lunedì 31 agosto 2015

Gli esseri umani si sono realmente evoluti dagli “ominidi”?




La teoria dell’evoluzionismo darwiniano presuppone che l’uomo si sia originato da una prima cellula primordiale. Questa teoria, che dà per scontato che le specie si siano create in seguito alla selezione naturale e a delle mutazioni genetiche, non è provata con evidenze scientifiche. Questa teoria afferma che l’uomo, che sarebbe quindi frutto del caso, si sarebbe originato a sua volta da vari ominidi, esseri a metà tra la scimmia e l’uomo, che a loro volta si sarebbero originati da un antenato comune alle scimmie, vissuto dai sei ai dodici milioni di anni fa. 
Da questo antenato comune si sarebbero originate dunque, da una parte, le scimmie, e dall’altra gli ominidi e poi l’uomo. Uno dei primi ominidi sarebbe stato l’australiopiteco, vissuto circa due milioni di anni fa. Poi vi sarebbero stati altri ominidi, come l’homo habilis, l’homo eragster, l’homo herectus e infine l’homo sapiens, che sarebbe apparso sulla scena circa 200.000 anni fa. 
Inoltre secondo gli assiomi evoluzionistici l'uomo moderno si sarebbe evoluto fino a circa 100.000 anni fa, e poi avrebbe smesso di evolversi! Secondo l’evoluzionismo, da quel momento, l'uomo sarebbe passato da una "evoluzione fisica" a una "evoluzione culturale e sociale". 
Ma, come sappiamo, non ci sono prove che nessuna specie animale si sia evoluta in un’altra specie animale, e neppure che la selezione naturale o le mutazioni genetiche possano causare nuove specie, ma l’evoluzionismo ha installato nella mente umana che questo processo, assolutamente non provato negli animali, sia accaduto anche negli esseri umani. Se poi l’uomo è lo stesso di quello che era 100.000 anni fa, perchè ha iniziato a lasciare delle tracce della sua cultura e della sua intelligenza, come scritti, edifici e manufatti solo a partire da circa 5000 anni fa? Perchè la storia umana risale a solo 5000 anni fa?

Prima di analizzare i vari ritrovamenti dei cosidetti ominidi prendiamo in considerazione vari argomenti importanti. 

1-Perchè ogni volta che si trovano dei fossili di ominidi viene trovato un solo esemplare? Perchè non centinaia o migliaia di loro? Se questi sono i nostri antenati, dovrebbero esserci milioni di esemplari. Ci sono così tante persone vive oggi, ci sarebbe dovuto essere un gran numero di ominidi vivi durante quei "due milioni di anni", che si dice che gli ominidi abbiano vissuto su questo pianeta. 
2-Perchè per ogni esemplare vengono trovati solo piccoli pezzi di osso, mai uno scheletro completo? Non è questo un modo di assumere conclusioni da resti minimi o frammentari? O è possibile che, quanto meno viene trovato, tanto più facile sia provare a fare affermazioni infondate? 
3-Sebbene le ossa si distruggano in pochi anni nelle regioni più umide e in alcuni secoli nelle regioni più aride, perchè queste ossa non si sono polverizzate anche se si suppone che abbiano "due milioni di anni"? La stessa possibilità, che queste "ossa di milioni di anni" non si siano disfatte, rende ancora più certo che dovrebbero esserci milioni di altre ossa in giro che appartengono ai nostri antenati! Ci sono milioni di persone che vivono oggi, e se gli ominidi hanno vissuto sulla terra per almeno due milioni di anni, la terra dovrebbe essere piena delle ossa dei nostri antenati!
4-Come si potrebbero trovare "ossa di due milioni di anni" nella terra umida (non racchiusa in una roccia solida) in Indonesia, Cina e Inghilterra? Tuttavia gli evoluzionisti affermano che tali ossa sono state trovate, come vedremo di seguito.
Pertanto questi esperti paleontologi hanno tratto le loro conclusioni da ritrovamenti di pezzi di ossa: frammenti di mascella, pezzi di cranio spezzati e parti di altre ossa. Non è mai stato trovato nessuno scheletro completo o anche semi-completo, che collega l'uomo con il resto degli animali. Ma lavorando con pezzi raccolti qua e là, l'immaginazione può produrre meravigliose “scoperte”. In alcuni casi inoltre, alcuni dei pezzi sono stati trovati a una certa distanza dal resto dei frammenti.

Alcuni evoluzionisti sostengono che nessun creazionista sarebbe in grado, davanti a crani di ominidi e di umani in sequenza di dire con chiarezza se questi appartengano a scimmie o all’uomo. In pratica nessuno, secondo loro, sarebbe in grado di differanziare i crani di scimmie dai crani di umani. E pertanto sostengono che gli ominidi sarebbero realmente antenati dell’uomo, sarebbero l’anello mancante, dai quali l’uomo si è evoluto.  
A questa osservazione si può  rispondere così: innazitutto la maggioranza dei crani di ominidi che si vedono nei musei sono ricostruzioni o fantasie di artisti evoluzionisti. In realtà sono sempre stati trovati frammenti di crani o frammenti di ossa correlate poi ai crani in questione. Quindi non ha senso fare una domanda di questo tipo. La realtà è ben diversa e più complessa: i resti di crani e di ossa ritrovati non provano assolutamente che vi siano stati degli ominidi dai quali l’uomo sarebbe derivato. Al contrario: questi ritrovamenti provano solo che sono stati trovati dei resti di scimmie e dei resti si umani.  

Fatte queste dovute premesse, ora iniziamo ad analizzare i ritrovamenti degli ominidi nello specifico. 

Il primo ritrovamento, a lungo considerato come l’antenato comune, è il ramapithecus. Si suppone che sia vissuto circa dodici milioni di anni fa. Nel 1932 Edward Lewis, dopo aver trovato dei frammenti di mandibola e alcuni denti, sostenne che il ramapithecus era un ominide, l’antenato comune a scimmie e umani. In seguito, il paleontologo Robert Eckard, dopo molti anni di studio sul Ramapithecus è venuto alla conclusione che si trattava solo di un primate, e che non aveva nessuna caratteristica umana. 

Uno degli ominidi dai quali l’uomo deriverebbe sono gli australopitechi.
Questo nome (“scimmia meridionale”), è stato dato a una varietà di ossa di scimmie trovate in Africa. Dopo aver esaminato attentamente le ossa, vari antropologi hanno annunciato che provengono da un’antica specie di pre-umani che visse da 1 a 4 milioni di anni fa. Queste ossa sono state trovate in vari siti africani, tra cui Sterkfontein, Swartkrans, Koobi Fora, Olduvai, Hadar e Orno River. 
Il primo ritrovamento di ossa, poi attribuite ad un australopiteco, avvenne a Taung, in Sud Africa, nel 1924, da parte dell’antopologo australiano Raymond Dart.
Quando Raymond Dart s’imbattè nelle ossa facciali e nella mascella inferiore di una scimmia giovane in una grotta nella cava di calcare di Taung, si precipitò a denunciarlo, accompagnato da affermazioni stravaganti. La maggior parte degli scienziati respinse questa scoperta, ma la stampa iniziò a proclamare che questo ominide sarebbe “l’anello mancante”. Oggi la maggior parte degli esperti lo considera il teschio di una giovane scimmia. Vediamo questa citazione del biochimico statunitesnse Duane Gish: 

"Le differenze dovute all’età sono particolarmente significative con riferimento alla struttura del cranio nelle scimmie. Durante la transizione da giovane ad adulto nelle scimmie si verificano cambiamenti molto pronunciati, ma non nell'uomo. Il cranio di una scimmia giovanile è in qualche modo diverso da quello di un uomo. Ricordiamo che il primo esemplare di Australopithecus scoperto da Raymond Dart, il “bambino” di Tuang, fu in realtà quello di una scimmia giovane. Questo cranio giovanile non avrebbe mai dovuto essere paragonato a quello di scimmie e umani adulti ". —
Duane Gish, Evolution: the Challenge of the Fossil Record (1985), p. 178 .

Se consideriamo il volume del cervello notiamo che gli esseri umani hanno una capacità cranica che va dai 1000 ai 1600 centimetri cubici (cc).  I teschi di Taung e Sterkfontein hanno una capacità cranica di circa 430 cc. ciascuno, quindi un adulto della loro specie avrebbe avuto una capacità cranica di 550-600 cc. Pertanto, in base alle dimensioni della calotta cranica, questi risultati non provano nulla. Gli australopitechi trovati erano solo delle scimmie.

A proposito di Australopithecines, J.S. Weiner ha commentato:

"Il profilo scimmiesco di Australopithecus è così pronunciato che il suo contorno può essere sovrapposto a quello di uno scimpanzè femmina con una notevole vicinanza di adattamento, e sotto questo aspetto e altri si trova in forte contrasto con l'uomo moderno." - J.S. Weiner, The Natural History of Man (1973).

Nel 1957, Ashley Montagu, un importante antropologo degli Stati Uniti, scrisse che queste creature estremamente simili non potevano avere nulla a che fare con l'uomo (A. Montegu, Primo milione di anni dell'uomo).
Dopo ricerche più accurate, Charles Oxnard (1) e Solly Zuckerman sono giunti alla conclusione che l’Australopithecus è una scimmia, non è umana, e non è una transizione tra i due.
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La scimmia denominata Lucy, una delle scoperte più recenti dell'Australopithecus, è stata portata alla luce da Donald C. Johanson a Hadar, in Etiopia, nel 1975.  
E’ stata datata a 3 milioni di anni fa. Nel 1979, Johanson e White affermarono che Lucy rientrava in una classificazione scimmia/uomo (Australopithecus afarensis). Ma anche prima di quell'annuncio sorprendente, la situazione non era così chiara. Nel 1976, Johanson disse che "Lucy ha enormi mascelle a V, in contrasto con l'uomo" (* National Geographic Magazine, 150: 790-810). 
Nel 1981, Johanson ha detto che Lucy era "imbarazzantemente non-homo simile" (Science 81, 2 (2): 53-55). 
La rivista Time riferì nel 1977 che Lucy aveva un teschio minuscolo, una testa simile a una scimmia, una capacità cranica uguale a quella di uno scimpanzè: 450 cc. e "aveva le gambe sorprendentemente corte" (* Time, 7 novembre 1979, pp. 68-69).
Il Dr. Yves Coppens, apparso sulla BBC-TV nel 1982, dichiarò che il cranio di Lucy era come quello di una scimmia.

Nel 1983, Jeremy Cherfas disse che l'osso della caviglia (talus) di Lucy si inclina all'indietro come un gorilla, anzichè in avanti come negli esseri umani che ne hanno bisogno per camminare in posizione eretta, e ha concluso che le differenze tra lei e gli esseri umani sono "inconfondibili" (J. Cherfas, New Scientist, (97: 172 [1982]).

Susman e Stern della New York University esaminarono attentamente Lucy e dissero che il suo pollice era simile a quello di una scimmia, le dita dei piedi lunghe e curve per arrampicarsi sugli alberi, e "probabilmente si annidava sugli alberi e viveva come altre scimmie" (Bible Science Newsletter, 1982, p 4).
Diversi scienziati hanno appurato che le ossa di Lucy provengono da due diverse fonti. Commentando questo fatto, Peter Andrews, del British Museum of Natural History, ha detto questo:

"Per complicare ulteriormente le cose, alcuni ricercatori ritengono che il campione di afarensis (Lucy), sia in realtà una miscela di due specie separate. Le prove più convincenti di questo fatto si basano sulle caratteristiche delle articolazioni del ginocchio e del gomito." - Peter Andrews, "The Descent of Man", in New Scientist, 102: 24 (1984).

Riguardo a quelle articolazioni del ginocchio, Owen Lovejoy, un collega altamente qualificato (un anatomista), di Richard Leakey, dichiarò, in una conferenza del 1979 negli Stati Uniti, che un'analisi multivariata delle articolazioni del ginocchio di Lucy gli rivelò che Lucy non era altro che una scimmia.

Quindi, se le ossa di Lucy appartengono a una o due creature, erano entrambe delle scimmie.

La teoria di Johanson su Lucy si basa su un presupposto che collega due fossili distanti 1.000 miglia (1.609 km):

"Sebbene i fossili di Lucy fossero inizialmente datati a tre milioni di anni, Johanson li aveva annunciati come antichi di 3,5 milioni perchè affermava che la specie era “la stessa” di un teschio trovato da Mary Leakey a Laetoli, in Tanzania. Proponendo la scoperta di Mary Leakey come "esemplare di tipo" per Australopithecus afarensis, stava identificando Lucy con un altro fossile di 1.000 miglia (1.609 km) dall'Afar (nel nord dell'Etiopia) e mezzo milione di anni più vecchio! Mary Leakey pensava che i due fossili non fossero affatto uguali e si rifiutò di avere qualsiasi parte nel collegare il suo esemplare con l’afarensis di Johanson. 
Mary Leakey ha annunciato di essersi risentita per l'appropriazione da parte di Johanson della sua scoperta, della sua reputazione e della data più antica per dare autorità a Lucy. Così iniziò l'amara e persistente faida tra Johanson e le Leakeys. "- R. Milner, Encyclopedia of Evolution (1990), p. 285.

Johanson stesso ammise infine che Lucy era solo una scimmia.

"Lo stesso Johanson in origine descrisse i fossili come Homo, una specie di uomo, ma poco dopo cambiò idea sulla base della valutazione del suo collega, Tim White. Ora descrivono le ossa come troppo simili a mascelle, denti e cranio per essere considerato Homo, ma sufficientemente distinto dagli altri, più tardi australopithecines per giustificare la propria specie. "- R. Milner, Encyclopedia of Evolution (1990), p. 285.

L’evoluzionista e paleontologo Albert Mehlert lo riassume così (2).

"Le prove rendono estremamente probabile che Lucy non fosse altro che una varietà di scimpanzè pigmeo, e camminava allo stesso modo (goffamente in posizione verticale in occasioni, ma per lo più quadrupede). La "prova", per la presunta trasformazione dalla scimmia all'uomo è estremamente poco convincente ". - AW Mehlert, nota stampa, Creation Research Society Quarterly, dicembre 1985, pag. 145.

Un altro “ominide”, che viene spesso indicato come il primo del genere homo è l’homo habilis. 
Negli anni '60, Louis Leakey trovò alcuni denti e frammenti di cranio a Olduvai. Li ha datati a 1,8 milioni di anni fa e ha deciso di farli appartenere alla famiglia umana, nominandoli così Homo. Ma vari esperti, tra cui Loring Brace hanno chiaramente dimostrato che l'habilis non era altro che un Australopithecus. Il fossile studiato da Tim White, dimostrò che questa specie aveva una capacità cranica piccola, nonchè braccia lunghe e gambe corte, che le consentivano di arrampicarsi sugli alberi proprio come fanno le scimmie odierne. 

