Il Nuovo Testamento è la raccolta dei ventisette libri che stanno alla base della fede cristiana. Il soggetto principale di questi libri è Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo allo stesso tempo, vissuto in Israele durante il tempo della dominazione romana, essendo imperatore Tiberio.
Il messaggio centrale dei libri del Nuovo Testamento (detto kerygma), è la vera identità di Gesù e la sua missione sulla terra.
La vera identità di Gesù su evince da moltissimi suoi detti, dalle sue opere, e dalla sua Risurrezione.
La sua missione principale sulla terra è stata quella “togliere il peccato del mondo” (Giovanni, 1, 29), e di completare le antiche scritture donando all’umanità la possibilità di riscattarsi. Il Verbo di Dio, dunque, si è incarnato in un essere umano, ed è “venuto tra noi” (Giovanni 1, 11).
Secondo la credenza cristiana pertanto, Dio non perdona i peccati “dall’alto”, ma pagando lui stesso. Dio non ha delegato ad una sua “creatura” la sofferenza sulla croce. Dio stesso era sulla croce, dandoci il massimo esempio di umiltà, perché amava talmente l’uomo che si è sacrificato per lui, caricando su di sé tutti i peccati del mondo e rendendoci così liberi. Solo Dio inoltre, essere infinito, poteva pagare con il suo sangue per tutti i peccati del mondo. A tale proposito ecco un passaggio della Lettera agli Ebrei (7, 26-27):
Il messaggio centrale dei libri del Nuovo Testamento (detto kerygma), è la vera identità di Gesù e la sua missione sulla terra.
La vera identità di Gesù su evince da moltissimi suoi detti, dalle sue opere, e dalla sua Risurrezione.
La sua missione principale sulla terra è stata quella “togliere il peccato del mondo” (Giovanni, 1, 29), e di completare le antiche scritture donando all’umanità la possibilità di riscattarsi. Il Verbo di Dio, dunque, si è incarnato in un essere umano, ed è “venuto tra noi” (Giovanni 1, 11).
Secondo la credenza cristiana pertanto, Dio non perdona i peccati “dall’alto”, ma pagando lui stesso. Dio non ha delegato ad una sua “creatura” la sofferenza sulla croce. Dio stesso era sulla croce, dandoci il massimo esempio di umiltà, perché amava talmente l’uomo che si è sacrificato per lui, caricando su di sé tutti i peccati del mondo e rendendoci così liberi. Solo Dio inoltre, essere infinito, poteva pagare con il suo sangue per tutti i peccati del mondo. A tale proposito ecco un passaggio della Lettera agli Ebrei (7, 26-27):
A noi occorreva infatti un tale sacerdote: santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori, innalzato più in alto dei cieli. Il quale non ha bisogno, tutti i giorni, di offrire vittime per i propri peccati, poi per quelli del popolo, come i sommi sacerdoti, perché questo egli ha fatto una volta per tutte offrendo se stesso.
Il messaggio centrale delle predicazioni di Gesù Cristo è stata la “buona novella” in greco euaggelion. Il senso della “buona novella” è che il Salvatore del mondo è arrivato, e con il suo sacrificio sulla croce ha “tolto il peccato del mondo”.
Chi crede in lui e si pente dei propri peccati è “salvo”, in quanto i suoi peccati sono stati “lavati” dal sangue di Cristo. Il suo sacrificio è stato sufficente a togliere il peccato del mondo e la sua Risurrezione è stata la certificazione della sua vittoria finale sul peccato e sulla morte. Chi crede in lui pertanto è già libero, e avrà vita eterna, se permarrà in lui fino alla fine.
Oltre al messaggio centrale, il “kerygma”, vi sono nei libri del Nuovo Testamento una serie di insegnamenti morali e pratici, detti “parenesi”, che i seguaci di Gesù devono seguire per raggiungere la salvezza.
Il “kerygma” si può denifinire come “fede in Gesù Cristo, il Figlio di Dio”, mentre la “parenesi” si può riassumere nella “carità”, ovvero nei comportamenti e nelle opere.
Oltre a ciò nel Nuovo Testamento vi è un messaggio escatologico, ossia riferito alla fine dei tempi. In esso si evince il concetto di speranza.
Ecco delineati i tre pilastri del vivere cristiano: fede, carità e speranza.
Quando sono stati scritti i libri del Nuovo Testamento? Perché sono stati accettati dai primi cristiani del periodo pre-costantiniano? Perché invece altri scritti non sono stati ammessi al Canone?
Innanzitutto analizziamo il nome “Testamento”. Da cosa deriva?
L’antica alleanza stipulata tra Dio e Mosè veniva chiamata “berit” cioè “patto”. Quando la Bibbia fu tradotta per la prima volta al greco nel III secolo a.C. ad Alessandria d’Egitto, il vocabolo “berit” fu tradotto inizialmente con “syntheke”, ma poi con il termine “diatheke”, ossia “deliberazione definitiva”, come le decisioni che si prendono in un testamento. I cristiani di lingua latina poi, tradussero “diatheke” con “testamentum”. Questa parola si trova negli scritti di Tertulliano, un apologeta cristiano, risalenti al 200 d.C. A tale proposito vediamo un altro passaggio della Lettera agli Ebrei (9, 15-17):
Chi crede in lui e si pente dei propri peccati è “salvo”, in quanto i suoi peccati sono stati “lavati” dal sangue di Cristo. Il suo sacrificio è stato sufficente a togliere il peccato del mondo e la sua Risurrezione è stata la certificazione della sua vittoria finale sul peccato e sulla morte. Chi crede in lui pertanto è già libero, e avrà vita eterna, se permarrà in lui fino alla fine.
Oltre al messaggio centrale, il “kerygma”, vi sono nei libri del Nuovo Testamento una serie di insegnamenti morali e pratici, detti “parenesi”, che i seguaci di Gesù devono seguire per raggiungere la salvezza.
Il “kerygma” si può denifinire come “fede in Gesù Cristo, il Figlio di Dio”, mentre la “parenesi” si può riassumere nella “carità”, ovvero nei comportamenti e nelle opere.
