buoninsegna.

Note: 
1-Great Lexicon of the Greek language
2-http://yurileveratto2.blogspot.com.co/2015/11/la-vera-identita-di-gesu-cristo.html