I ritrovamenti dei cosidetti “homo erectus”.
Nel 1891, fu pubblicizzato il ritrovamento del cosidetto “uomo di Giava”, chiamato inizialmente pitecantropo erectus. I resti trovati furono catalogati da Eugene Dubois, un convinto evoluzionista. Abbandonata la scuola, iniziò a cercare fossili a Sumatra e in altre isole delle Indie orientali olandesi. Spedì migliaia di casse di ossa di animali normali in Olanda, e poi andò a Giava. Nel settembre del 1891 vicino al villaggio di Trinil in un luogo umido vicino al fiume Solo, Dubois trovò una calotta cranica. Un anno dopo, a sedici metri da dove aveva trovato la calotta cranica, trovò un femore. Più tardi trovò tre denti in un'altra posizione in quella zona. Dubois supponeva che: 
1-tutte queste ossa provenissero dallo stesso individuo. 
2-che fossero vecchie di un milione di anni. 
Eccitato, Dubois riportò la scoperta (i pezzi di osso) come "l’uomo di Giava", e trascorse il resto della sua vita a promuovere questa “grande scoperta”. L'osso femorale era un normale osso umano della parte superiore della gamba. Come prevedibile, molti esperti si sono chiesti se tutte le ossa provenissero dallo stesso individuo e, hanno detto che erano ossa umane, non ossa di scimmia. Ma Dubois trascorse gran parte del resto della sua vita a tenere conferenze e a raccontare alla gente delle ossa "metà uomo/metà scimmia" che aveva trovato a Giava nel 1891-1892. Lo chiamò Pithecanthropus erectus (uomo-scimmia eretto).
Nel 1907 fu inviata una spedizione tedesca da Berlino a Giava per risolvere la questione. Ma Dubois non mostrò  loro la sua "collezione di ossa", nè li aiutò  in alcun modo. Arrivati a Giava, studiarono a fondo il sito di Trinil, rimossero 10.000 metri cubi  di materiale e 43 scatole di ossa, e poi dichiararono che tutto era tempo perso. La loro principale scoperta fu che le ossa trovate da Dubois e identificate come “l’uomo di Giava”, erano state prelevate da una profondità proveniente da un vulcano vicino. Era traboccato nel recente passato e aveva emesso lava, che ha travolto e seppellito un numero di persone e animali.
Circa quindici anni prima della sua morte, e dopo che la maggior parte degli evoluzionisti si era convinta che la sua scoperta non fosse altro che ossa di un umano moderno.
Un altro dei ritrovamenti classificati come “homo erectus” è quello riconducibile al cosidetto “uomo di Pechino”. Peccato però che le ossa riferite a quest’uomo siano perse e ora vi siano solamente dei calchi.
L'uomo di Pechino è emerso sulla scena internazionale nel 1927. In quell’anno Davidson Black trovò un dente vicino a Pechino, in Cina. La Rockefeller Foundation si è fatta avanti e gli ha dato $ 80.000 per continuare la ricerca su questa scoperta. Quindi Black ha continuato a cercare e ha trovato un teschio, copia del quale è esposta oggi nei laboratori di biologia. Davidson Black lo chiamò “Sinanthropus pekinensis” ("uomo cinese di Pechino") e ricevette onori da tutto il mondo per la sua scoperta. Quindi Franz Weidenreich continuò gli studi fino a quando tutto si fermò  nel 1936, a causa dell'invasione giapponese della Cina.
Sebbene siano state trovate migliaia di ossa di animali in questa fossa vicino a Pechino, sono stati trovati solo pochi teschi umani e non c'erano prove che si fossero evolute da altri esseri. Queste ossa umane ammontavano a 14 teschi in condizioni variabili, 11 mascelle, 147 denti e un paio di piccoli frammenti di ossa e femori del braccio, insieme a strumenti di pietra e ceneri di carbone provenienti da incendi. I teschi ritrovati avevano una capacità cerebrale un po’ più piccola del normale (1.000 cc., che alcune persone hanno oggi), e con le sporgenze frontali prominenti che troviamo nei Neanderthal.
Vediamo questa citazione di Milner:
"Il cranio ominide di Pechino presentava sporgenze della fronte prominenti e una capacità cranica un po’ più piccola (circa 1.000 cc.), rispetto agli umani moderni (1.500 cc.)." - * R. Milner, Encyclopedia of Evolution (1990), p. 359.
Una capacità cranica di 1.000 cc. non dimostra che quell’essere sia stato una forma di transizione subumana; gli esseri umani oggi hanno una capacità cranica che varia tra 1.000 e 1600 cc., con un minimo occasionale di 750 cc. e una media di 1.500-1.600 cc.
Purtroppo, tutti i teschi di Pechino sono scomparsi durante la seconda guerra mondiale, quindi non possiamo ora esaminarli con metodi moderni per verificarne la genuinità.
Venti anni dopo, negli anni '50, l’evoluzionista Ernst Mayr inventò un nuovo nome, “homo erectus”, e poi inserì nella sua teoria una varietà di reperti ossei (uomo di Giava, uomo di Pechino e altri).
È bene tenere presente che tutto ciò che rimane di Pechino è un calco in gesso negli Stati Uniti. Ma i calchi in gesso non possono essere considerati prove affidabili.

Un altro dei cosidetti ritrovamenti di homo erectus è stato l’uomo della Rhodesia (Homo rhodesiensis). Esso è considerato un discendente dell’homo ergaster (una specie più adattata agli utensili, ma facente parte dell’homo erectus).
Nel 1921, il minatore svizzero Tom Zwiglaar trovò un cranio in una grotta della Rhodesia (Kabwe 1). (Nel Museo Mauer, in Germania, vi è comunque una ricostruzione di questo cranio, e ciò  prova che esso è stato trovato non integro). Poi furono ritrovati una mascella superiore di un altro individuo, un osso sacro, una tibia e due frammenti di femore.  Gli antropologi e gli artisti si misero al lavoro trasformandolo in una specie di creatura a metà scimmia / metà umana. La capacità cranica è stata stimata (3) in circa 1230 cc., un valore in linea con gli esseri umani moderni. 

Gli uomini di Neanderthal.
Nel 1856 dei lavoratori fecero saltare in aria una grotta nella valle del Neander vicino a Düsseldorf, in Germania. All'interno hanno trovato ossa di arti, bacini, costole e una calotta cranica. Le ossa sono state esaminate da scienziati ed evoluzionisti; e, per un certo numero di anni, tutti concordarono sul fatto che si trattava di normali esseri umani. Persino l’ardente evoluzionista e difensore di Darwin, Thomas H. Huxley, ha affermato quelle ossa appartenevano a umani e non dimostrerebbero nessuna evoluzione. Rudolph Virchow, un anatomista tedesco, disse che le ossa erano quelle di uomini moderni affetti da rachitismo e artrite. Nel 1886, due simili teschi furono trovati a Spia, in Belgio. All'inizio del 1900, alcuni esemplari simili furono trovati nella Francia meridionale. Oltre cento esemplari sono ora esposti in musei.
Un paleontologo francese di nome Marcellin Boule ha affermato che quei crani appartenevano a creature simili a quelle di una scimmia, ma è stato severamente criticato per questo anche da altri evoluzionisti che hanno affermato che questo fossile era solo un uomo moderno (Homo sapiens), deformato dall'artrite.
Un'analisi eccellente e dettagliata di come il rachitismo e l'artrite causarono le caratteristiche, peculiari di Neanderthal, fu scritta da Ivanhoe in un numero del 1970 della rivista scientifica Nature. L'articolo è intitolato "Virchow aveva ragione su Neanderthal?" 
Vediamo questo passaggiopubblicato in Science Digest sull’argomento: 

"L'uomo di Neanderthal potrebbe essere sembrato come lui, non perchè fosse strettamente imparentato con le grandi scimmie, ma perchè aveva il rachitismo, un articolo della pubblicazione britannica Nature suggerisce. La dieta dell'uomo di Neanderthal era decisamente carente di vitamina D." - "I Neanderthal avevano il rachitismo", in Science Digest, febbraio 1971, p. 35.

Le caratteristiche di Neanderthal includono delle sopracciglie più grandi (il toro sopra orbitale), ma è noto che l'artrite può renderli più prominenti. Virchow notò che il femore era curvo, una condizione comune al rachitismo. La mancanza di vitamina D provoca osteomalacia e rachitismo, producendo un lieve cambiamento del viso aumentando le dimensioni della cavità oculare (orbita), specialmente in verticale.
D.J.M. Wright, nel 1973, mostrò che la sifilide congenita avrebbe potuto anche causare il tipo di deformità ossee riscontrate nei campioni di Neanderthal.
I Neanderthal apparentemente vivevano in un’epoca in cui non c'era molta luce del sole. Sappiamo che l'era glaciale è il risultato dell'inquinamento da polveri vulcaniche in tutto il mondo. Il tempo atmosferico in Europa era abbastanza freddo da poter rimanere così tanto nelle loro caverne da non ottenere abbastanza luce solare, soprattutto a causa delle condizioni del cielo coperto. Alcuni studi genetici eseguiti nel 2008 su DNA fossile recuperato su alcuni resti di uomo di Neandertal, sembravano poter indicare che i Neanderthal fossero una specie diversa dagli Homo Sapiens (4). Però  recenti scoperte hanno dimostrato che i Neanderthal erano in tutto e per tutto degli umani e che le differenze somatiche sarebbero dovute a cause climatiche, morfologiche e di alimentazione.(5). 

I Neanderthal avevano anche una cultura, arte e religione ben sviluppate. Al momento, la maggior parte degli scienziati concorda sul fatto che i Neanderthal erano solo persone normali che vissero nelle caverne per un certo periodo. Sfortunatamente, stiamo ancora aspettando che questo cambiamento nel pensiero sia visibile nei libri di testo per bambini.

L’uomo di Cro-magnon. 
Nel 1868 fu scoperta una grotta a Les Eyzies, nella regione della Dordogna in Francia. Nel dialetto locale, cro-magnon significa "grande buco". Un certo numero di scheletri sono stati trovati in quel luogo e sono stati considerati a lungo come l’"anello mancante" tra scimmia e uomo.
I Cro-Magnon erano invece totalmente umani. Alcuni erano alti più di un metro e ottanta, con un volume cranico un po’ più grande di quello degli uomini di oggi. Ciò significa che avevano più cervello degli uomini di oggi. Non solo avevano alcuni artisti eccellenti tra loro, ma tenevano anche registri astronomici. I Cro-Magnon erano persone normali, non scimmie; e non forniscono alcuna prova di una transizione dalla scimmia all'uomo.

C’è poi il problema della datazione. La maggioranza di queste ossa vengono datate con il metodo del carbonio 14. Per maggiori informazioni su questo metodo potete leggere l’articolo (nota 6) che dimostra che i metodi di datazione usati nell’assioma evoluzionista sono errati.
Uno strumento di ricerca di recente sviluppo, lo spettrometro di massa, fornisce una datazione più accurata rispetto agli altri metodi di datazione.

A tale proposito leggiamo questa dichiarazione del creazionista Walter Brown:  

"Diversi laboratori nel mondo sono ora attrezzati per eseguire una procedura di datazione al radiocarbonio molto più accurata. Usando acceleratori atomici, gli atomi di carbonio-14 in un campione possono ora essere effettivamente contati. Ciò fornisce date del radiocarbonio più precise con campioni ancora più piccoli. Lo standard, ma meno accurata, la tecnica di datazione al radiocarbonio tenta solo di contare le rare disintegrazioni degli atomi di carbonio-14, che a volte sono confuse con altri tipi di disintegrazione. Questa nuova tecnica di acceleratore atomico ha costantemente rilevato almeno piccole quantità di carbonio-14 in ogni campione organico - anche i materiali che gli evoluzionisti affermano hanno milioni di anni, come il carbone. La quantità minima di carbonio-14 è così consistente che la contaminazione può probabilmente essere esclusa. Se gli esemplari avessero milioni di anni, non ci sarebbe praticamente nessun carbonio- 14 rimasto.
"Undici scheletri umani, i primi resti umani conosciuti nell'emisfero occidentale, sono stati recentemente datati da questa nuova tecnica dello spettrometro di massa. Tutti e undici sono stati datati a circa 5.000 anni o meno! Se vengono testati più antenati evolutivi dell'uomo dichiarati e si trova anche che contengono carbonio-14, si verificherà una grande rivoluzione scientifica e migliaia di libri di testo diventeranno obsoleti". - Walter T. Brown, In the Beginning (1989), p. 95.

Questa dichiarazione ci dice questo: 1- La costosissima macchina per spettrometro di massa conta effettivamente gli atomi C-14 e fornisce totali più accurati. 2- Ogni campione organico ha alcuni atomi di radiocarbonio, quindi nessuno ha più di qualche migliaio di anni. 3- I più antichi resti scheletrici nell'emisfero occidentale sono stati datati con questo metodo e si è scoperto che aveva solo circa 5.000 anni.

Il problema è che quando questi risultati vengono diffusi, si scontrano con l’assioma evoluzionista, che afferma che l’uomo ha circa 200.000 anni e deriva da ominidi vissuti in epoche più remote. Pertanto questi risultati vengono scartati a priori, perchè metterebbero in dubbio la teoria evoluzionistica degli esseri umani. Il problema pertanto è la forma mentale che ha dominato lo studio dei fossili da circa 150 anni fino ad oggi. 

Tutto ciò  dimostra che l’umanità non si è evoluta da ominidi, ma dimostra solo che sono state ritrovate parti di ossa, a volte di scimmie e a volte di esseri umani. 

Gli antropologi sostengono che l'uomo discese da un antenato sconosciuto e Darwin disse che era una scimmia. Se discendiamo da una scimmia, perchè abbiamo un numero diverso di vertebre nelle ossa posteriori rispetto alle scimmie? Perchè la nostra capacità cranica è totalmente diversa? E, soprattutto, perchè il nostro DNA è nettamente diverso da quello delle scimmie, e da tutte le specie di fauna selvatica? (7)

Gli evluzionisti dicono di aver trovato le ossa dei nostri antenati ominidi. Ma non è stato trovato nessuno scheletro completo. Solo resti di crani e qualche frammento di femori. Invece dovrebbero esserci milioni di ossa, se i nostri antenati avessero vissuto per centinaia di migliaia di anni prima di noi. 
La conclusione è che tutti quei resti di ossa sono solo ossa di scimmia o ossa umane, e nessuna di quelle ossa indica con chiarezza una forma di transizione dalla quale si siano potuti evolvere gli esseri umani. 

Yuri Leveratto

Note: 
1-https://scholar.google.com/citations?user=nH_xoD8AAAAJ&hl=en
2-Mehlert : Evolution: Beyond the Realm of Real Science
3-Rightmire, G. Philip. The Evolution of Homo erectus: Comparative Anatomical Studies of an Extinct Human Species Cambridge University Press, 1993. ISBN 0-521-44998-7, ISBN 978-0-521-44998-4.
4-Roxanne Khamsi, Neanderthal DNA illuminates split with humans, su newscientist.com, 11 ottobre 2006.
5-Michael Shermer, Our Neandertal Brethren: Why They Were Not a Separate Species, su scientificamerican.com, 
6-https://yurileveratto2.blogspot.com/2015/08/i-metodi-di-datazione-inaccurati-usati.html
7-https://answersingenesis.org/genetics/dna-similarities/differences-between-chimp-and-human-dna-recalculated/

Bibliografia:
L’articolo è tratto in larga parte dal libro "Evolution Handbook", di Vance Ferrel. (Cap. 13).