Oltre a ciò nel Nuovo Testamento vi è un messaggio escatologico, ossia riferito alla fine dei tempi. In esso si evince il concetto di speranza.
Ecco delineati i tre pilastri del vivere cristiano: fede, carità e speranza.
Quando sono stati scritti i libri del Nuovo Testamento? Perché sono stati accettati dai primi cristiani del periodo pre-costantiniano? Perché invece altri scritti non sono stati ammessi al Canone?
Innanzitutto analizziamo il nome “Testamento”. Da cosa deriva?
L’antica alleanza stipulata tra Dio e Mosè veniva chiamata “berit” cioè “patto”. Quando la Bibbia fu tradotta per la prima volta al greco nel III secolo a.C. ad Alessandria d’Egitto, il vocabolo “berit” fu tradotto inizialmente con “syntheke”, ma poi con il termine “diatheke”, ossia “deliberazione definitiva”, come le decisioni che si prendono in un testamento. I cristiani di lingua latina poi, tradussero “diatheke” con “testamentum”. Questa parola si trova negli scritti di Tertulliano, un apologeta cristiano, risalenti al 200 d.C. A tale proposito vediamo un altro passaggio della Lettera agli Ebrei (9, 15-17):
Perciò egli è il mediatore dell’alleanza nuova, affinché essendo intervenuta una morte in redenzione delle trasgressioni commesse sotto la prima alleanza, i chiamati ricevessero la promessa dell’eredità eterna. Ove infatti vi è un testamento, è necessario che venga denunziata la morte del testatore, perché il testamento è valido solo in caso di morte, dal momento che non ha nessuna forza finché è in vita il testatore.
Ovviamente dopo la morte e la Risurrezione del Salvatore i primi cristiani continuarono a considerare sacre le scritture, ossia l’insieme di libri che noi denominiamo “Antico Testamento”, ma oltre a ciò iniziarono a divulgare oralmente i fatti della “buona novella”.
A partire dalla seconda metà del primo secolo d.C., i cristiani che si riunivano in “ekklesia”, ossia che formavano un assemblea, erano soliti leggere anche le lettere che alcuni di loro spedivano alle varie comunità.
Da queste tradizioni orali e dalle letture delle prime lettere nacque a poco a poco la tradizione neo-testamentaria.
Per quale motivo però certi scritti sono stati accettati ed inclusi nel Nuovo Testamento ed altri no?
Gli scritti e le lettere venivano ovviamente posti al vaglio degli Apostoli e dei loro successori, di coloro quindi che avevano vissuto con Gesù, e che avevano ascoltato le sue parole, o di coloro i quali avevano conosciuto gli Apostoli.
Se questi scritti erano fedeli all’insegnamento del Signore e rispecchiavano il suo messaggio fondamentale di umiltà e il concetto del perdono di Dio a coloro che, pentendosi, credevano in lui, erano accettati.
Altri scritti, invece, dove si asseriva che si sarebbe potuto “raggiungere Dio”, attraverso la “conoscenza”, e non attraverso il pentimento dei propri peccati, vennero scartati, perché rispecchiavano correnti gnostiche.
Nella prima parte del secondo secolo d.C., incominciarono lentamente ad essere riconosciute come facenti parte del Canone le lettere di Paolo, il cosidetto Vangelo tetramorfo o quadriforme, (secondo l’espressione di Ireneo di Lione), il libro degli Atti, composto da Luca, discepolo di Paolo, la prima lettera di Giovanni e la prima lettera di Pietro. Gli altri libri del Nuovo Testamento, in particolare la lettera agli Ebrei, la seconda e la terza lettera di Giovanni, l’Apocalisse di Giovanni, la seconda lettera di Pietro e le lettere di Giacomo e Giuda, vennero accettate più tardi, sempre comunque entro il secondo secolo d.C.
Analizzando gli scritti del Nuovo Testamento si evince che alcuni di essi sono caratterizzati da un substrato giudaico-cristiano, altri da una cultura ellenico-cristiana ed altri da influenze asiatico-cristiane (1).
Il substrato giudaico-cristiano è forte per esempio nel Vangelo di Matteo, la cui prima versione fu scritta probabilmente in aramaico o ebraico. La comunità cristiana di Gerusalemme era numerosa ed era guidata da Giacomo il Giusto, il fratello del Signore, (Galati 1, 19), che si rivolge così a Paolo prima che quest’ultimo sia fatto prigioniero (Atti, 21, 20):
A partire dalla seconda metà del primo secolo d.C., i cristiani che si riunivano in “ekklesia”, ossia che formavano un assemblea, erano soliti leggere anche le lettere che alcuni di loro spedivano alle varie comunità.
Da queste tradizioni orali e dalle letture delle prime lettere nacque a poco a poco la tradizione neo-testamentaria.
Per quale motivo però certi scritti sono stati accettati ed inclusi nel Nuovo Testamento ed altri no?
Gli scritti e le lettere venivano ovviamente posti al vaglio degli Apostoli e dei loro successori, di coloro quindi che avevano vissuto con Gesù, e che avevano ascoltato le sue parole, o di coloro i quali avevano conosciuto gli Apostoli.
Se questi scritti erano fedeli all’insegnamento del Signore e rispecchiavano il suo messaggio fondamentale di umiltà e il concetto del perdono di Dio a coloro che, pentendosi, credevano in lui, erano accettati.
Altri scritti, invece, dove si asseriva che si sarebbe potuto “raggiungere Dio”, attraverso la “conoscenza”, e non attraverso il pentimento dei propri peccati, vennero scartati, perché rispecchiavano correnti gnostiche.
Nella prima parte del secondo secolo d.C., incominciarono lentamente ad essere riconosciute come facenti parte del Canone le lettere di Paolo, il cosidetto Vangelo tetramorfo o quadriforme, (secondo l’espressione di Ireneo di Lione), il libro degli Atti, composto da Luca, discepolo di Paolo, la prima lettera di Giovanni e la prima lettera di Pietro. Gli altri libri del Nuovo Testamento, in particolare la lettera agli Ebrei, la seconda e la terza lettera di Giovanni, l’Apocalisse di Giovanni, la seconda lettera di Pietro e le lettere di Giacomo e Giuda, vennero accettate più tardi, sempre comunque entro il secondo secolo d.C.