Immagine: 
Resti di ossa trovati a Giava nel 1891, (attribuiti al Pithecanthropus erectus) dai quali poi si è creata la teoria dell'homo erectus.

domenica 30 agosto 2015

La selezione naturale e le mutazioni genetiche possono causare il formarsi di nuove specie?



Secondo la teoria dell’evoluzione, la selezione naturale e le mutazioni genetiche sommate al tempo hanno prodotto le differenti specie, che hanno vissuto o vivono nel pianeta. In pratica la teoria evoluzionista propone che ogni essere vivente, si sia “evoluto” da altre creature, che inizialmente deriverebbero da elementi inerti: atomi di idrogeno, ossigeno, azoto e carbonio. In questo articolo mi propongo di analizzare da un punto di vista logico se sia possibile che la selezione naturale e le mutazioni genetiche abbiano potuto creare “nuove specie”. Alla base della teoria  della selezione naturale vi sono i concetti di variazione e casualità. Ogni volta che un essere vivente si riproduce vi sono delle variazioni nel nuovo nato. Sono variazioni casuali. Secondo la teoria dell’evoluzione le variazioni possono risultare determinanti e quindi “vincenti”. Se risultano in una migliore adattabilità all’ambiente portano a più riproduzioni e quindi al perpetuarsi della specie. Innanzitutto vediamo che dal punto di vista semantico la parola “selezione” presuppone un intervento intelligente. Se vi è una selezione significa che qualcuno ha selezionato. Ma secondo la teoria dell’evoluzione le variazioni (non mi riferisco qui alle mutazioni) sono casuali. Se le variazioni sono basate sul caso non vi è “selezione”. Il concetto di selezione implica un eventuale progettista. Pertanto le parole più adeguate per esprimere il concetto di selezione naturale dovrebbero essere “variazioni casuali”.
Vediamo uno dei classici esempi che ancora oggi vengono portati come esempi della selezione naturale, il caso della falena biston betularia. Prima del 1850 il 98% delle falene in Inghilterra aveva un colore grigio con macchie chiare, che consentiva di mimetizzarsi con i licheni di colore chiaro presenti nella corteccia degli alberi. I gas tossici prodotti dalle fabbriche causarono la morte dei licheni e lo smog scurì le cortecce degli alberi cosicchè le falene con colorazione chiara furono facile bersaglio per uccelli predatori. Le poche falene con le ali scure invece sopravvissero in quanto si potevano mimetizzare bene nelle cortecce degli alberi che erano diventate scure. In pochi anni il fenotipo scuro diventò prevalerte. Questa però non può essere portata come prova Della teoria dell’evoluzione. Vediamo perchè. Il fatto che si siano riprodotte in seguito tantissime falene scure non è una prova che le falene si “siano evolute”. Dal punto di vista Della variazione genetica vi era la posibilita che il 50% delle falene fosse chiaro e il 50% fosse scuro. Però prima del 1850 la maggioranza (il 98%) erano chiare. Perchè? Siccome i licheni che si sviluppavano sulle cortecce degli alberi erano chiari, il 50% di falene scure fu predato fácilmente da uccelli e pertanto il numero di falene scure fu ridotto al 2%. Quando vi fu la rivoluzione industriale le falene chiare non furono più in grado di mimetizzarsi e morirono rapidamente uccise da uccelli predatori. Pertanto a partire dal 1850 le falene scure si svilupparono e poterono accrescere il loro numero. Ciò non significa che le falene chiare cessarono di naceré. Tutto ciò pertanto non ha causato “l’evoluzione della specie”, ma ha dimostrato solo l’aumento Della percentuale delle falene scure rispetto a quelle bianche. Entrambe, comunque sono rimaste falene. Non c’è stato un cambiamento di specie.
All’inizio del secolo XX vari evoluzionisti si sono resi conto che la selezione naturale da sola non può produrre nuove specie. Produce gruppi di individui più adattati di altri all’ambiente, ma non nuove specie. E’ sorto così il neo-darwinismo. In pratica esso aggiunge le mutazioni alla selezione naturale. In pratica siccome la selezione naturale non è in grado di spiegare il cambio di specie o meglio “l’evoluzione della specie” si pensa che esso sia avvenuto attraverso le mutazioni genetiche.
I cambi mutazionali sono però eventi rari ed in ogni caso producono una perdita del patrimonio genetico e quindi l’individuo risulta essere più debole e non più forte o meglio adattato. Gli organismi risultano pertanto peggiorati da eventuali cambi mutazionali. Pertanto la frase “sopravvivenza del più adatto”, perde significato. L’individuo che ha subito il cambio mutazionale è più debole quindi può morire più facilmente. 
Un altro “assioma evoluzionista” è che il “cambio di specie” sarebbe un processo irreversibile. Ossia se la cellula si è evoluta nell’essere pluricellulare, l’essere pluricellulare non potrà mai involversi nella cellula. Anche qui si nota un assioma fideistico, in quanto alla base della teoria dell’evoluzione vi è il concetto filosofico del miglioramento e della maggiore specializzazione. E’ lo stesso Darwin che ha ammesso che la selezione naturale non produce nuove specie (1):

"Quando entriamo nei dettagli non possiamo provare che una sola specie è cambiata, inoltre non possiamo provare che i supposti cambi diano dei benefici, che starebbe alla base della teoria. Non possiamo neppure spiegare perchè alcune specie sarebbero càmbiate in altre e altre no".

In effetti sono proprio gli scienziati genetici che ci informano che le variazioni avvengono all’interno delle specie, ma non causano un cambiamento di specie o “nuova specie”. L’iper-complesso DNA, (460 miliardi di doppie eliche di DNA per ogni cellula) funge da barriera. Per questo non c’è evidenza che nessuna specie si sia generata per mezzo dall’evoluzione di altre specie. C’è un altro punto da considerare: i miliardi di doppie eliche presenti in ogni cellula dovrebbero formarsi perfetti in modo da dare le istruzioni giuste all’organismo per quanto riguarda le funzioni vitali e la riproduzione. La necessità della perfezione del codice genetico è chiamata sintropia, ed è un’altra barriera alla teoria dell’evoluzione.
Oltre a questo vi è il concetto del “programma inteligente”. Il DNA è ciò che controlla la cellula, e senza DNA la cellula non potrebbe vivere. Credere che per casualità si sia formato il DNA, che sta alla base delle funzioni vitali della cellula, è come credere che il caso abbia creato il programma inteligente.  
Alcuni scienziati come C.H Waddington hanno addirittura asserito che la selezione naturale agisce esattamente nel modo opposto a quello proposto dagli evoluzionisti. Vediamo una sua dichiarazione (2):

"Se selezioniamo i geni con certe caratteristiche produciamo una sotto-popolazione che differisce dall’originale per il fatto che si caratterizza per certe qualità alle quali siamo interessati (maggiore produzione di uova, per esempio); ma in questo caso la sotto-popolazione dimostra di essere più debole, meno adatta all’ambiente selvaggio e quindi sarà eliminata proprio dalla selezione naturale".

Abbiamo visto pertanto che le variazioni casuali ossia le ricombinazioni genetiche, le variazioni ereditarie e gli incroci non causano “nuove specie”. La selezione naturale, pertanto, o meglio le variazioni casuali non producono evoluzione o formazione di nuove specie.
A questo punto è lecito domandarsi: se le variazioni casuali non producono nuove specie, forse le mutazioni genetiche producono nuove specie?
Una mutazione è un danno subito da un gene (singola unità di DNA). Se un gene somatico riceve una mutazione vi è soltanto un danno o menomazione. Se riceve la mutazione un gene gametico, allora passerà ai discendenti. Le mutazioni (casusate principalmente da radiazioni, raggi ultravioletti, sostanze chimiche) generalmente producono uno di questi tre possibili cambi tra i geni o tra i cromosomi:

1-alterazione della sequenza dei geni del DNA
2-cambi nei cromosomi: inversione o translocazione.
3-cambio nel numero dei cromosomi (poliploidi – aploidi)

Secondo gli evoluzionisti affinchè le mutazioni provochino cambi positivi è necesario che: 1- esse accadano frequentemente; 2- che siano benefiche; 3 devono causare un cambio drammatico (includendo migliaia di cambi diretti e con un proposito), in modo da trasformare una specie in un altra.

Però ci sono 4 problemi principali con questi assiomi:

1- le mutazioni sono eventi rari (per cui non sono affatto frequenti). E’ pertanto impossibile che eventi rari abbiano prodotto tutte le necessarie caratteristiche di una sola nuova forma di vita; figuriamoci quindi se le nuove forme di vita sono centinaia di migliaia.

2-Le mutazioni sono sempre casuali, pertanto non implicano mai cambi diretti con un proposito specifico.

Per esempio Murray Eden dichiara che la casualità delle mutazioni fa venire meno la loro supposta utilità come causa dell’evoluzione (3):

"Il postulato della casualità è largamente improbabile, inoltre una corretta teoria scientifica dell’evoluzione dovrebbe aspettare la scoperta e la chiarificazione di nuove leggi".
Tutto ciò prova che le mutazioni sono eventi rari, non controllabili, completamente inaspettati. L’unica cosa che si può affermare è che non producono “cambiamento di specie” o il “formarsi di nuove specie”, il che richiederebbe cambi diretti con un proposito specifico.

3-L’evoluzione richiederebbe dei cambi genetici con un proposito specifico e tesi ad un miglioramento o maggiore specializzazione. Ma le mutazioni non “aiutano” ne “migliorano”, solamente indeboliscono o causano danni.

A tale proposito vediamo una citazione di H. J. Muller (4):

"La grande maggioranza delle mutazioni, certamente più del 99%, sono in qualche modo dannose, come normalmente sono gli effetti di evento occasionali".

4-Quasi tutte le mutazioni sono dannose. Esse indeboliscono o danneggiano irrimediabilmente l’organismo, e nella maggioranza dei casi ne compromettono la vita stessa.

Uno dei sostenitori più accaniti del neo-darwinismo è stato Julian Huxley (5), ma persino lui ha riconosciuto che le mutazioni difficilmente possono favorire il formarsi di nuove specie (6):

"Le mutazioni favorevoli sono una su mille o anche meno, giacchè tantissime mutazioni sono letali, impedendo all’organismo di vivere, mentre un’altra gran parte di ese danneggia l’organismo".

Da tutto ciò si evince che le mutazioni sono rare, casuali, senza un proposito specifico. Indeboliscono sempre o danneggiano l’organismo e spesso ne causano la morte.
A questo punto qualcuno potrebbe chiedere: Come possiamo essere certi di ciò se le mutazioni sono eventi rari?
Sebbene le mutazioni avvengono con estrema rarità in natura, nei laboratori gli scienziati producono mutazioni, utilizando le radiazioni o alcune sostanze chimiche. Una certa quantità di radiazioni applicata ai geni delle cellule di un organismo produce mutazioni nella cellula riprodotta. Però abbiamo appena rimarcato che le mutazioni sono: 1-eventi rari; 2-sempre casuali e non hanno un proposito specifico; 3-non sono mai realmente benefiche; 4-sono spesso dannose o letali.

Ora però, entrando nello specifico, analizziamo 28 ragioni per le quali è impossibile (o estremamente improbabile), che le mutazioni producano “l’evoluzione della specie”.

1-Su centinaia di migliaia di esperimenti che sono stati fatti per provare che le mutazioni producono evoluzione, non uno ha generato una mutazione benefica che sia passata alla generazione seguente. (la maggioranza degli esperimenti sono stati fatti sui moscerini della frutta).

2-Gli organismi che non vengono uccisi subito dalle mutazioni causate da eventi esterni (radiazioni) vengono indeboliti e la loro progenie tende ad essere debole e morire. Le mutazioni pertanto causano l’opposto dell’evoluzione, ossia con molte mutazioni (causate da fortissime radiazioni), la vita si estinguerebbe dal pianeta.  

3-Dal secondo punto ne consegue che è proprio la “selezione naturale” che agisce, eliminando gli organismi mutati. Essi sono deboli, e se si riproducono, nasceranno dei discendenti deboli.

4-I fattori mutageni. Gli scienziati sanno bene che le radiazioni e alcune sostanze chimiche sono dannosi alle persone, animali e piante. Infatti per le zone sottoposte a radiazioni (come Chernobyl) è proibito l’accesso. Se invece fosse chiaro che le radiazioni causano mutazioni genetiche positive e benefice, tutti si sottoporrebbero a terapie di raggi X. Ma così non è!

5-Le mutazioni sono come incidenti d’auto. E’ possibile che un incidente d’auto sia benefico? Proprio per il fatto che le mutazioni sono casuali e producono effetti negativi, esse distruggerebbero la vita sulla terra, invece di causare l’evoluzione della specie.

6-Ultimamente alcuni scienziati hanno scoperto che ogni gene è responsabile di varie caratteristiche fisiche. E’ un sistema delicatissimo, che se viene alterato da una radiazione, può “andare in tilt”. Il risultato? Nella stragrande maggioranza dei casi si ottiene una malformazione, e in altri casi, la morte. Nessuna evoluzione.

7-Ma anche ammettendo per assurdo che le mutazioni siano benefiche (nel senso che producano tutto d’un colpo organi utili), esse, rimanendo assolutamente casuali (la casualità è la base della teoria dell’evoluzione), continuerebbero ad essere inutili. Per esempio: Il formarsi di ali non servirebbe a nulla se esse “apparissero” nello stomaco di una lucertola. Essa non potrebbe mai volare. Sia per il suo peso, ma soprattutto perchè le ali in quella posizione non potrebbero espletare la funzione di sollevare e mantenere in aria il corpo del rettile. In questo caso l’animale risulterebbe appesantito di un inutile fardello e sarebbe pertanto preda facile di altri animali. In pratica l’effetto casuale delle mutazioni (anche se produrrebbero organi interi e utili) annullerebbe il vantaggio delle stesse. Per essere veramente benefiche dovrebbero essere mirate, ossia, dovrebbero avere un fine, un proposito specifico. Ma in questo caso già non si potrebbe parlare di evoluzione, ma bensì si inizierebbe a parlare di “disegno intelligente”.

8-Le mutazioni tendono ad avere un effetto ampio nei geni. Siccome sono casuali non possono avere un effetto specifico su un singolo organo. Una nuova caratteristica, (per esempio le ali), richiede l’effetto combinato di molti geni. E’ ovvio quindi che per il formarsi di una nuova caratteristica devono mutare molti geni in modo sincronizzato e tutti in modo benefico, ovviamente. Ma quasi nessuna mutazione è benefica. Di solito gli esperimenti sono stati fatti sui moscerini della frutta. Questi esperimenti sono durati a volte decine di anni. Migliaia e migliaia di generazioni di moscerini della frutta sono stati irradiati con radiazioni nella speranza di generare mutazioni benefiche, ma si sono osservati solo danni e morte prematura. Vediamo a tale proposito una citazione dello scienziato evoluzionista (non creazionista) Theodosius Dobzhansky: (7)

"Il processo di mutazione è l’unica fonte della variabilità genetica e quindi dell’evoluzione…i mutanti che si originano dimostrano però, con rare eccezioni, una involuzione, ossia un peggior adattamento all’ambiente circostante".

9-Riportiamo ora una frase di H.J. Muller (8), (premio nobel nel 1946):

"Vari test hanno dimostrato, in línea con la natura accidentale delle mutazioni, che le stesse causano l’indebolimento dell’organismo, esattamente come dei cambi accidentali a qualsiasi mecanismo artificiale sono predominantemente dannosi. Le mutazioni benefiche sono così rare che possiamo considerle tutte dannose".

10-Le mutazioni sono eventi talmente rari che si è calcolato che di solito avviene una mutazione ogni 10 milioni di duplicazioni delle molecole di DNA. Affinchè il processo di mutazione inizi, dovremmo avere una serie di mutazioni benefiche intercorrelate. Ma per ottenere due mutazioni che sarebbero in alcun modo relazionate l’una all’altra bisogna che alla probabilità di ottenerne una si aggiunga la probabilità di ottenere anche l’altra. Quindi 10 milioni x 10 milioni = 1 probabilità su 100 trilioni. Ma solo due mutazioni benefiche non sono sufficienti a formare organi complessi. La probabilità che si verifichino tre mutazioni benefiche contemporaneamente è di 1 su un miliardo di trilioni (1 con 21 zeri). Ma anche in questo caso “sole tre” mutazioni, non potrebbero formare nessun nuovo organo. Per trasformare realmente una specie in un altra ci vorrebbero migliaia di mutazioni armoniche e benefiche! Ma nella realtà il 99% delle mutazioni sono dannose e alcune sono persino letali. Ovviamente la nuova specie dovrebbe formarsi sia maschio che femmina sennò non potrebbe riprodursi. La conclusione del punto 10 è che l’evoluzione non può accadere senza mutazioni, ma essa non può accadere con le mutazioni!

11- In ogni caso arriverà sempre qualche evoluzionista che vi dirà: “Bene, ma col tempo questo può succedere, la terra ha 5 miliardi di anni ed essi sono sufficienti per aver causato l’evoluzione delle specie”.
L’evoluzione richiederebbe milioni di mutazioni benefiche che si verifichino in armonía tra di loro per produrre delicati organi, come occhi, ecc. E tutte queste mutazioni dovrebbero avere uno scopo specifico! Ma ciò è opposto alla teoria dell’evoluzione che sostiene che le mutazioni sarebbero casuali. Vediamo a tale proposito una citazione di Dobzhansky: (Genetica e origine delle specie, 1959):

"La maggioranza delle mutazioni, sia quelle provocate nei laboratori che quelle che si verificano naturalmente producono un deterioramento della salute (dell’animale), malattie ereditarie e addirittura mostruosità. Detti cambi sembra che difficilmente possano essere alla base dell’evoluzione".

12- In realtà la rarità delle mutazioni genetiche garantisce la stabilità dei geni. Vediamo a tale proposito una citazione di E. Kellenberger:

"Gli esseri viventi sono enormemente diversi nella loro forma, ma la forma di ciascuno di essi è constante tra i discendenti: i maiali restano maiali e le querce restano querce generazione dopo generazione".

(E. Kellenberger, The genetic control of the shape of a virus, in Scientific America. Dicembre 1966, pag. 32.)

13-Vediamo la frase di un ricercatore genético australiano Michael Denton:

"Se complessi programmi di computer non possono essere cambiati da meccanicismi casuali, lo stesso deve essere applicato ai programmi genetici degli organismi vivi".

Michael Denton: Evoluzione: una teoria in crisi, (1985),  pag 342.

14- Sintropia. Il premio nobel Albert Szent-Gyorgyi ha sviluppato nel 1977 una teoria che è chiamata sintropia. Secondo Szent-Gyorgyi sarebbe impossibile per qualsiasi organismo vivente sopravvivere anche un solo istante, a meno che non sia completo con tutti i suoi organi e che ognuno di essi sia perfettamente funzionante. Questo principio esclude la possibilità che l’evoluzione sia avvenuta come risultato di eventi accidentali come la selezione naturale e le mutazioni. Vediamo a tale proposito una frase di Jerry Bergman, tratta dal libro “la teoria della sintropia di Szent-Gyorgyi”:

"Con la teoria della sintropia Szent-Gyorgyi, forse non intenzionalmente, mostra uno dei più forti argomenti per i creazionisti, ossia il fatto che un órgano è inutile a meno che non sia perfetto. L’ipotesi della “sopravvivenza del più adatto”, selezionerebbe contro ogni mutazione, prima che un largo numero di mutazioni, si sia verificato in modo da produrre un órgano complesso e perfettamente funzionale".

15-I cambi mutazionali minori danneggiano la discendenza.

1-La maggioranza delle mutazioni hanno pochi effetti. Alcune hanno effetti più ampli.
2-Le piccoli mutazioni non possono servire per portare a termine un cambio evolutivo, ossia un cambio di specie.
3-Però il problema è che mentre le piccole mutazioni vengono passate alla discendenza, le grandi mutazioni danneggiano irrimediabilmente l’organismo, se non ne provocano la morte.

A tale proposito leggiamo questa citazione:

“Si potrebbe pensare che agenti mutanti che causano piccolo cambi non siano importanti, ma ciò non è vero per la seguente ragione: una mutazione è di solito dannosa e causa morte prematura o senilità. Pertanto il gene mutante è eliminato dalla selezione naturale. Siccome le mutazioni minori possono fare danni nel lungo periodo come le maggiori e possono accadere più frequentemente, ne consegue che la maggioranza del cambio mutazionale in una popolazione è causato dall’accumulazione di cambi minori.”.

J. F. Crow (effetti genetici delle radiazioni (Bullettin of atomic scientist 1958, pag. 20).

16- Nessuna grande mutazione che coincida su vari fattori organici può portare un organismo ad attraversare la barriera della specie. Per produrre una nuova specie ci vorrebbero centinaia di mutazioni tutte positive e tutte armonicamente correlate. Ma c’è di più: la formazione di una nuova specie (ovviamente servirebbe il maschio e la femmina), dovrebbe attuarsi di colpo in una generazione. Vediamo a tale proposito questa citazione:

"la teoria di Darwin non spiega in modo soddisfacente l’origine e la ereditarietà delle variazioni. La teoria di deVries (grandi mutazioni) si è dimostrata debole perchè non una sola mutazione o gruppi di mutazioni è stata così grande da poter formare una nuova specie in una generazione o nella sua discendenza."

(Mark A. Hall and Milton S Lesser, Rewiew Texts in Biology 1966, p.363).

17- Un altro problema è che se da un lato le mutazioni sono dannose e letali, dall’altro lato alcune piccole mutazioni attuano piccoli cambi che però non sono sufficienti a innescare il cambio evolutivo o cambio di specie. Vediamo a tale proposito questa citazione:

"Le mutazioni che conosciamo e che riteniamo responsabili della creazione delle nueve specie, sono, in generale, deficenze, privazioni organiche (mancanza di pigmentazione, perdita di appendici, o la duplicazione di organi pre-esistenti. In ogni caso non producono mai niente di realmente nuovo o originale nello schema organico. Niente che possa fondare le basi per nuovi organi o l’inizio di nuove funzioni".

(Jean Rostand, The Orion book of evolution, 1961, p.73.)

18-I caratteri dei geni sono interconnessi uno con l’altro. Proprio per questo motivo tutti i caratteri dovrebbero trovarsi tutti insieme, istantaneamente, in modo che una nuova specie si formi. Vediamo a tale proposito la seguente citazione;

“Ogni mutazione che avvenga “sola” ossia senza che altre mutazioni avvengano in modo armonico con la prima, sarebbe eliminata dalla selezione naturale prima che possa combinarsi con altre. La dottrina che le mutazioni avvengano “tutte insieme” e che siano dovute a una serie di coincidenze casuali è un affronto non solo al senso comune, ma ai principi basici della spiegazione scientifica”.
A. Koestler – The Ghost in the machine, 1975, p.129.

19-Vi sono troppi fattori associati ad ogni carattere per ogni singola mutazione. Le probabilità che vi sia un cambio di specie mutazionali sono infinitesime. Vediamo a tale propósito questa citazione:

“Ogni molecola di DNA ha migliaia o milioni di nucleotidi (dipende da quale DNA). Perchè una singola elica di Dna sia il risultato di una mutazione casuale vi è una probabilità su 480 x 10 alla 50. Un batterio unicellulare ha 3 milioni di nucleotidi allineati in una sequenza specifica. Ciò significa che non vi è probabilità matematica per nessuna specie di essere il prodotto del caso”

L.L. Cohen, Darwin was wrong.

20-I supposti cambi mutazionali all’interno della cellula riproduttiva avvengono con meno frequenza che nelle altre cellule del corpo. Ma solo dei cambi mutazionali nelle cellule riproduttive maschili e femminili possono incidere nelle generazioni future.

“Il numero di mutazioni delle cellule somatiche è molto più alto di quello delle mutazioni dlle cellule gametiche.” 

Biological Mechanism underlyng the aging process, in Science 8/1963, p.694.

21- L’evoluzione richiede una complessità crescente. Secondo uno degli assiomi evoluzionisti, le specie si evolverebbero verso una maggiore specializzazione e verso una maggiore completezza e intelligenza. Gli evoluzionisti infatti non ammettono che ci possa essere una evoluzione al contrario, o involuzione. Ma in realtà le mutazioni indeboliscono, causano malattie. Alcune uccidono. Nessuna permette un cambio evolutivo.

22- L’evoluzione richiede nuova informazione. Affinchè un nuovo organismo si formi attraverso un cambio evolutivo dovrebbe prodursi nuova informazione, ma le mutazioni casuali non potrebbero mai produrre una nuova e strutturata informazione.

23- L’evoluzione richiede nuovi organi. Affinchè si producano nuove specie le mutazioni non dovrebbero produrre solo cambi genetici, dovrebbero produrre nuovi organi! Per produrre nuovi organi ci vorrebbero milioni di fattori mutazionali ognuno di essi correlato agli altri armonicamente. Ma le mutazioni, quando si verificano sono generalmente dannose.

24-Nel corpo degli esseri viventi vi sono migliaia di funzioni interconnesse. Una mutazione, anche se non fosse dannosa (rarissima situazione) danneggerebbe comunque la rete di interconnessione tra gli organi. Questa è la ragione che le mutazioni sono sempre dannose. Per esempio; i reni sono interconnessi con il sistema circolatorio in quanto purificano il sangue. Ma sono interconnessi anche con il sistema nervoso, endocrino e digestivo. Se ci fosse una mutazione che cambiasse il sistema renale, tutto l’organismo ne potrebbe risentire.

25-Le mutazioni visibili ed invisibili. Vi sono alcune mutazioni visibili come l’albinismo, il nanismo, l’emofilia. Ma per ogni mutazione visibile ce ne sono venti letali che non sono fácilmente visibili. E ancora più frequenti sono le mutazioni che non uccidono, ma indeboliscono e danneggiano.

26-Non si è mai verificato il caso che la prole mutata abbia più forza del suo progenitore non mutato. Vediamo questa citazione al riguardo:

“Non esiste un solo caso dove si può osservare che alcuni dei mutanti studiati abbia una vitalità superiore ai progenitori. E’ pertanto assolutamente impossibile accettare che la teoria dell’evoluzione possa basarsi sulle mutazioni”.

Herbert Nilson Synthetic speciation, 1953, pag. 1157.

27-Le mutazioni non producono quindi cambi di specie:

“Non importa quanto possono essre numerose le mutazioni. Esse non producono alcuna evoluzione”.
Pierre Paul Grasse Evolution of Living Organism, 1977, pag. 88

28-L’unicità dei geni impedisce il cambio di specie. Proprio il fatto che ogni specie è così differente l’una dall’altra, impedisce che vi sia la possibilità che mutazioni casuali possano causare il formarsi di nuove specie. La barriera del codice genetico è insormontabile.

Per concludere riassumiamo i quattro pilastri sui quali si basa la teoria dell’evoluzione (neo-darwinismo), e commentiamoli:

1-si basa su eventi assolutamente casuali. Se gli eventi non fossero casuali, ma guidati, avremmo una mente che li guida e cadremmo nel disegno intelligente.

2-si basa su eventi che non avrebbero alcun proposito o fine specifico. Il meccanismo basato su selezione naturale e mutazioni non avrebbe alcun fine specifico, sennò, in caso contrario si individuerebbe una mente che guida il processo e si cadrebbe nel disegno intelligente.

Il sistema proposto dai neo-darwinisti si basa pertanto su due meccanismi (selezione naturale e mutazioni) e due modalità: eventi senza fine specifico e totalmente casuali.

Vi sono altre due sub-ipotesi degli evoluzionisti, che però si dimostrano contrarie alle prime due ipotesi:

3-L’evoluzione opera sempre verso una maggiore complessità, ossia sempre verso una maggiore specializzazione, e maggiore intelligenza. E’ un assioma contrario alle due ipotesi iniziali in quanto se vi fosse una totale casualità si potrebbe avere anche una evoluzione al contrario, ossia una involuzione.

4-L’evoluzione opera irreversibilmente. Gli evoluzionisti affermano che l’evoluzione può andaré solo in una direzione.

Vedamo a tale proposito una frase di Dobzhansky:

“I fatti dell’evoluzione, della paleontología e della paleobiologia sono unici, irripetibili e irreversibili”.

T. Dobzhansky, “I metodi della evoluzione biológica e antropológica”, in American Scientist 45, 1957, p.388.

Pertanto un rettile può divenatare un uccello, ma un uccello non può diventare un rettile. Naturalmente nessuno da una spiegazione al riguardo. Se l’evoluzione procede per casualità e senza un fine specifico, perchè mai un uccello, non potrebbe evolversi in un rettile?
Infatti se ammettiano che vi siano mutazioni casuali dovremmo attenere cambi mutazionali non solo verso una maggiore complessità, ma anche verso una minore complessità, e anche un evoluzione al rovescio, ossia un ritorno alla specie precedente.
Qualsiasi matematico che si occupa di statistica confermerà che la casualità non potrebbe mai produrre risultati sempre più complessi. Anzi la casualità non produce mai sistemi complessi e ordinati.
Per concludere analizziamo una frase di Colin Patterson, un famoso evoluzionista, che concorda con Karl Popper (un filosofo evolucionista), sul fatto che l’evoluzione è un concetto metafísico:

“Al momento siamo fermi alla teoria neo-darwinista: l’evoluzione è successa ed è stata diretta principlamente dalla selezione naturale, con contributi casuali di deriva genética, e forse alcuni drastici cambi genetici occasionali. In questa forma, la teoria non è scientifica secondo gli standard di Popper. Infatti Popper sostiene che la teoria dell’evoluzione non sia scientifica ma sia un programa di ricerca metafisico”.
Colin Patterson, Evoluzione (1978), p.149.

Abbiamo visto pertanto che le due modalità sulle quali si basa la “teoria dell’evoluzione”, o “neo-darwinismo”, ossia la selezione naturale e le mutazioni, non producono, o “cambio di specie” o “cambio evolutivo”. Ed inoltre abbiamo visto che queste due modalità sono fondate a loro volta su due altri assiomi evoluzionisti: il caso e la la mancanza totale di fine specifico.