Analizzando gli scritti del Nuovo Testamento si evince che alcuni di essi sono caratterizzati da un substrato giudaico-cristiano, altri da una cultura ellenico-cristiana ed altri da influenze asiatico-cristiane (1).
Il substrato giudaico-cristiano è forte per esempio nel Vangelo di Matteo, la cui prima versione fu scritta probabilmente in aramaico o ebraico. La comunità cristiana di Gerusalemme era numerosa ed era guidata da Giacomo il Giusto, il fratello del Signore, (Galati 1, 19), che si rivolge così a Paolo prima che quest’ultimo sia fatto prigioniero (Atti, 21, 20):
Vedi, o fratello, quante migliaia di Giudei hanno abbracciato la fede, e tutti sono osservatori zelanti della legge.
Da questo passaggio si evince che molti Giudei avevano realmente creduto in Gesù, come il Messia indicato nelle Sacre Scritture, e avevano riconosciuto in lui il Salvatore del mondo che è venuto con il fine di “togliere il peccato del mondo”.
Da altri scritti del Nuovo Testamento si evince un’acculturazione ellenico-cristiana, il cui principale autore è stato Paolo.
Paolo, che era un ebreo ellenizzato ed inoltre cittadino romano, aveva le basi linguistiche e culturali per diffondere la Buona Novella nel mondo greco, che era il centro culturale dell’impero.
Il centro della sua predicazione è stato principalmente la città di Corinto. La sua influenza ellenica si nota anche nel suo discepolo, Luca, autore del terzo Vangelo e degli Atti. Al centro di questa predicazione vi è l’uomo, con i suoi diffetti, con la sua presunzione e saccenza. Tutto ciò deve essere curato, sanato, e lo si potrà fare solo affidandosi al Salvatore, abbandonandosi a Dio.
Infine altri scritti del Nuovo Testamento rispecchiano influenze asiatiche (1), mistiche e spirituali. In questi scritti si nota il dualismo tra luce e tenebre, tra verità e falsità. In questi scritti Gesù è il Verbo di Dio, il pane della vita, la luce del mondo. E’ il substrato che favorirà l’ispirazione per alcune lettere di Paolo (quelle dalla prigionia) e del quarto Vangelo, quello di Giovanni.
Analizziamo ora l’origine dei singoli libri e delle lettere del Nuovo Testamento.
Dopo la morte e la Risurrezione del Signore, gli Apostoli e gli altri seguaci di Gesù iniziarono a diffondere i detti e gli atti di Gesù, tenendo presente però, le differenti culture ed esigenze di coloro che li ascoltavano.
Le Lettere ai Tessalonicesi, scritte da Paolo nel 50-51 d.C. sono i più antichi scritti del Nuovo Testamento. Furono scritte da Corinto, dopo circa due anni di predicazioni in suolo ellenico.
In seguito Paolo intraprese un viaggio a Efeso, da dove scrisse la Prima lettera ai Corinzi tra il 53 e il 57 d.C. (2). Eccone un passaggio: (11, 23-25):
Da altri scritti del Nuovo Testamento si evince un’acculturazione ellenico-cristiana, il cui principale autore è stato Paolo.
Paolo, che era un ebreo ellenizzato ed inoltre cittadino romano, aveva le basi linguistiche e culturali per diffondere la Buona Novella nel mondo greco, che era il centro culturale dell’impero.
Il centro della sua predicazione è stato principalmente la città di Corinto. La sua influenza ellenica si nota anche nel suo discepolo, Luca, autore del terzo Vangelo e degli Atti. Al centro di questa predicazione vi è l’uomo, con i suoi diffetti, con la sua presunzione e saccenza. Tutto ciò deve essere curato, sanato, e lo si potrà fare solo affidandosi al Salvatore, abbandonandosi a Dio.
Infine altri scritti del Nuovo Testamento rispecchiano influenze asiatiche (1), mistiche e spirituali. In questi scritti si nota il dualismo tra luce e tenebre, tra verità e falsità. In questi scritti Gesù è il Verbo di Dio, il pane della vita, la luce del mondo. E’ il substrato che favorirà l’ispirazione per alcune lettere di Paolo (quelle dalla prigionia) e del quarto Vangelo, quello di Giovanni.
Analizziamo ora l’origine dei singoli libri e delle lettere del Nuovo Testamento.
Dopo la morte e la Risurrezione del Signore, gli Apostoli e gli altri seguaci di Gesù iniziarono a diffondere i detti e gli atti di Gesù, tenendo presente però, le differenti culture ed esigenze di coloro che li ascoltavano.
Le Lettere ai Tessalonicesi, scritte da Paolo nel 50-51 d.C. sono i più antichi scritti del Nuovo Testamento. Furono scritte da Corinto, dopo circa due anni di predicazioni in suolo ellenico.
In seguito Paolo intraprese un viaggio a Efeso, da dove scrisse la Prima lettera ai Corinzi tra il 53 e il 57 d.C. (2). Eccone un passaggio: (11, 23-25):
Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me». Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me».
Da questi versi si evince che Paolo narra avvenimenti dell’ultima cena. La Prima lettera ai Corinzi fu inviata da Efeso alla comunità cristiana di Corinto.
Da Efeso Paolo scrisse pure ai cristiani della Galazia, una regione dell’Anatolia centrale. Anche la Lettera ai Galati è datata dal 53 al 57 d.C.
In questa lettera Paolo sottolinea che la salvezza è data solo per la fede in Gesù Cristo e non per l’osservanza delle leggi di Mosè (come per esempio la circoncisione). Eccone un passo (2, 19-21):
Da Efeso Paolo scrisse pure ai cristiani della Galazia, una regione dell’Anatolia centrale. Anche la Lettera ai Galati è datata dal 53 al 57 d.C.
In questa lettera Paolo sottolinea che la salvezza è data solo per la fede in Gesù Cristo e non per l’osservanza delle leggi di Mosè (come per esempio la circoncisione). Eccone un passo (2, 19-21):
In realtà mediante la Legge io sono morto alla Legge, affinché io viva per Dio. Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me. Dunque non rendo vana la grazia di Dio; infatti, se la giustificazione viene dalla Legge, Cristo è morto invano.