Ma questi due assiomi sono contrari al dogma basato sul fatto che l’evoluzione tenderebbe ad una maggiore complessità e sia irreversibile. Se tende ad una maggiore complessità ed è irreversibile, il processo non è più casuale.

Yuri Leveratto
Copiright@ 2016

Bibliografia: Evolution handbook, Vance Ferrell

Note: 
1-Frances Darwin, The life and letters of Charles Darwin (NY Appleton & Co, 1898 Vol.11 pag 210 (Darwin’s letter to G. Benham, may 22, 1863)
2-C.H. Waddington, La resistenza al cambio evolutivo, in Nature, 175 (1955), pag.51.
3-Murray Eden (dottore in chimica) – Inadeguatezza dell’evoluzione neo-darwinista come teoria scientifica; tratto da sfide matematiche alla teoria dell’evoluzione neo-darwinista.
4-H.J. Muller fu un biólogo e genetista statunitense. La citazione è trata da H.J. Muller “Radiation Damage to the genetic material”in American Scientist, gennaio 1950, pag. 35.
5-Julian Huxley fu un biologo, genetista e scrittore.
6-Julian Huxley, Evolution in Action, pag. 41
7-On the methods of evolutionary biology and antropology American scientist, 1957 pag.385.
8-H.J. Muller – How radiation chages the genetic constitution, Bulletin of atomic scientist, 11, (1955), p.331

giovedì 27 agosto 2015

Critiche alla teoria della generazione spontanea


Nell’articolo “Evoluzionismo contro creazionismo” (1) ho evidenziato che la teoria dell’evoluzione, non essendo dimostrata, risulta essere una “forma di fede”. E’ per fede che si crede che la materia sorse dal nulla in seguito a una esplosione immane (big bang). Ed è per fede che si crede che la vita si sia originata dalla materia inerte. Ma questa ipotesi è contraria alla legge della biogenesi di Pasteur che sostiene che la vita può nascere solo dalla vita, e mai dalla materia inerte. 
Nell’esperimento di Miller-Urey sono state prodotte (quindi non casualmente, ma sotto la guida della mente umana), alcuni aminoacidi, ma non proteine. Comunque sia gli aminoacidi e le proteine sono materia inerte, in quanto è la cellula la prima è la più piccola forma di vita. Gli evoluzionisti sostengono che il passaggio da aminoacidi alla cellula sia avvenuto in condizioni particolari, ma non sono stati capaci di provare che ciò sia avvenuto, ossia non sono stati capaci di “causare” la formazione ne di proteine e ne tantomeno di una cellula. Inoltre gli evoluzionisti sostengono “per fede” che la generazione spontanea sia avvenuta solo una volta, miliardi di anni fa. 
Di solito l’argomento “principe” degli evoluzionisti è il tempo. Essi dicono che da quando la terra si è formata, sono passati talmente tanti milioni di anni, che “hanno permesso” che prima o poi si verificasse la generazione spontanea. 
Sembrerebbe pertanto che il tempo possa creare l’evoluzione. In altre parole, più tempo vi è a disposizione e più possibilità vi sarebbero per far si che la generazione spontanea si verifichi. Il tempo pertanto assume quasi una caratteristica divina nella mente dell’evoluzionista. Ma cosa è il tempo? Se ci soffermiamo a pensare notiamo che esso è solo il presente. Il passato già non esiste più, e il futuro non esiste ancora. 
Ricordiamo che se la probabilità che accada un certo evento è 1/100, anche se ripetiamo la prova varie volte, la possibilità rimarrà sempre 1/100. E ciò accade in quanto la probabilità non ha memoria. Non è che ripetendo le prove la probabilità aumenti. 
Per quanto riguarda la generazione spontanea il ragionamento è simile, ma con qualche variante. La generazione spontanea non è mai stata osservata in natura. Nessuno ha dimostrato che l’unione di atomi di carbonio, idrogeno ossigeno e azoto e scariche elettriche possano produrre proteine. Gli scienziati evoluzionisti sostengono che in particolari condizioni climatiche la generazione spontanea potrebbe essere avvenuta, considerando un lungo periodo di tempo. Ma un qualcosa di impossibile non può verificarsi casualmente se il tempo a disposizione è maggiore. 
La seconda legge della termodinamica dice che esiste la tendenza a passare dall’ordine al disordine e non viceversa. Pertanto anche ammettendo che si siano formati aminoacidi in determinate situazioni ambientali, essi in seguito si sono dissolti e non agglutinati per formare proteine. 
Ecco pertanto che il tempo, in una situazione di questo tipo, non aumenta la probabilità che l’evento “generazione spontanea” si verifichi. Se non si verifica dopo dieci tentativi la posibilita è 0/10. Se non si verifica dopo cento tentativi, la possibiltà è 0/100, e via di seguito. 
C’è inoltre da chiedersi se i “milioni di anni” che di solito vengono portati come supporto alla possibilita della generazione spontanea da parte degli evoluzionisti, siano trascorsi realmente. In effetti i metodi tradizionali di datazione, basati sul decadimento dell’uranio o sul metodo del carbonio 14, sono ampiamente contestati, e non portano a datazioni certe. Il metodo degli evoluzionisti è quello di allungare indefinitamente le ere, e così i milioni di anni diventano miliardi di anni. In questo modo possono sostenere che in qualche momento del passato la generazione spontanea è avvenuta. Ma questo procedere, lungi dall’essere scientifico è, ancora una volta, una “forma di fede”. 
E’ stato Darwin che ha indirettamente innescato questo processo, ecco una sua dichiarazione (2): 

La credenza che le specie sono immutabili è un qualcosa di inevitabile fino a quando si crederà che la storia della terra sia breve. 

Praticamente Darwin disse che siccome non c’è evidenza di evoluzione (e di generazione spontanea), in epoche recenti, essa deve essere avvenuta molto prima, e da qui si origina la necessità di “dover creare” i miliardi di anni. 
In pratica solo con i miliardi di anni si potrebbe verificare la generazione spontanea e quindi la terra deve “per forza” essere vecchia di miliardi di anni!
Secondo l’evoluzione l’età della terra è di circa 5 miliardi di anni. Questo dato è stato confutato da vari scienziati creazionisti, ma per ora non è mio interesse entrare nel merito dell’età della terra. E’ però interessante notare che gli evoluzionisti hanno bisogno di questo dato. Possono sempre dire che “con il tempo sufficiente, la possibilita che si sia verificata la generazione spontanea, esiste”. 
Ma anche se la terra avesse trilioni di anni, la generazione spontanea non avrebbe potuto verificarsi, in quanto è contraria alla legge di Pasteur. 
Vediamo ora quale dovrebbe essere stato l’ambiente primitivo nel quale si sarebbe verificata la generazione spontanea. 
1-Ci deve essere stata la corretta atmosfera e deve essere stata totalmente differente da quella di adesso.
2-Il terreno, le acque e gli oceani, dove la vita iniziò, avevano esattamente la corretta combinazione di elementi chimici (diversi da quelli di adesso). 
3-Con una sconosciuta, ma esattamente corretta, fonte di energia, gli aminoacidi si formarono in sufficente quantità. 
4-Gli aminoacidi si sarebbero poi combinati in proteine e nucleotidi.
5-Le proteine e i nucleotidi si trasformarono in organi complessi all’interno di un organismo principale (la cellula), sviluppando un codice genetico in modo da risolvere vari problemi (il primo e più importante è la riproduzione).
6-A questo punto l’organismo era pronto a riprodursi. 

Innanzitutto si nota che i punti dal primo al quinto dovrebbero essersi verificati nella corretta sequenza. Inoltre l’ipotetica formazione della prima cellula avrebbe dovuto crearsi in modo perfetto, ossia capace di attuare tutte le sue funzioni vitali, inclusa la riproduzione. Se così non si fosse verificato, una volta morta la prima cellula, la vita sulla terra sarebbe nuovamente scomparsa. 
Contrariamente alla teoria dei tempi lunghissimi, ossia dei milioni di anni, spesso chiamata in causa dagli evoluzionisti per giustificare la formazione della vita, la formazione degli aminoacidi, delle proteine, del DNA e degli enzimi necessari per il funzionamento della prima cellula, avrebbe dovuto avvenire in un singolo istante! Se cosi non fosse stato, gli aminoacidi, per la legge dell’entropia, si sarebbero dissolti in acqua per idrolisi e lo stesso discorso vale per le proteine, che invece di agglutinarsi si sarebbero decomposte in aminoacidi. 
Ricordiamo che l’esperimento di Miller-Urey ha prodotto aminoacidi in laboratorio, sotto la guida di menti intelligenti. Non vi è stata l’osservazione di ciò che è accaduto in natura. Inoltre ricordiamo ancora una volta che non si sono prodotte proteine e tantomeno la cellula. Le proteine non sono “vive”. Sono molecole organiche, ma non sono esseri viventi. 
Torniamo ora ai sei punti iniziali. Per la seconda legge della termodinamica le reazioni chimiche procedono verso l’entropia. Quindi da un’alta ad una bassa concentrazione, e non viceversa. Ci è stato detto che “casualmente” gli aminoacidi si sarebbero formati nel “brodo primordiale”. Ma appena formati gli aminoacidi tornerebbero a decomporsi a causa dell’eccesso di acqua. 
Inoltre l’acqua gioca a svafore perché in seguito si formino proteine, lipidi, acidi nucleici e polisaccaridi. E anche ammesso che una proteina si formasse, a causa dell’idrolisi anch’essa tornerebbe allo stadio iniziale di aminoacido. 
In altre parole, la corretta concentrazione di elementi perché si formino aminoacidi e quindi essi si agglutinino in proteine è estremamente rara. 
In effetti le strutture che compongono la cellula sono “costruite” per sussistere all’interno di essa e non all’esterno, dove verrebbero rapidamente annichilate decomponendosi. 
Inoltre vi è il problema della fonte di energia. Di solito gli scienziati dicono che “ci deve essere stata una fonte di energia per innescare la vita”. Si parla di fulmini. Però qualsiasi cosa colpita da un fulmine viene annichilita, e non creata!
Un altro problema è l’ossigeno atmosferico. E’ noto che in presenza di ossigeno la chimica della vita si decompone. Gli aminoacidi si decompongono e così le proteine. Si necessita quindi di un’atmosfera senza ossigeno per la formazione della chimica della vita, ma non è provato che l’atmosfera terrestre sia stata senza ossigeno nel passato.  
Torniamo alle proteine: esse stanno alla base della vita delle cellule. Esse sono composte di aminoacidi. L’acqua dell’oceano primitivo avrebbe attuato da agente idrolitico e quinde l’improbabile formazione casuale di proteine sarebbe stata presto dissolta. Un gruppo di studiosi della Barrion University in Israele ha calcolato la probabilità di formazione casuale di una sola proteina: 1/10 alla 157esima potenza! (3)
Ma gli evoluzionisti continuano con il loro assioma: in qualche modo e in qualche lontana epoca del passato dalla materia inorganica si sarebbero formati gli aminoacidi e le proteine. Per la vita però servono anche gli enzini e fino ad oggi nessun scienziato al mondo è riuscito a produrli in laboratorio. E in più, naturalmente vi è il DNA. La vita è qualcosa di molto più complesso del semplice assemblare gli organi che servono per il funzionamento di una cellula. Infatti un istante dopo la morte dell’organismo vi sono ancora gli aminoacidi, le proteine, gli enzimi e i codici genetici, ma la vita, non c’è più. 
Per quanto riguarda l’atmosfera primitiva, gli evoluzionisti hanno “deciso” che l’atmosfera primitiva doveva per forza essere senza ossigeno. Tutto ciò naturalmente per giustificare la formazione degli aminoacidi. Infatti sappiamo che se l’ossigeno fosse stato presente, gli aminoacidi non si sarebbero potuti formare. 
Il problema è che non esiste alcuna evidenza che l’atmosfera iniziale del pianeta terra sia stata senza ossigeno. Inoltre non esiste alcuna teoria che possa spiegare come si possa essere formata un atmosfera senza ossigeno, che poi si trasformò rapidamente in un atmosfera con ossigeno. L’atmosfera originaria che descrivono gli evoluzionisti sarebbe stata formata da metano, idrogeno, ammoniaca ed azoto. Mentre l’atmosfera attuale è formata da anidride carbonica, acqua, azoto ed ossigeno. 
Ecco il paradosso evoluzionista: 
1-L’atmosfera originaria non è provato che sia esistita, ma senza di essa la chimica della vita non si sarebbe potuta formare. 
2-Se fosse esistita l’atmosfera originaria la chimica della vita avrebbe potuto in teoria sintetizzarsi (anche se le possibilità sono remotissime), ma poi i composti chimici (la cellula) sarebbero morti per mancanza di ossigeno. 
3-Inoltre, un’atmosfera senza ossigeno è anche senza ozono per cui i raggi ultravioletti avrebbero distrutto qualsiasi aminoácido o eventuale proteina. 
Ecco alcune tesi contrarie ad una atmosfera senza ossigeno:
1-Antiche rocce contengono piccole parti di ferro ossidato.
2-Se non ci fosse stato ossigeno, non ci sarebbe stata acqua. Gli evoluzionisti ci vorrebbero far credere che non ci sia stata acqua nell’atmosfera originaria?
3-L’atmosfera originaria secondo gli evoluzionisti non aveva ne ossigeno ne anidride carbonica. Ma senza ossigeno nessun essere vivente può sopravvivere. E senza anidride carbonica nessun vegetale può sopravvivere.

Per concludere questo è il paradosso degli evoluzionisti: la generazione spontanea non può accadere con ossigeno e non può accadere senza ossigeno!

A questo punto la posizione evoluzionista estrema sostiene che un istante dopo la formazione  della vita senza ossigeno, l’atmosfera intera si sarebbe trasformata in una con ossigeno! Questa teoria cade però in quanto l’ossigeno dell’atmosfera debe essere prodotto dalle piante e può succedere solo in tempi relativamente lunghi. Ma le piante stesse non potevano vivere in un contesto senza anidride carbonica. 
Qualche evoluzionista ha proposto che gli aminoacidi si formarono in zone di argilla secca o nelle rocce, ma anche in questo caso l’ossigeno o i raggi ultravioletti avrebbero impedito la loro formazione. 
E’ stata proposta anche la tesi che gli aminoacidi si formarono nel bordo dei vulcani. Ma il calore vulcanico avrebbe distrutto gli aminoacidi alla loro formazione. 
Come vediamo la teoria della generazione spontanea non è “scientificamente provata”. E’ solo una “forma di fede”, ma non è una dimostrazione scientifica. 

YURI LEVERATTO
Copyright 2016

Note:
1-http://yurileveratto2.blogspot.com/2015/11/evoluzionismo-contro-creazionismo.html
2-Charles Darwin, Origine delle specie, conclusione alla seconda edizione
3-Evolution handbook, Vance Ferrel

mercoledì 12 agosto 2015

I metodi di datazione inaccurati usati nell'evoluzionismo darwiniano


Secondo l’assioma evoluzionista la storia della terra si deve estendere a tempi lunghissimi nella speranza che ciò  renderà più probabile l’origine e l’evoluzione della vita. 
Negli ultimi centocinquant'anni si sono sviluppati dei metodi di datazione di qualsiasi oggetto antico, sia esso una roccia, un fossile animale o vegetale. Questi metodi hanno portato a conclusioni sorprendenti: la terra avrebbe 4,5 miliardi di anni e la vita si sarebbe formata 600 milioni di anni fa. L’antenato comune di scimmie e ominidi, risalirebbe a 6 milioni di anni fa. 