Paolo fu quindi costretto a fuggire da Efeso e, dalla Macedonia scrisse la Seconda lettera ai Corinzi databile al 57 d.C.
Quindi giunse a Corinto, dove scrisse la celebre Lettera ai Romani, nel 58 d.C.
In questa lettera Paolo affronta il tema della salvezza. Secondo Paolo è la fede in Gesù Cristo, seguita dal pentimento dei propri peccati e suggellata dal battesimo, che porta alla salvezza e quindi alla Vita Eterna.
Quindi Paolo ritornò a Gerusalemme dove fu imprigionato e quindi trasferito a Cesarea. Nel 60 d.C., approfittando della sua cittadinanza romana gli fu concesso di appellarsi all’imperatore e fu quindi trasferito a Roma dove rimase in domicilio coatto. Da Roma scrisse le Lettere ai Filippesi, Efesini, Colossesi e la Lettera a Filemone, dal 61 al 63 d.C.
Le sue Lettere a Timoteo e Tito furono scritte durante la sua ultima prigionia, a Roma, poco prima della sua morte, avvenuta possibilmente nel 67 d.C.
I tre Vangeli sinottici, quelli di Matteo, Marco e Luca, sono stati scritti sulla base di una fonte antica, ossia la tradizione orale apostolica sviluppatasi tra la Risurrezione del Signore e il 50 d.C. Prova di ciò è che nel più antico documento che contiene la lista dei libri del Nuovo Testamento, il Codice Muratoriano, risalente al 170 d.C. (3), si nomina il “Vangelo di Matteo, Marco e Luca”.
Una tradizione antica attribuisce all’Apostolo Matteo un primo Vangelo, scritto in aramaico o in ebraico intorno al 45 d.C. (4). Questa versione fu poi tradotta al greco. Marco, il discepolo di Pietro, scrisse il suo Vangelo sulla base della traduzione greca del testo originale in aramaico. Vi sono varie opinioni sulla datazione del Vangelo di Marco, ma la maggioranza degli studiosi è concorde nel ritenere che fu scritto poco dopo la morte di Pietro (64-67 d.C.) (5). Altri studiosi propongono datazioni più antiche intorno al 50 d.C. (6).
Il Vangelo secondo Matteo, tradizionalmente attribuito a Matteo, sarebbe pertanto stato scritto sia sulla base del Vangelo di Marco, sia sulla base della tradizione orale apostolica originatasi prima del 50 d.C. Si pensa sia stato scritto poco dopo il 70 d.C. (7).
Anche per il Vangelo secondo Luca, il discepolo di Paolo, sono state proposte delle datazioni intorno al 70 d.C. (8). Luca è stato anche l’autore degli Atti degli Apostoli. Dagli Atti si evince che Luca si avvicinò a Paolo a Troade (Atti, 16, 8) e lo accompagnò in vari suoi viaggi, visitando Filippi, Gerusalemme, Cesarea e Roma.
Una delle opere più significative del Nuovo Testamento è il quarto Vangelo, quello di Giovanni. Esso è il risultato della cosidetta “tradizione giovannea”, ossia dell’insieme delle tradizioni orali originatasi nell’ambito dei seguaci di Giovanni, il quale ha passato l’ultima parte della sua vita ad Efeso. Questa tradizione orale viene descritta come Vangelo dei segni. (9). E’ stato scritto possibilmente dal 90 d.C. al 100 d.C. (10).
Il Vangelo di Giovanni si caratterizza principalmente per descrivere la vera identità di Gesù Cristo.
Egli è descritto come come il “Verbo di Dio” (Prologo), Dio stesso, che si è incarnato in una persona umana. Molte delle affermazioni assolute di Gesù sono riportate nel quarto Vangelo, la cui principale è “Io Sono” (8, 24),(8, 58), che ricorda la celebre rivelazione di Dio a Mosè nel Sinai. (Es 3, 14).
Nel Nuovo Testamento vi sono poi alcune lettere che inizialmente non furono universalmente accettate, infatti non erano presenti nel Canone Muratoriano.
La prima di esse, la Lettera agli Ebrei, è tradizionalmente attribuita ad un discepolo di Paolo. Scritta da Roma, è stata datata intorno al 68 d.C. (11).
Altri scritti presenti nel Nuovo Testamento sono le cosidette “Lettere cattoliche” o “universali”. Questa denominazione è dovuta al fatto che non avevano, come quelle di Paolo, un destinatario preciso, ma erano rivolte a tutti i cristiani.
Vi è la “Lettera di Giacomo”, individuato come Giacomo il Giusto, capo della Chiesa di Gerusalemme e fratello del Signore (Galati 1, 19). Si pensa sia stata scritta dopo la morte di Giacomo il Giusto (nel 62 d.C.), da uno dei suoi discepoli.
Vi è poi la “Prima Lettera di Pietro”, attribuita possibilmente a Sila (Silvano) o Marco, entrambi discepoli di Pietro, e scritta intorno al 64 d.C. (12).
La “Seconda Lettera di Pietro”, è invece di difficile attribuzione. Per quanto riguarda la sua datazione alcuni studiosi sono concordi sul fatto che fu scritta prima del 90 d.C. (13)
Poi vi è la “Lettera di Giuda”, attribuita a Giuda, fratello di Giacomo (Lettera di Giuda 1,1), che è stata scritta possibilmente tra il 75 e l’80 d.C. (14).
Per quanto riguarda le Lettere Cattoliche vi sono infine le Lettere di Giovanni, attribuite all’apostolo ed evangelista o ai discepoli della sua cerchia.
La “Prima Lettera di Giovanni” è attribuita proprio a Giovanni ed è datata al 100 d.C. (15).
La “Seconda Lettera di Giovanni” e la “Terza lettera di Giovanni” sono attribuite a un discepolo di Giovanni (Giovanni presbitero) (16). Sono anch’esse datate al 100 d.C.
L’ultima opera che fa parte del Nuovo Testamento è l’Apocalisse di Giovanni. Una tradizione risalente ad alcuni eminenti cristiani del II secolo, come Ireneo, Giustino Martire, Clemente di Alessandria e Tertulliano attribuisce quest’opera a Giovanni apostolo ed evangelista. La descrizione di Cristo come Verbo (19, 13) e come Agnello (5, 6), avvalla questa ipotesi, coincidendo pienamente con il Vangelo di Giovanni. E’ stata scritta molto probabilmente nel 95 d.C. (17).
Analizziamo ora le fonti sulle quali si possono datare e analizzare gli scritti del Nuovo Testamento.
E’ vero che i manoscritti originali sono andati perduti, ma attualmente in vari musei e biblioteche del mondo sono presenti 127 antichi papiri (18) del Nuovo Testamento.
Il più antico papiro del Nuovo Testamento è il cosidetto Papiro 52, che contiene alcuni frammenti del Vangelo secondo Giovanni. (19). E’ stato datato al 125 d.C. (20), ed è conservato nella biblioteca Jhon Rylands (Manchester). Ve ne sono poi molti altri risalenti al II secolo, come il Papiro 4, contenente frammenti del Vangelo secondo Luca (21); il Papiro 75 (Papiro Bodmer), che contiene circa la metà del Vangelo di Luca e la metà del Vangelo di Giovanni (22); il Papiro 90, che contiene alcuni passi del Vangelo di Giovanni (23); il Papiro 98, contenente brani dell’Apocalisse di Giovanni (24), e il Papiro 104, contente frammenti del Vangelo di Matteo (25). Oltre a quelli citati che sono i più antichi ve ne sono altri 121 risalenti ai secoli successivi.
Vi sono poi numerose controprove della veridicità e accuratezza dei testi neo-testamentari. In particolare vi sono migliaia di citazioni del Nuovo Testamento nelle opere dei primi cristiani. Per esempio, 2400 citazioni di Clemente di Alessandria vengono dai libri del Nuovo Testamento, eccetto tre (26). Tertulliano cita il Nuovo Testamento ben 7000 volte (26). Secondo alcuni studiosi sarebbero ben 32.000 le citazioni del Nuovo Testamento di tutti gli autori cristiani prima del concilio di Nicea. (27). E queste citazioni concordano con i frammenti di papiri descritti nell’articolo.
Per concludere, analizziamo quali sono i più antichi testi del Nuovo Testamento, che sono stati utilizzati come fonti per successive traduzioni nel corso dei secoli.
Si possono dividere in tre rami fondamentali: l’occidentale, dal quale si è generata la traduzione detta “Vulgata”; l’alessandrino, che fu influenzato da correnti gnostiche ed è quindi ritenuto inaffidabile; il siriaco-bizantino, dal quale si è originato il Textus Receptus.
La fonte primaria del ramo “occidentale” del Nuovo Testamento è la Vetus Latina, una serie di testi che circolavano in latino, tradotti dal greco, già dal 200 d.C. Questi testi furono poi raccolti nel 382 d.C. da Sofronio Eusebio Girolamo, che portò a termine la sua traduzione detta Vulgata. Essa fu adottata dalla Chiesa Cattolica ed ebbe un’enorme influenza sull’intera civiltà occidentale.
Vi è poi il ramo “alessandrino” del Nuovo Testamento. Le due copie attualmente esistenti rappresentative di questo filone sono il Codice Vaticano, datato dal 300 al 325 d.C. (28), e il Codice Sinaitico, datato al 330 al 360 d.C. (29). Questi ultimi, sebbene siano i più antichi testi completi del Nuovo Testamento in nostro possesso, hanno subito numerose influenze gnostiche, derivate dalla scuola alessandrina.
Vi è poi il “testo tradizionale”, che deriva a sua volta da alcuni manoscritti bizantini come il Codice Alessandrino e il Codice Ephraemi (risalenti entrambi al quinto secolo d.C.). Alcuni studiosi, come William Burgon, sostengono che questi manoscritti abbiano un’origine più antica dei Codici Vaticano e Sinaitico (30). Un’altra fonte primaria del testo tradizionale, sarebbe la cosidetta “Peshitta”, la Bibbia tradotta dal greco al siriaco possibilmente intorno al 160-180 d.C. (31).
Dal testo tradizionale si è ottenuto il Textus Receptus, in seguito alla traduzione di Erasmo da Rotterdam nel 1516. Dal Textus Receptus poi si sono originate varie altre traduzioni, come la Reina-Valera del 1602 in spagnolo, la Giovanni Diodati del 1607 in italiano e la King James del 1611 un inglese.
Quindi giunse a Corinto, dove scrisse la celebre Lettera ai Romani, nel 58 d.C.
In questa lettera Paolo affronta il tema della salvezza. Secondo Paolo è la fede in Gesù Cristo, seguita dal pentimento dei propri peccati e suggellata dal battesimo, che porta alla salvezza e quindi alla Vita Eterna.
Quindi Paolo ritornò a Gerusalemme dove fu imprigionato e quindi trasferito a Cesarea. Nel 60 d.C., approfittando della sua cittadinanza romana gli fu concesso di appellarsi all’imperatore e fu quindi trasferito a Roma dove rimase in domicilio coatto. Da Roma scrisse le Lettere ai Filippesi, Efesini, Colossesi e la Lettera a Filemone, dal 61 al 63 d.C.
Le sue Lettere a Timoteo e Tito furono scritte durante la sua ultima prigionia, a Roma, poco prima della sua morte, avvenuta possibilmente nel 67 d.C.
I tre Vangeli sinottici, quelli di Matteo, Marco e Luca, sono stati scritti sulla base di una fonte antica, ossia la tradizione orale apostolica sviluppatasi tra la Risurrezione del Signore e il 50 d.C. Prova di ciò è che nel più antico documento che contiene la lista dei libri del Nuovo Testamento, il Codice Muratoriano, risalente al 170 d.C. (3), si nomina il “Vangelo di Matteo, Marco e Luca”.