Siamo proprio sicuri che questi metodi di datazione siano corretti?

Innazitutto consideriamo il metodo di datazione radiometrica. I più diffusi metodi di datazione radiometrica sono: 
1-uranio-torio, basato nella disintegrazione di uranio in torio. 
2-rubidio-stronzio, basato nella disintegrazione di rubidio in stronzio.
3-potassio-argon, basato nella disintegrazione di potasio in argon
4-radiocarbonio C14, basato sulla formazione di elementi radioattivi di carbonio, nell'atmosfera da radiazioni cosmiche e sul loro successivo decadimento verso l'isotopo di carbonio stabile.

C'è un modello di base che si verifica nel decadimento delle sostanze radioattive. In ciascuno di questi sistemi di disintegrazione, la sostanza radioattiva originale decade gradualmente in sostanze derivate. Questo può comportare catene di decadimento lunghe, con ogni prodotto derivato che decade in altre sostanze, finchè alla fine rimane solo un elemento inerte che non ha radioattività. In alcuni casi, la sostanza iniziale può decadere direttamente nel prodotto finale. 

All'inizio di questa analisi, dobbiamo comprendere chiaramente un fatto basilare: ciascuno di questi metodi di datazione può essere accurato solo se certe ipotesi si applicano e si verificano sempre a ogni campione testato.

1-Ogni sistema deve essere un sistema chiuso; cioè, nulla dovrebbe contaminare nessuno dei campioni radioattivi originali o dei prodotti finali mentre stanno attraversando il loro processo di decadimento, in caso contrario la datazione non avrà valore. Idealmente, per fare questo, ogni campione testato dovrebbe essere stato sigillato in un barattolo con pareti di piombo per tutta la sua esistenza precedente, presumibilmente milioni di anni.

Ma in condizioni reali sul campo, non esiste un sistema chiuso. Un pezzo di roccia non può essere sigillato per milioni di anni da altre rocce, così come da acqua, prodotti chimici e radiazioni che arrivano dallo spazio.

2-Ogni sostanza radiottiva originale non dovrebbe contenere inizialmente nessuna sostanza derivata. Un pezzo di uranio 238 in origine non dovrebbe contenere piombo o altri prodotti derivati. Se lo facesse, darebbe una lettura di data falsa.

Ma questa ipotesi non può in alcun modo essere confermata. È impossibile sapere cosa c'era inizialmente in un dato pezzo di minerale radioattivo. Era formato integralmente da materiale radioattivo o c'erano altri prodotti derivati mescolati? Non lo sappiamo; e non possiamo saperlo. 

3-La velocità di decadimento deve sempre essere la stessa. Il tasso di decadimento non deve mai essere cambiato.

Tuttavia, non abbiamo modo di tornare indietro nel tempo e di sapere se tale ipotesi sia corretta.

Ogni processo in natura opera ad un tasso determinato da una serie di fattori. Questi fattori possono cambiare o variare con un cambiamento in determinate condizioni. Il tasso di decadimento è in realtà una media statistica, non una constante deterministica.

Il più fondamentale dei presupposti iniziali è che tutti gli orologi radioattivi, incluso il carbonio 14, hanno sempre avuto un tasso di decadimento costante che non è influenzato da influenze esterne, durante il passato. Ma è un fatto noto tra gli scienziati che tali cambiamenti nei tassi di decadimento si verificano. Le prove sul campo rivelano che i tassi di decadimento sono effettivamente variati nel passato.
Il tasso di decadimento di qualsiasi minerale radioattivo può essere alterato se il minerale viene bombardato da particelle ad alta energia provenienti dallo spazio (come neutrini, raggi cosmici, ecc.); se c'è, per un periodo, una radiazione radioattiva vicina; se viene esercitata pressione fisica sul minerale radioattivo (cioè se viene schiacciato); se alcuni prodotti chimici vengono portati in contatto con esso.

4-Un ricercatore, * John Joly del Trinity College, a Dublino, ha passato anni a studiare gli aloni pleocroici emessi dalle sostanze radioattive. Nella sua ricerca ha trovato prove del fatto che vari minerali hanno variato il loro tasso di decadimento in passato!

"Il suo suggerimento di variare il tasso di disintegrazione dell'uranio nei vari periodi geologici, se corretta, accantonerebbe tutte le possibilità di calcolo dell'età mediante metodi radioattivi." - * A.F. Kovarik, "Calcolo dell'età dei minerali dai dati e dai principi della radioattività", nel Bollettino 80 del Consiglio Nazionale delle Ricerche, giugno 1931, p. 107.

5- Se qualche cambiamento si è verificato in epoche passate nella coltre di atmosfera che circonda il nostro pianeta, ciò influenzerebbe notevolmente gli orologi nei minerali radioattivi.

Raggi cosmici, mesoni ad alta energia, neutroni, elettroni, protoni e fotoni entrano continuamente nella nostra atmosfera. Queste sono particelle atomiche che viaggiano a velocità prossime a quelle della velocità della luce. Alcuni di questi raggi penetrano diverse centinaia di metri di profondità e 1400 metri nelle profondità oceaniche. La coltre d'aria che copre il nostro mondo equivale a uno spessore di 34 piedi d’acqua (104 dcm), o 1 metro di piombo. Se in qualche tempo precedente questa coltre d'aria fosse stata più pesantemente saturata dall'acqua, avrebbe prodotto un grande cambiamento - dal tasso attuale - negli orologi atomici all'interno dei minerali radioattivi. E¿ possibile che prima diluvio, ci fosse molta più acqua nell'atmosfera, in forma gassosa.

6-La cintura di radiazioni Van Allen circonda il globo. È a circa 724 km sopra di noi ed è intensamente radioattiva. Secondo * Van Allen, i test ad alta quota hanno rivelato che emette 3000-4000 volte più radiazioni dei raggi cosmici che bombardano continuamente la terra.
Qualsiasi cambiamento nella cintura di Van Allen influirebbe in modo determinante sul tempo di decadimento dei minerali radioattivi. Ma non sappiamo quasi nulla di questa cintura: cos'è, perchè è lì o se è cambiata in passato. In effetti, la cintura di Van Allen fu scoperta solo nel 1959. Anche piccole quantità di variazione o cambiamento nella cintura di Van Allen influenzerebbero in modo significativo le sostanze radioattive.

7-Un'assunzione di base di tutti i metodi di datazione radioattiva è che l'orologio doveva iniziare all'inizio; cioè, secondo questo assioma non erano presenti prodotti derivati, esistevano solo quegli elementi in cima alla catena radioattiva. Ad esempio, tutto l'uranio 238 del mondo in origine non aveva piombo 206 in esso, e nessun piombo 206 esisteva altrove.
Ma attualmente non possiamo essere sicuri di questo assioma.
I teorici evoluzionisti ci dicono che in origine c'era solo l'uranio, e tutti i suoi prodotti derivati (gli isotopi radioattivi più in basso nella sua catena di decadimento) si sarebbero sviluppati in seguito. Sappiamo, dagli studi di Robert Gentry, che il polonio originario (primordiale) 218 era nel granito quando quel granito era inizialmente in forma solida; ma il polonio è pensato dagli evoluzionisti solo come un eventuale prodotto derivato della disintegrazione dell'uranio.

Dieci metodi di datazione principali - Abbiamo esaminato le ipotesi di base invocate dagli esperti di radio-appuntamenti; ora esaminiamo i metodi di datazione primari.

(1) datazione basata sul decadimento dell’uranio

(2) datazione al piombo-torio

(3) datazione al piombo 210 

(4) datazione dell'elio

(5) datazione al rubidio-stronzio

(6) datazione potassio-argon

(7) datazione potassio-calcio

(8) La datazione di strati e fossili, per quanto riguarda la radio-datazione, sarà brevemente presa in considerazione; 

Inoltre, ci sono tre metodi di datazione usati per datare resti di piante e animali antichi:

(9) Datazione al radiocarbonio (carbonio 14)

(10) datazione alla decomposizione degli aminoacidi


1-Datazione basata sul decadimento dell’uranio: 

a causa delle somiglianze nel metodo e dei problemi con la datazione dell'uranio e del torio, ci riferiremo spesso ad entrambi sotto la categoria della datazione dell'uranio.
Qui sono inclusi tre principali tipi di datazione uranio / torio:

(1) L'uranio 238 decade a piombo 206, con un periodo di tempo di 4,5 miliardi di anni.
(2) L'uranio 235 decade a piombo 207, con un periodo di tempo 0,7 miliardi di anni.
(3) Il torio 232 decade a piombo 208, con un periodo di tempo di 14,1 miliardi di anni.

Questi tre elementi si trovano generalmente insieme in miscele, e ciascuno decade in diversi prodotti derivati (come il radio) prima di diventare piombo.
Ecco alcuni dei motivi per cui non possiamo fare affidamento sulla datazione radioattiva dell'uranio e del torio:

1-In origine il piombo poteva essere miscelato con l'uranio o il torio. Questo è molto possibile e anche probabile. È solo un'ipotesi che il piombo integrale o adiacente possa essere solo un prodotto finale.
Inoltre, il piombo comune, che non deriva da una matrice radioattiva, potrebbe facilmente essere stato miscelato nel campione e compromettere seriamente la datazione. * Adolph Knopf si riferiva a questo importante problema (* Scientific Monthly, novembre 1957). * Anche Faul, un'autorità leader nel campo, lo riconobbe. (* Henry Faul, Nuclear Geology, 1954, 297).
Quando un campione di uranio viene testato per scopi di datazione, si presume che l'intera quantità di piombo in esso contenuto sia "piombo derivato" (cioè il prodotto finale dell'uranio decaduto). Il campione non viene controllato attentamente e accuratamente per il possibile contenuto di piombo comune, perchè è un'attività che richiede molto tempo. Eppure è proprio il rapporto dell'uranio-piombo che viene usato per datare il campione! Lo stesso problema si applica ai campioni di torio.

2-La lisciviazione (inquinamento) è un altro problema. Una parte dell'uranio e dei suoi derivati potrebbero essere stati precedentemente eliminati. Ciò influenzerebbe drasticamente la datazione del campione. Il piombo, in particolare, può essere lisciviato da soluzioni acide deboli.

3-Ci possono essere risultati del rapporto del piombo imprecisi, a causa di diversi tipi di piombo all'interno del campione. Le correlazioni di vari tipi di piombo (piombo 206, 207, ecc.) Nel campione vengono effettuate per migliorare la precisione della datazione. Ma gli errori possono e si verificano anche qui.

Quindi, abbiamo delle prove interessanti della inaffidabilità delle tecniche di radiodatazione. Una roccia nota per avere meno di 300 anni è variamente datata tra 50 milioni e 14,5 miliardi di anni! E’ un errore di 14 miliardi di anni nella datazione! Tuttavia tali tecniche di radiodatazione continuano ad essere utilizzate per dimostrare le lunghe età dell'esistenza della terra. 
Le datazioni di campioni da un singolo deposito di uranio nella miniera Caribou del Colorado hanno prodotto uno spread di errore di 700 milioni di anni.

4-Tuttavia un quarto problema riguarda quello della cattura dei neutroni. * Melvin Cooke suggerisce che l'isotopo di piombo radiogenico 207 (che si pensa normalmente sia stato formato solo dal decadimento dell'uranio 235) potrebbe effettivamente essere formato dal piombo 206, semplicemente avendo catturato neutroni liberi dalla roccia vicina. Allo stesso modo, il piombo 208 (normalmente teorizzato come formato solo dal decadimento del torio 232) avrebbe potuto essere formato dalla cattura di neutroni liberi dal piombo 207. Cooke verificò questa possibilità con un'indagine approfondita e ottenne una quantità considerevole di dati che indicavano che praticamente tutto il piombo radiogenico nella crosta terrestre avrebbe potuto essere prodotto in questo modo anzichè con l'uranio o il decadimento del torio! Questo punto da solo invalida totalmente i metodi di datazione dell'uranio e del torio!

5-Un quinto problema riguarda l'origine delle rocce contenenti questi minerali radioattivi. Secondo la teoria evolutiva, la terra era originariamente fusa. Ma, se ciò  e’ vero, le rocce produrrebbero una forte variazione nelle impostazioni dell'orologio nei materiali radioattivi.

"Perchè le età radioattive dei letti di lava, stabilite in poche settimane l'una dall'altra, differiscono di milioni di anni?" – 
* Glen R. Morton, Elettromagnetismo e l'aspetto dell'età.

È un fatto ben noto, da parte dei ricercatori nucleari, che il calore intenso danneggi le impostazioni dell'orologio; tuttavia al pubblico vengono solennemente presentate date di rocce che indicano lunghe epoche.

2-Datazione torio-piombo 

La maggior parte dei difetti discussi con la datazione dell'uranio-piombo, sopra, si applica ugualmente alla datazione al torio-piombo.
I periodi di decadimento dell'uranio 238, 235 e del torio 232 sono presumibilmente noti, essendo state teorizzati. Ma ogni volta che le date sono calcolate usando il torio, sono sempre ampiamente in disaccordo con le date dell'uranio! Nessuno può indicare una sola ragione per questo fatto. Probabilmente abbiamo qui un gruppo di diversi importanti fattori di contaminazione; e tutti questi fattori di contaminazione vanno oltre la nostra capacità di identificare, e tanto meno di calcolare. A peggiorare le cose, i fattori contaminanti comuni a entrambi possono causare reazioni diverse nel torio rispetto all'uranio! (* Henry Faul, Nuclear Geology, 295).

"Le due datazioni uranio-piombo spesso differiscono notevolmente le une dalle altre e la datazione torio-piombo è quasi sempre drasticamente inferiore a quelle dell’uranio." - * L.T. Aldrich, "Misurazione delle età radioattive delle rocce", in Science, 18 maggio 1956, p. 872.

3-4-Datazioni dal piombo 210 ed elio.

Devono essere menzionati due altri metodi di datazione di campioni di uranio e torio.
In primo luogo, c'è la datazione dell'uranio-piombo 210. Il piombo 210 è usato frequentemente per datare l'uranio.
Il secondo è il metodo dell'uranio-elio. L'elio prodotto dal decadimento dell'uranio viene utilizzato anche per lo stesso scopo di datazione.
Ma questo metodo è soggetto agli stessi problemi di immissione o lisciviazione menzionati in precedenza. La perdita di elio è così nota da renderla inadatta a scopi di datazione.
Uranio e torio si trovano solo raramente in rocce fossili; l'attenzione si è concentrata recentemente sulla datazione al rubidio e su due tipi di datazione al potassio, tutti isotopi radioattivi di metalli alcalini e presenti nelle rocce fossili. Consideriamo ora entrambi:

5-Datazione rubidio-stronzio 

Il rubidio 87 decade gradualmente in stronzio 87
A parte la lisciviazione e altre contaminazioni, gli esperti non sono stati finora in grado di concordare sul tempo di decadimento del rubidio. Questo lo rende inutile per le datazioni. * Abrams ha compilato un elenco del tempo di decadimento del rubidio suggerite da vari specialisti. Le stime, da parte degli esperti, variavano tra i 48 ei 120 miliardi di anni! Sono numeri così inconcepibilmente grandi da rendere inutile la datazione Rb-Sr.
Stronzio: inoltre, solo una piccolissima quantità di stronzio risulta dal decadimento; e gran parte dello stronzio può essere non radiogenico, cioè non causato dal processo di decadimento. Ciò è dovuto al fatto che lo stronzio 87 è facilmente lisciviato da un minerale ad un altro, producendo risultati di datazione altamente inaffidabili.