Una tradizione antica attribuisce all’Apostolo Matteo un primo Vangelo, scritto in aramaico o in ebraico intorno al 45 d.C. (4). Questa versione fu poi tradotta al greco. Marco, il discepolo di Pietro, scrisse il suo Vangelo sulla base della traduzione greca del testo originale in aramaico. Vi sono varie opinioni sulla datazione del Vangelo di Marco, ma la maggioranza degli studiosi è concorde nel ritenere che fu scritto poco dopo la morte di Pietro (64-67 d.C.) (5). Altri studiosi propongono datazioni più antiche intorno al 50 d.C. (6).
Il Vangelo secondo Matteo, tradizionalmente attribuito a Matteo, sarebbe pertanto stato scritto sia sulla base del Vangelo di Marco, sia sulla base della tradizione orale apostolica originatasi prima del 50 d.C. Si pensa sia stato scritto poco dopo il 70 d.C. (7).
Anche per il Vangelo secondo Luca, il discepolo di Paolo, sono state proposte delle datazioni intorno al 70 d.C. (8). Luca è stato anche l’autore degli Atti degli Apostoli. Dagli Atti si evince che Luca si avvicinò a Paolo a Troade (Atti, 16, 8) e lo accompagnò in vari suoi viaggi, visitando Filippi, Gerusalemme, Cesarea e Roma.
Una delle opere più significative del Nuovo Testamento è il quarto Vangelo, quello di Giovanni. Esso è il risultato della cosidetta “tradizione giovannea”, ossia dell’insieme delle tradizioni orali originatasi nell’ambito dei seguaci di Giovanni, il quale ha passato l’ultima parte della sua vita ad Efeso. Questa tradizione orale viene descritta come Vangelo dei segni. (9). E’ stato scritto possibilmente dal 90 d.C. al 100 d.C. (10).
Il Vangelo di Giovanni si caratterizza principalmente per descrivere la vera identità di Gesù Cristo.
Egli è descritto come come il “Verbo di Dio” (Prologo), Dio stesso, che si è incarnato in una persona umana. Molte delle affermazioni assolute di Gesù sono riportate nel quarto Vangelo, la cui principale è “Io Sono” (8, 24),(8, 58), che ricorda la celebre rivelazione di Dio a Mosè nel Sinai. (Es 3, 14).
Nel Nuovo Testamento vi sono poi alcune lettere che inizialmente non furono universalmente accettate, infatti non erano presenti nel Canone Muratoriano.
La prima di esse, la Lettera agli Ebrei, è tradizionalmente attribuita ad un discepolo di Paolo. Scritta da Roma, è stata datata intorno al 68 d.C. (11).
Altri scritti presenti nel Nuovo Testamento sono le cosidette “Lettere cattoliche” o “universali”. Questa denominazione è dovuta al fatto che non avevano, come quelle di Paolo, un destinatario preciso, ma erano rivolte a tutti i cristiani.
Vi è la “Lettera di Giacomo”, individuato come Giacomo il Giusto, capo della Chiesa di Gerusalemme e fratello del Signore (Galati 1, 19). Si pensa sia stata scritta dopo la morte di Giacomo il Giusto (nel 62 d.C.), da uno dei suoi discepoli.
Vi è poi la “Prima Lettera di Pietro”, attribuita possibilmente a Sila (Silvano) o Marco, entrambi discepoli di Pietro, e scritta intorno al 64 d.C. (12).
La “Seconda Lettera di Pietro”, è invece di difficile attribuzione. Per quanto riguarda la sua datazione alcuni studiosi sono concordi sul fatto che fu scritta prima del 90 d.C. (13)
Poi vi è la “Lettera di Giuda”, attribuita a Giuda, fratello di Giacomo (Lettera di Giuda 1,1), che è stata scritta possibilmente tra il 75 e l’80 d.C. (14).
Per quanto riguarda le Lettere Cattoliche vi sono infine le Lettere di Giovanni, attribuite all’apostolo ed evangelista o ai discepoli della sua cerchia.
La “Prima Lettera di Giovanni” è attribuita proprio a Giovanni ed è datata al 100 d.C. (15).
La “Seconda Lettera di Giovanni” e la “Terza lettera di Giovanni” sono attribuite a un discepolo di Giovanni (Giovanni presbitero) (16). Sono anch’esse datate al 100 d.C.
L’ultima opera che fa parte del Nuovo Testamento è l’Apocalisse di Giovanni. Una tradizione risalente ad alcuni eminenti cristiani del II secolo, come Ireneo, Giustino Martire, Clemente di Alessandria e Tertulliano attribuisce quest’opera a Giovanni apostolo ed evangelista. La descrizione di Cristo come Verbo (19, 13) e come Agnello (5, 6), avvalla questa ipotesi, coincidendo pienamente con il Vangelo di Giovanni. E’ stata scritta molto probabilmente nel 95 d.C. (17).
Analizziamo ora le fonti sulle quali si possono datare e analizzare gli scritti del Nuovo Testamento.
E’ vero che i manoscritti originali sono andati perduti, ma attualmente in vari musei e biblioteche del mondo sono presenti 127 antichi papiri (18) del Nuovo Testamento.
Il più antico papiro del Nuovo Testamento è il cosidetto Papiro 52, che contiene alcuni frammenti del Vangelo secondo Giovanni. (19). E’ stato datato al 125 d.C. (20), ed è conservato nella biblioteca Jhon Rylands (Manchester). Ve ne sono poi molti altri risalenti al II secolo, come il Papiro 4, contenente frammenti del Vangelo secondo Luca (21); il Papiro 75 (Papiro Bodmer), che contiene circa la metà del Vangelo di Luca e la metà del Vangelo di Giovanni (22); il Papiro 90, che contiene alcuni passi del Vangelo di Giovanni (23); il Papiro 98, contenente brani dell’Apocalisse di Giovanni (24), e il Papiro 104, contente frammenti del Vangelo di Matteo (25). Oltre a quelli citati che sono i più antichi ve ne sono altri 121 risalenti ai secoli successivi.
Vi sono poi numerose controprove della veridicità e accuratezza dei testi neo-testamentari. In particolare vi sono migliaia di citazioni del Nuovo Testamento nelle opere dei primi cristiani. Per esempio, 2400 citazioni di Clemente di Alessandria vengono dai libri del Nuovo Testamento, eccetto tre (26). Tertulliano cita il Nuovo Testamento ben 7000 volte (26). Secondo alcuni studiosi sarebbero ben 32.000 le citazioni del Nuovo Testamento di tutti gli autori cristiani prima del concilio di Nicea. (27). E queste citazioni concordano con i frammenti di papiri descritti nell’articolo.
Per concludere, analizziamo quali sono i più antichi testi del Nuovo Testamento, che sono stati utilizzati come fonti per successive traduzioni nel corso dei secoli.
Si possono dividere in tre rami fondamentali: l’occidentale, dal quale si è generata la traduzione detta “Vulgata”; l’alessandrino, che fu influenzato da correnti gnostiche ed è quindi ritenuto inaffidabile; il siriaco-bizantino, dal quale si è originato il Textus Receptus.
La fonte primaria del ramo “occidentale” del Nuovo Testamento è la Vetus Latina, una serie di testi che circolavano in latino, tradotti dal greco, già dal 200 d.C. Questi testi furono poi raccolti nel 382 d.C. da Sofronio Eusebio Girolamo, che portò a termine la sua traduzione detta Vulgata. Essa fu adottata dalla Chiesa Cattolica ed ebbe un’enorme influenza sull’intera civiltà occidentale.
Vi è poi il ramo “alessandrino” del Nuovo Testamento. Le due copie attualmente esistenti rappresentative di questo filone sono il Codice Vaticano, datato dal 300 al 325 d.C. (28), e il Codice Sinaitico, datato al 330 al 360 d.C. (29). Questi ultimi, sebbene siano i più antichi testi completi del Nuovo Testamento in nostro possesso, hanno subito numerose influenze gnostiche, derivate dalla scuola alessandrina.
Vi è poi il “testo tradizionale”, che deriva a sua volta da alcuni manoscritti bizantini come il Codice Alessandrino e il Codice Ephraemi (risalenti entrambi al quinto secolo d.C.). Alcuni studiosi, come William Burgon, sostengono che questi manoscritti abbiano un’origine più antica dei Codici Vaticano e Sinaitico (30). Un’altra fonte primaria del testo tradizionale, sarebbe la cosidetta “Peshitta”, la Bibbia tradotta dal greco al siriaco possibilmente intorno al 160-180 d.C. (31).
Dal testo tradizionale si è ottenuto il Textus Receptus, in seguito alla traduzione di Erasmo da Rotterdam nel 1516. Dal Textus Receptus poi si sono originate varie altre traduzioni, come la Reina-Valera del 1602 in spagnolo, la Giovanni Diodati del 1607 in italiano e la King James del 1611 un inglese.
YURI LEVERATTO
Copyright 2015
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E’ possibile riprodurre questo articolo a patto che:
1-Sia riprodotto integralmente.
2-Non si alteri il titolo, alcuna parte di esso nè le fonti bibliografiche.
3-Si aggiunga in vista dopo il titolo e alla fine dell’articolo: opera di Yuri Leveratto.
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2-Non si alteri il titolo, alcuna parte di esso nè le fonti bibliografiche.
3-Si aggiunga in vista dopo il titolo e alla fine dell’articolo: opera di Yuri Leveratto.
Foto principale: Papiro 46
Note:
(1)Per “Asia”, i primi cristiani intendevano principalmente ciò che oggi è la Turchia.
(2)"The International Standard Bible Encyclopedia", Ed. James Orr, 1915
(3) Si considera che il “Canone Muratoriano” fu scritto nel 170 d.C. in quanto vi sono accenni a Pio I, che fu vescovo di Roma dal 142 al 157 d.C. --Muratori, Antiquitates Italicae Medii Aevii (Milan 1740), vol. III, pp 809–80. Located within Dissertatio XLIII (cols. 807-80), entitled 'De Literarum Statu., neglectu, & cultura in Italia post Barbaros in eam invectos usque ad Anum Christii Millesimum Centesimum', at cols. 851-56.
(4) Jean Carmignac, Nascita dei Vangeli sinottici, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano), 1986.
(5) Mary Healy,Peter Williamson, The Gospel of Mark, Baker Academic, 2008, pag. 20.
(6) Josè O'Callaghan, "¿Papirios neotestamentarios en la cueva 7 de Qumran?", Biblica 53 (1972)
(7) D. Moody Smith, "Matthew the evangelist", Encyclopedia of Religion, vol. 9, p. 5780.
(8) Matthew, Gospel acc. to St." Cross, F. L., ed. The Oxford Dictionary of the Christian church. New York: Oxford University Press. 2005
(9) D. Moody Smith, Johannine Christianity, p. 63.
(10) Secondo Piero Stefani, "La sua composizione è fatta risalire agli ultimissimi anni del I secolo", in Piero Stefani, La Bibbia, Il Mulino, 2004
(11) Secondo Bruce, la lettera è probabilmente stata scritta prima, o non molto dopo, la persecuzione a Roma nel 65, cfr. Frederick Fyvie Bruce, The Epistle to the Hebrews, 1990.
(12) Wayne A. Grudem, The First Epistle of Peter: an introduction and commentary, 1999.
(13) Bauckham, RJ (1983), World Bible Commentary, Vol. 50, Jude-2 Peter, Waco, p.158
(14) Michele Mazzeo, Lettere di Pietro, Lettera di Giuda, 2002.
(15) Bruno Maggioni, Introduzione all'Opera giovannea, in La Bibbia, Edizioni San Paolo, 2009
(16) Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Milano, Rizzoli, 2007
(17) Ireneo di Lione, Contro le eresie, 5.30.3.