6-Datazione postassio-argon. 

Il potassio radioattivo decade in gas di calcio e argon. Grandi speranze furono inizialmente riposte su questo metodo, poichè il potassio si trova ampiamente negli strati dove ci sono fossili. Ma gli scienziati furono molto delusi di scoprire che: (1) a causa di tali ampie varianti di datazione, non potevano essere d'accordo sul tempo di decadimento del potassio. (2) Il gas raro, l'argon, lascia rapidamente il minerale e si disperde in altre rocce e nell'atmosfera (* G.W. Wetherill, "Radioattività del potassio e tempo geologico", Science, 20 settembre 1957, 545).
Poichè è un gas, l'argon 40 può facilmente espandersi dentro e fuori le rocce di potassio (* JF Evernden, et al., "K / A Date e la cronologia dei mammiferi cenozoici del Nord America", American Journal of Science, febbraio 1964, p 154).
Non solo l'argon è un gas instabile, ma il potassio stesso può essere facilmente eliminato dalla roccia. * Rancitelli e * Fisher spiegano che il 60% del potassio può essere estratto da un meteorite di ferro con acqua distillata in 4,5 ore (* Estratti di Scienze Planetarie, 48 ° Incontro annuale dell'American Geophysical Union, 1967, p 167).
L'acqua piovana è acqua distillata. In forti acquazzoni, l'acqua piovana abbastanza pura può occasionalmente ricadere in aree rocciose più profonde. Quando lo fa, l'acqua piovana trasferisce il potassio da un luogo all'altro.
Un altro problema è che la datazione del potassio-argon deve essere verificata con i metodi di datazione dell'uranio-piombo! Ciò aumenta notevolmente il problema, poichè abbiamo già visto che la datazione dell'uranio è di per sè estremamente inaffidabile! 

Le rocce vulcaniche sommerse, prodotte da flussi di lava al largo delle coste delle Hawaii vicino a Hualalai, negli anni 1800-1801, erano datate usando il metodo potasio-argon. La lava che forma quelle rocce è chiaramente nota per avere meno di 200 anni; eppure la datazione di potassio-argo delle rocce ha prodotto grandi età, da 1,60 milioni a 2,96 miliardi di anni! (Vedi * Science, 11 ottobre 1968; * Journal of Geophysical Research, 15 luglio 1968).

Il potassio si trova nella maggior parte delle rocce ignee (lava) e in alcune rocce sedimentarie (dove vi sono i fossili). Nonostante la sua inesattezza, fino ad oggi la datazione al potassio-argon continua ad essere il metodo più comune di datazione radioattiva degli strati rocciosi fossili.

7-Datazione potassio-calcio.

La situazione è ancora peggiore per la datazione con questo metodo. Il potassio radioattivo decade sia all'argon che al calcio (calcio 40). Ma il problema qui è che i ricercatori non possono distinguere tra calcio 40 e altro calcio perchè i due sono così comunemente e completamente mescolati. L'argon è di scarso aiuto, poichè si espelle rapidamente.
Problemi con tutti i metodi radioattivi - Le rocce riportate dalla luna hanno fornito un eccezionale test per i vari metodi di datazione, poichè tutte queste tecniche sono state utilizzate su di esse. I risultati sono stati un disastro.
Infatti secondo i calcoli di esperti l'età di alcune rocce lunari variava da 2 milioni a 28 miliardi di anni! Ora gli scienziati stanno discutendo sui risultati. Alcuni dicono che la luna ha 2 milioni di anni mentre altri dicono che ha 28 miliardi di anni. Abbiamo qui un grave problema scientifico e un mal di testa per gli evoluzionisti. (Per ulteriori informazioni su questo, vedere * Atti delle Conferenze Lunare Secondo, Terzo e Quarto: Lettere della Terra e Planetario, Volumi 14 e 17).
La ricerca di G.T. Emery - Affinchè un orologio radioattivo sia utilizzabile, deve funzionare senza variazioni. Ma * G.T. Emery ha svolto un'attenta ricerca sugli aloni pleocroici e ha scoperto che non mostrano tassi di decadimento costanti. Quando vengono esaminati aloni pleocroici con tassi di decadimento lungo (prodotti da uranio, torio, ecc.), le durate temporali coinvolte mostrano imprecisioni nei tassi di decadimento.
Solo un evento catastrofico - Come * Jeaneman spiega così bene, solo una catastrofe principale (caduta di meteorite, diluvio), avrebbe rovinato l'utilità di tutti i nostri orologi radioattivi.
Perchè una singola catastrofe mondiale avrebbe reso inattivi tutti gli orologi atomici? In primo luogo, ci sarebbero enormi problemi di contaminazione, in quanto fluidi, sostanze chimiche e sostanze radioattive fluivano o venivano trasportate da un luogo all'altro. Secondo, ci sarebbero grandi attività di cambiamento della velocità radioattiva (cambiamenti atmosferici, radioattivi e magnetici) che tenderebbero a resettare direttamente gli orologi. In terzo luogo, un importante spostamento e ridistribuzione della pressione sulla roccia che si verifica al di sopra delle rocce radiogeniche ripristinerebbe i loro orologi. Quarto, ci sarebbero le inversioni del nucleo magnetico terrestre, causate dalle vibrazioni delle onde d'urto causate da vulcani, terremoti, giganteschi geyser, affondamento del fondo marino e massiccie formazioni montagnose.
In alcuni test di laboratorio di * H.C. Dudley ha rivelato che le influenze esterne possono sicuramente influenzare i tassi di decadimento. 
I tassi di decadimento di 14 diversi radioisotopi per mezzo di pressione, temperatura, campi elettrici e magnetici, stress in strati monomolecolari, ecc. 
Le implicazioni di questo sono epocali (vedi * H.C. Dudley, "Radioattività rivisitata", Chemical and Engineering News, 7 aprile 1975, p.2). Gli strati di roccia sedimentaria furono deposti sotto una pressione enorme. Questo ha comportato un grande stress. Drammatici cambiamenti di temperatura si sono verificati poco dopo che gli strati sono stati depositati; e il nucleo di ferro della Terra è stato disturbato a tal punto che le inversioni magnetiche si sono verificate ai poli (paleomagnetismo). * Dudley dimostrò che ognuna di queste forze avrebbe influenzato in modo drammatico gli orologi all'interno di rocce radioattive.
La conseguenza sono datazioni inaccurate che non sono affidabili e che non possono essere ricalcolate, poichè le impostazioni precedenti non sono ora note.

* La rivista Time (19 giugno 1964) riportò un oggetto intrigante che fu trascurato da gran parte della comunità scientifica. Sebbene in genere gli scienziati ritengano che nessuna forza conosciuta possa modificare il tasso di disintegrazione atomica degli elementi radioattivi, i ricercatori di Westinghouse lo hanno effettivamente fatto. Come hanno fatto? Semplicemente posizionando il ferro "morto" inattivo vicino al ferro radioattivo. Il risultato è stato che il tasso di disintegrazione è stato modificato!
Il ferro radioattivo emetterà particelle per un certo tempo e poi si dissolverà in uno stato inattivo. Quando i ricercatori hanno posizionato il ferro radioattivo vicino al ferro inattivo, il ferro inattivo è diventato gradualmente attivo. In questo modo, l'età apparente del ferro radioattivo è stata cambiata di circa il 3% mentre l'orologio del ferro precedentemente inattivo è stato riportato alla sua massa radioattiva originale. Il suo orologio è tornato a zero!

8-Datazione di strati e fossili

Esistono solo tre metodi primari di datazione a lungo termine: (1) strati di roccia che contengono fossili, (2) datazione radioattiva e (3) datazione al carbonio-14.

Per datare le rocce con i loro fossili gli evoluzionisti si basano su un ragionamento circolare: (1) Ogni strato ha una certa età a causa di alcuni fossili chiave in esso; (2) i fossili negli strati hanno una certa età perchè la teoria evolutiva dice che dovrebbero essere quella certa età, e anche perchè sono in strati di roccia che si dice abbiano quell'età. E’ un ragionamento circolare che però non prova nulla. 
Tuttavia la datazione di fossili / strati è cruciale per la teoria evolutiva! Senza di essa, l'intera teoria crolla! (1) Nessuno degli altri metodi di datazione (i dodici metodi discussi nel presente capitolo), sono affidabili, ma sono in continuo conflitto tra loro e con le conclusioni di datazione di fossili / strati. (2) La teoria delle datazioni (formulata nel XIX secolo), fu applicata ai fossili e agli strati; e gli evoluzionisti nei decenni successivi hanno allineato le proprie conclusioni a quelle teorizzate oltre un secolo fa.

Solo tre risultati sono utilizzabili- In realtà, è impossibile datare strati di rocce sedimentarie e i fossili al loro interno basandosi sulla datazione di minerali radioattivi. Infatti, la radiodatazione è così conflittuale nei suoi risultati, che, in centinaia di migliaia di test, solo tre test hanno concordato sufficientemente con la teoria evolutiva per essere usati come "norme". Ognuno di questi, ovviamente, poteva solo essere applicato a un singolo strato.
Su decine di migliaia di test, solo tre campioni radioattivi sono stati trovati abbastanza affidabili da permettere alle teoria dell'età delle rocce basata sugli strati di essere utilizzabili, e due di loro sono solo ipotesi interpolate basate sullo "spessore degli strati". Gli evoluzionisti usano solo tre radiodatazioni non registrate per rivendicare l'affidabilità della teoria della datazione degli strati e dei fossili.

Una breve revisione storica aiuterà a spiegare la situazione:

(1) All'inizio del 19 ° secolo, gli evoluzionisti decisero che i fossili in certi strati di roccia dovevano avere certe età.

(2) Così hanno datato gli strati contenenti quei fossili in modo che corrispondessero alle loro teorie sull'età del fossile.

(3) Poi hanno annunciato di aver pensato alle date scrutando i cosiddetti "fossili indice".

(4) Dichiararono che ora potevano dimostrare l'età dei fossili nelle rocce - dagli strati rocciosi in cui si trovavano. Così, iniziarono datando gli strati con date immaginate per i fossili; e finirono per datare i fossili applicando quelle date immaginarie agli strati!

Questo modello di ragionamento circolare è continuato fino ai giorni nostri in relazione alla datazione di fossili e strati.
Ma poi, come iniziò il 20 ° secolo, la datazione dei minerali radioattivi cominciò a essere scoperta. Ripetutamente, gli scienziati hanno cercato di correlare la datazione radioattiva con le date applicate a fossili e strati un secolo prima che si conoscesse la radiodazione. Ma non sono stati in grado di farlo. Di letteralmente migliaia di test, sono stati in grado di mettere in relazione solo tre di essi (le date di Colorado, Boemia e Svedese riportate nella citazione di * Knopf. Gli evoluzionisti decisero che tre datazioni risultate positive su centinaia di migliaia di fallimenti di test erano sufficienti a rendere "scientifica" la teoria dei loro fossili / strati, facendo corrispondere la radiodazione: è su questa base che gli scienziati evoluzionisti ora proclamano genericamente che gli strati fossili sono stati datati da minerali radioattivi.

Alcuni campioni di datazione - Per concludere questa sezione sui problemi di radiodatazione, ecco alcuni esempi di datazioni errate.

"Il “sunset cràter”, un vulcano dell'Arizona, è stato datato attarverso la datazione degli anelli degli alberi a circa 1000 anni fa, ma attraverso una datazione potassio-argon si stimò  che ha oltre 200.000 anni [* GB Dalrymple, '40 Ar / 36 Ar Analisi dei flussi storici di lava ' Earth and Planetary Science Letters 6, 1969, pp. 47-55].
(https://en.wikipedia.org/wiki/Sunset_Crater).

"Per l'isola vulcanica di Rangitoto in Nuova Zelanda, il potassio-argon ha datato i flussi di lava da 145.000 a 465.000 anni, ma il giornale della Società Geochimica ha osservato che" le prove radiocarboniche, geologiche e botaniche mostrano inequivocabilmente che era attiva ed probabilmente si formò  negli ultimi 1000 anni. "Infatti, il legno sepolto sotto la sua lava è stato datato al carbonio come meno di 350 anni [* Ian McDougall, * HA Polach e * J.J. Stipp, 'Eccesso di Argon Radiogenico in Basal Subaerial Giovani da Auckland Volcanic Field, Nuova Zelanda,' Geochimica et Cosmochimica Acta, dicembre 1969, pp. 1485, 1499].

"Persino la cupola di lava di Mount St. Helens [prodotta nel 1980] è stata radiometricamente datata a 2,8 milioni di anni [HM Morris, 'Radiometric Dating,' Back to Genesis, 1997]." - James Perloff, Tornado in un Junkyard (1999) ), p. 146.

9-La datazione al radiocarbonio. 

Willard F. Libby (1908-1980), lavorando all'Università di Chicago, scoprì il metodo di datazione al carbonio 14 nel 1946. 
Questo metodo fu considerato un grande passo avanti nella datazione dei resti di piante e animali di epoche precedenti. 
I raggi cosmici che entrano nella nostra atmosfera dallo spazio colpiscono la terra e trasformano l'azoto normale (azoto 14) in carbonio radioattivo (carbonio 14). Il carbonio 14 ha un ciclo di decadimento di circa 5730 anni. Questo metodo di datazione è chiamato datazione al carbonio 14, datazione al C-14 o datazione al radiocarbonio. Entro circa 12 minuti dopo essere stato colpito dai raggi cosmici nell'atmosfera superiore, il carbonio 14 si combina con l'ossigeno, per diventare anidride carbonica che contiene carbonio 14. Si diffonde poi in tutta l'atmosfera, ed è assorbito dalla vegetazione (le piante hanno bisogno di anidride carbonica per produrre zucchero tramite la fotosintesi). In ogni cosa vivente c'è carbonio. Mentre è viva, ogni pianta (o animale) assorbe l'anidride carbonica dall'aria. Gli animali si nutrono anche della vegetazione e assorbono il biossido di carbonio da esso. C'è del carbonio 14 in tutto il biossido di carbonio. Alla morte, il carbonio 14 continua con il suo decadimento radioattivo. Teoricamente, l'analisi di questo carbonio 14 può indicare la data in cui l'oggetto viveva una volta, in base alla percentuale di atomi di carbonio-14 rimasti ancora in essa.

Prima di iniziare lo studio della datazione al radiocarbonio, ecco una citazione su cui riflettere:

"Potrebbe essere uno shock per alcuni, ma meno del 50 per cento delle date del radiocarbonio da campioni geologici e archeologici nel nord-est del Nord America sono stati adottati come "accettabili" dagli investigatori. (J. Ogden III, "L'uso e l'abuso di radiocarbonio", in Annals dell'Accademia delle Scienze di New York, vol. 288, 1977, pp. 167-173.)

Tredici assunzioni - Come accennato in precedenza, la datazione al radiocarbonio è stata inventata da Willard Libby. Fin dall'inizio - e coerentemente da allora in poi - lui ei suoi associati presumono che (1) il modo in cui tutto è ora, così è sempre stato, e (2) nessun fattore contaminante ha precedentemente disturbato qualsiasi oggetto testato con tecniche di radiodatazione.

Il risultato è una teoria pseudoscientifica, che viene applicata ai campioni, senza riguardo per le immense incertezze su come il passato possa averli influenzati individualmente e collettivamente. È per questo motivo che * Libby è stata in grado di ignorare il passato di un campione da analizzare.

Consideriamo ora le tredici assunzioni di base sulla datazione al radiocarbonio che sono state fatte per renderlo un metodo praticabile, anche se non affidabile. 

(1) Carbonio atmosferico: si deve assumere che negli ultimi milioni di anni, l'aria intorno a noi aveva la stessa quantità di carbonio atmosferico che ora ha.

(2) Carbonio oceanico: si deve assumere che durante questo periodo, la grande quantità di carbonio oceanico non è cambiata in termini di dimensioni.

(3) Raggi cosmici: si deve assumere che i raggi cosmici provenienti dallo spazio hanno raggiunto la terra nelle stesse quantità nel passato come adesso.

(4) Bilancia dei tassi: si deve assumere che sia il tasso di formazione che il tasso di decadimento del carbonio 14 siano sempre rimasti in equilibrio nel passato.

(5) Tasso di decadimento: si deve assumere che il tasso di decadimento del carbonio 14 non è mai cambiato.

(6) Nessuna contaminazione: si deve assumere che nulla ha mai contaminato alcun campione contenente carbonio 14.

(7) Nessuna infiltrazione: si deve assumere che nessuna infiltrazione di acqua o altri fattori ha portato ulteriore carbonio 14 al campione da quando si è verificata la morte.

(8) Quantità di carbonio 14 alla morte: si deve assumere che la frazione di carbonio 14, che la creatura vivente possedeva alla morte, è conosciuta oggi.

(9) Tasso di decadimento del carbonio 14: si deve assumere che il tasso di decadimento del carbonio 14 è stato determinata con precisione.

(10) Azoto atmosferico: l'azoto è il precursore del carbonio 14, quindi si deve assumere che la quantità di azoto nell'atmosfera deve essere sempre stata costante.

(11) Strumentazione e analisi: si deve assumere che la strumentazione è precisa, funziona correttamente e i metodi analitici vengono sempre eseguiti con cura.

(12) Risultati uniformi: si deve assumere che la tecnica produce sempre gli stessi risultati sullo stesso campione o campioni correlati che sono ovviamente parte dello stesso campione più grande.

(13) Campo magnetico terrestre: si deve assumere che il campo magnetico terrestre era lo stesso nel passato come lo è oggi.

Gli studi di Willard Libby erano nel campo della scienza, non nella storia; così lui e i suoi collaboratori furono inizialmente sorpresi nell'apprendere che la storia registrata (eventi storici reali) risaliva solo al 3000 a.C. A scuola gli avevano insegnato che si estendeva indietro di 20.000 anni!

Come molte altre brillanti speranze che gli uomini abbiano finalmente trovato un modo corretto per datare le cose antiche, la datazione al radiocarbonio si è rivelata solo un altro mal di testa per gli scienziati coscienziosi.
Le datazioni al carbonio 14 quindi funzionano con un metodo che non fornisce risultati accurati. 

"Le date ben autenticate sono note solo fino al 1600 a.C. circa nella storia egiziana, secondo John G. Read [JG Read, Journal of Near Eastern Studies, Vol. 29, No. 1, 1970]. Le date al carbonio 14 prima del 1600 a.C. sono ancora controverse. "- HM Morris, W.W. Boardman e R.F. Koontz, Science and Creation (1971), p. 85.

A parte i pochi che possono essere controllati da record storici, non c'è modo di verificare l'accuratezza delle date del C-14.

Sedici problema con la datazione al carbonio 14. Ecco una breve discussione di alcuni dei seri ostacoli alla precisione nella datazione C-14 (radiocarbonio):

(1) Tipo di carbonio - Le incertezze relative al tipo di carbonio che possono essere presenti in un dato campione causano errori significativi nella datazione. Come accennato in precedenza, ogni essere vivente è pieno di composti di carbonio e include carbonio 14. Ma, dopo la morte, il carbonio radioattivo supplementare potrebbe avere avuto un incidenza minore nel campione. Pochi ricercatori si prendono il tempo necessario per cercare di capire quali sia state le percentuali di carbonio presenti nel campione al momento della morte. Francamente, nella maggior parte dei casi, sarebbe impossibile essere certi di quanto carbonio secondario o intrusivo fosse entrato nel campione da un'altra parte.

(2) Variazioni entro campioni - Poi c'è il problema delle variazioni all'interno di ciascuno dei campioni. Una parte dell'esemplare fornisce una data e un’altra parte dell’esemplare fornisce un’altra data. Così tanti fattori influenzano i campioni che gli esperti si rendono conto che è apparentemente impossibile arrivare a date precise.

(3) Perdita di Carbonio 14-Le piogge, i laghi, gli oceani e l'umidità del sottosuolo causeranno una perdita di carbonio 14 e quindi rovineranno l’orologio di radiazione.

(4) I cambiamenti del carbonio atmosferico - Inoltre, non è noto quali condizioni carboniche e atmosferiche fossero simili nei tempi antichi. Sappiamo che il clima era diverso, ma non sappiamo fino a che punto. L'evidenza ci indica che sono avvenuti dei cambiamenti che annullano le date antiche determinate dall'analisi del carbonio-14.

(5) Effetto delle macchie solari sulla produzione C-14 - La produzione di macchie solari influisce radicalmente sulla produzione di radiocarbonio nell'atmosfera.

6) Difformità con le altre datazioni - Un'importante indagine su 15.000 date ottenute dalla datazione al carbonio 14 ha rivelato che, nonostante i suoi errori, la datazione al radiocarbonio produce continuamente date che sono milioni e persino miliardi di anni più giovani di quelle ottenute con altre tecniche di radiodatazione (uranio , torio, potassio, ecc.).

(7) Variazione della radiazione di neutrini - Un cambiamento nella radiazione di neutrini nella nostra atmosfera in tempi precedenti influenzerebbe anche i livelli di radiocarbonio. Ma non abbiamo modo di misurare i livelli di radiazione del neutrini nel passato.

(8) Raggi cosmici - La quantità di radiazione cosmica che entra nella nostra atmosfera e raggiunge la terra sarebbe anche cruciale.
Un parziale cambiamento nelle quantità di radiazioni cosmiche influenzerebbe molto anche la datazione del C-14. Ma un cambiamento nella radiazione cosmica dallo spazio esterno non sarebbe necessario, solo un cambiamento nella quantità di acqua o di calore - o entrambi - nella nostra atmosfera.

(9) Campo magnetico- Gli scienziati ora sanno che c'è stato un indebolimento abbastanza rapido del campo magnetico terrestre. La radiazione cosmica entra nella nostra atmosfera che trasforma Carbonio 12 in Carbonio 14. 
I tre parametri vanno considerati insieme: il campo magnetico terrestre, i raggi cosmici e il carbonio 14. Quindi il campo magnetico ha un effetto importante sulla quantità di carbonio 14 che viene prodotta.

(10) Condizioni di umidità - Le variazioni atmosferiche del contenuto di umidità in passato influenzerebbero significativamente anche le quantità di C-14. Le variazioni dell'umidità del terreno, anche temporanee, avrebbero un impatto ancora maggiore. Quanta umidità è venuta a contatto con un determinato campione in varie epoche passate? L'acqua potrebbe essere colata lungo o attraverso il campione in qualche momento precedente? Prima del test, il campione è stato posizionato in una posizione più umida rispetto a dove è stato trovato? -Tutti questi fattori possono influire in modo decisivo sui meccanismi interni dei campioni di radiocarbonio.

(11) Se la terra fosse stata o più calda in precedenza o avesse più acqua nell'atmosfera (crediamo che sia accaduto prima e durante il diluvio), allora gli orologi C-14 registrerebbero età di tempo più lunghe della realtà prima del 2000 a.C.

(12) Per qualche tempo dopo il diluvio ci furono cambiamenti nell'atmosfera (una perdita di acqua dalla calotta del vapore), cambiamenti nel clima (dovuti al cambiamento del calore mondiale in condizioni più fredde) e cambiamenti dovuti al vulcanismo e glaciazione.
A causa di queste drammatiche alterazioni mondiali, piante, animali e persone che vivevano nei primi secoli dopo il diluvio avrebbero ricevuto molto meno carbonio 14 di quanto avrebbero ricevuto oggi. Con datazioni al radiocarbonio, ciò farebbe apparite quelle precedenti forme di vita e civiltà molto più antiche di quanto non fossero in realtà.

Con il passare dei secoli, i livelli di radiazione di carbonio-14 sarebbero gradualmente aumentati fino a che, intorno al 1000 a.C., sarebbero stati vicini ai livelli iniziali del XIX secolo.
Questo è il motivo per cui le date del radiocarbonio negli ultimi 2600 anni (risalenti al 600 a.C. circa) mostrano generalmente una migliore correlazione con le cronologie storicamente verificate. Ma anche in date dal 2600 a.C. fino ad oggi ci sono discrepanze nelle date di carbonio-14.

(13) Le date recenti sono più accurate - È piuttosto noto che le date del carbonio-14, che risalgono a circa 2600 anni, tendono ad essere le più accurate. Ma, prima di circa il 600 a.C., le date date dall'analisi del radiocarbonio cominciano ad allungarsi eccessivamente.

(14) Anche i campioni moderni sono inaccurati - È un fatto sorprendente che persino gli esemplari degli ultimi secoli mostrino seri problemi. Considera alcuni esempi. Essi rivelano che la datazione al radiocarbonio non può essere considerata una prova perfettamente accurata:

Foche appena uccise sono stati datati a 1300 anni. Ciò significa che dovrebbero essere morti più di un millennio fa. Altre foche morte da più di 30 anni erano datate a 4.600 anni (* W. Dort, "Foche mummificate della Terra del Victoria Meridionale", in Antarctic Journal degli Stati Uniti, giugno 1971, pagina 210).

Del legno era stato tagliato da alberi in vita. Sebbene fosse morto solo pochi giorni, era datato come esistito 10.000 anni fa (* B Huber, "Registrazione dello scambio gassoso in condizioni di campo", in Fisiologia degli alberi forestali, edito da K.V. Thimann, 1958).

Vari molluschi viventi (come le lumache) avevano i loro gusci datati, e sono stati trovati per essere "morti" fino a 2300 anni fa (* M. Keith e * G. Anderson, "Radiocarbon Dating: risultati fittizi con gusci di molluschi", in Science, 141, 1963, P. 634).

15) - A causa di drastici cambiamenti durante il diluvio, c'è ragione di credere che in quel momento si verificassero cambiamenti drammatici nel contenuto di carbonio-14 dell'atmosfera. Inoltre, in seguito furono seppellite enormi quantità di carbonio. Immense foreste di tutto il mondo divennero fossili o carbone e milioni di animali divennero fossili o petrolio.

L’inventario mondiale del carbonio di * W.A. Reiners rivela che la quantità totale di carbonio nel mondo oggi è meno di 1/500 della quantità totale che è bloccata in piante e animali fossili all'interno di strati di rocce sedimentarie. (Vedi * W.A. Reiners, Carbon and the Biosphere, p. 369). Un'enorme quantità di carbonio fu seppellita al tempo della catastrofe del diluvio. Se lo stesso inventario mondiale di carbonio 14 - come ora esiste - fosse distribuito in quella biosfera pre-diluvio come piante viventi e animali, il livello di attività C-14 sarebbe stato 500 volte superiore a quello attuale.

Questo da solo rappresenterebbe nove cicli di decadimento del C-14, o 51.000 anni dalla scala cronologica del radiocarbonio. Questo fattore da solo distrugge totalmente l'utilità della datazione al radiocarbonio.

(16) Nel suo libro Evolution and Degeneration (1972, pp. 80-81), HR Siegler menziona che * Willard F. Libby, lo sviluppatore della radiodatazione, trovò una grave discrepanza ad un certo punto nel passato che indicava che il presunto accumulo di radiocarbonio terrestre era impreciso. Ma, poichè era convinto che la terra avesse milioni di anni, andò avanti con le sue ipotesi sulla data. Siegler suggerisce che una creazione relativamente recente spiegherebbe la discrepanza. Prima del diluvio, nella nostra atmosfera c'era una vasta calotta di vapore che tendeva a proteggere la terra dall'accumulo di radiocarbonio.

Questo è il problema: prima del 1600 a.C. circa, la radiodatazione tende a dare risultati imprecisi. Qualcosa è successo in quel periodo che ha spento l'orologio del C14. Gli scienziati creazionisti riconoscono che il problema era il diluvio e le condizioni anormali che esistettero per secoli dopo la sua conclusione.

Considerando tutte queste informazioni, anche la datazione al radiocarbonio è inaffidabile. 

10- Datazione da decomposizione di aminoacidi.

Nel 1955, * Philip Abelson riferì di un nuovo metodo di datazione, e immediatamente un certo numero di ricercatori iniziò ad esplorare queste possibilità.
Gli amminoacidi sono gli elementi costitutivi delle proteine. Alla morte della creatura in cui si trovavano, gli aminoacidi iniziano a decomporsi a velocità variabile.
Una delle maggiori difficoltà nell'applicazione di questo metodo di datazione è che, dei venti amminoacidi, alcuni si decompongono molto più rapidamente di altri. Gli scienziati possono solo cercare di stimare l'età in cui un animale è morto per la quantità di decomposizione che ha sperimentato dalla morte. I composti gradualmente più stabili rimangono mentre altri si decompongono in vari modi.
Inoltre vi è il problema che vari organismi hanno rapporti diversi di aminoacidi. Ogni tipo di pianta e animale ha i suoi particolari rapporti di amminoacidi. Per questo motivo, cercare di analizzare la loro successiva decomposizione per stabilire le date in cui muoiono è un'attività rischiosa. Poichè vi è un'ampia variazione nel tempo di decomposizione tra diverse specie vegetali e animali, i ricercatori che hanno lavorato con questo metodo di datazione hanno scritto diversi resoconti affermando che la datazione degli aminoacidi, sulla base della decomposizione comparativa, può solo produrre vaste gamme di età fossile. In altre parole, non è un metodo di datazione utile.

Come vediamo i método di datazione utilizzati dagli evoluzionisti per giustificare la teoria dell’evoluzione darwinista sono inaccurati e alcune volte sono completamente inaffidabili. 

Yuri Leveratto

Bibliografia: 
Vance Ferrel, Evolution Handbook.