(18) https://it.wikipedia.org/wiki/Papiri_del_Nuovo_Testamento
(19) Secondo alcuni studiosi il piú antico frammento di papiro ritrovato del Nuovo Testamento potrebbe essere il 7Q5 rinvenuto a Qumran, in Cisgiordania, che presenterebbe alcuni passi del Vangelo di Marco (6, 52, 53). Secondo l’analisi paleografica compiuta da alcuni studiosi fu scritto prima del 50 d.C. Attualmente peró, non c’é un consenso unamime tra gli studiosi, infatti alcuni sostengono che il 7Q5 non sia neo-testamentario ma vetero-testamentario. (vedere ipotesi O’Callaghan: https://it.wikipedia.org/wiki/Ipotesi_O%27Callaghan
(20) R. Alan Culpepper, John, the son of Zebedee: the life of a legend, Continuum International Publishing Group, 2000, ISBN 0-567-08742-5, p. 108
(21) https://it.wikipedia.org/wiki/Papiro_4
(22) https://it.wikipedia.org/wiki/Papiro_75
(23) https://it.wikipedia.org/wiki/Papiro_90
(24) Philip Comfort & David Barrett, The Text of the Earliest New Testament Greek Manuscripts, Tyndale House 2001, p. 629.
(25) https://it.wikipedia.org/wiki/Papiro_104
(26) Che parlino I primi cristiani, David Bercot.
(27)Josh McDowell, Evidence that Demands a Verdict, Here’s Life Publisher, Inc, 1972, pp.50, 52
(28)Bruce M. Metzger, Bart D. Ehrman, "The Text of the New Testament: Its Transmission, Corruption and Restoration", Oxford University Press (New York – Oxford, 2005), p. 68.
(29) https://en.wikipedia.org/wiki/Codex_Sinaiticus
(30) Edward Miller, A Guide to the Textual Criticism of the New Testament (The Dean Burgon Society Press: 2003), pp. 30-37. 57-59.
(31)Da Historia Ecclesiastica, IV, xxii: Eusebius wrote in his Ecclesiastic History that Hegesippus "made some quotations from the Gospel according to the Hebrews and from the Syriac Gospel". This quotation should give a reference to a Syriac New Testament as early as 160–180 AD.
(2)"The International Standard Bible Encyclopedia", Ed. James Orr, 1915
(3) Si considera che il “Canone Muratoriano” fu scritto nel 170 d.C. in quanto vi sono accenni a Pio I, che fu vescovo di Roma dal 142 al 157 d.C. --Muratori, Antiquitates Italicae Medii Aevii (Milan 1740), vol. III, pp 809–80. Located within Dissertatio XLIII (cols. 807-80), entitled 'De Literarum Statu., neglectu, & cultura in Italia post Barbaros in eam invectos usque ad Anum Christii Millesimum Centesimum', at cols. 851-56.
(4) Jean Carmignac, Nascita dei Vangeli sinottici, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano), 1986.
(5) Mary Healy,Peter Williamson, The Gospel of Mark, Baker Academic, 2008, pag. 20.
(6) Josè O'Callaghan, "¿Papirios neotestamentarios en la cueva 7 de Qumran?", Biblica 53 (1972)
(7) D. Moody Smith, "Matthew the evangelist", Encyclopedia of Religion, vol. 9, p. 5780.
(8) Matthew, Gospel acc. to St." Cross, F. L., ed. The Oxford Dictionary of the Christian church. New York: Oxford University Press. 2005
(9) D. Moody Smith, Johannine Christianity, p. 63.
(10) Secondo Piero Stefani, "La sua composizione è fatta risalire agli ultimissimi anni del I secolo", in Piero Stefani, La Bibbia, Il Mulino, 2004
(11) Secondo Bruce, la lettera è probabilmente stata scritta prima, o non molto dopo, la persecuzione a Roma nel 65, cfr. Frederick Fyvie Bruce, The Epistle to the Hebrews, 1990.
(12) Wayne A. Grudem, The First Epistle of Peter: an introduction and commentary, 1999.
(13) Bauckham, RJ (1983), World Bible Commentary, Vol. 50, Jude-2 Peter, Waco, p.158
(14) Michele Mazzeo, Lettere di Pietro, Lettera di Giuda, 2002.
(15) Bruno Maggioni, Introduzione all'Opera giovannea, in La Bibbia, Edizioni San Paolo, 2009
(16) Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Milano, Rizzoli, 2007
(17) Ireneo di Lione, Contro le eresie, 5.30.3.
(18) https://it.wikipedia.org/wiki/Papiri_del_Nuovo_Testamento
(19) Secondo alcuni studiosi il piú antico frammento di papiro ritrovato del Nuovo Testamento potrebbe essere il 7Q5 rinvenuto a Qumran, in Cisgiordania, che presenterebbe alcuni passi del Vangelo di Marco (6, 52, 53). Secondo l’analisi paleografica compiuta da alcuni studiosi fu scritto prima del 50 d.C. Attualmente peró, non c’é un consenso unamime tra gli studiosi, infatti alcuni sostengono che il 7Q5 non sia neo-testamentario ma vetero-testamentario. (vedere ipotesi O’Callaghan: https://it.wikipedia.org/wiki/Ipotesi_O%27Callaghan
(20) R. Alan Culpepper, John, the son of Zebedee: the life of a legend, Continuum International Publishing Group, 2000, ISBN 0-567-08742-5, p. 108
(21) https://it.wikipedia.org/wiki/Papiro_4
(22) https://it.wikipedia.org/wiki/Papiro_75
(23) https://it.wikipedia.org/wiki/Papiro_90
(24) Philip Comfort & David Barrett, The Text of the Earliest New Testament Greek Manuscripts, Tyndale House 2001, p. 629.
(25) https://it.wikipedia.org/wiki/Papiro_104
(26) Che parlino I primi cristiani, David Bercot.
(27)Josh McDowell, Evidence that Demands a Verdict, Here’s Life Publisher, Inc, 1972, pp.50, 52
(28)Bruce M. Metzger, Bart D. Ehrman, "The Text of the New Testament: Its Transmission, Corruption and Restoration", Oxford University Press (New York – Oxford, 2005), p. 68.
(29) https://en.wikipedia.org/wiki/Codex_Sinaiticus
(30) Edward Miller, A Guide to the Textual Criticism of the New Testament (The Dean Burgon Society Press: 2003), pp. 30-37. 57-59.
(31)Da Historia Ecclesiastica, IV, xxii: Eusebius wrote in his Ecclesiastic History that Hegesippus "made some quotations from the Gospel according to the Hebrews and from the Syriac Gospel". This quotation should give a reference to a Syriac New Testament as early as 160–180 AD.