martedì 28 luglio 2015

Storicità del Nuovo Testamento


Il Nuovo Testamento è la raccolta dei ventisette libri che stanno alla base della fede cristiana. Il soggetto principale di questi libri è Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo allo stesso tempo, vissuto in Israele durante il tempo della dominazione romana, essendo imperatore Tiberio.
Il messaggio centrale dei libri del Nuovo Testamento (detto kerygma), è la vera identità di Gesù e la sua missione sulla terra.
La vera identità di Gesù su evince da moltissimi suoi detti, dalle sue opere, e dalla sua Risurrezione.
La sua missione principale sulla terra è stata quella “togliere il peccato del mondo” (Giovanni, 1, 29), e di completare le antiche scritture donando all’umanità la possibilità di riscattarsi. Il Verbo di Dio, dunque, si è incarnato in un essere umano, ed è “venuto tra noi” (Giovanni 1, 11).
Secondo la credenza cristiana pertanto, Dio non perdona i peccati “dall’alto”, ma pagando lui stesso. Dio non ha delegato ad una sua “creatura” la sofferenza sulla croce. Dio stesso era sulla croce, dandoci il massimo esempio di umiltà, perché amava talmente l’uomo che si è sacrificato per lui, caricando su di sé tutti i peccati del mondo e rendendoci così liberi. Solo Dio inoltre, essere infinito, poteva pagare con il suo sangue per tutti i peccati del mondo. A tale proposito ecco un passaggio della Lettera agli Ebrei (7, 26-27):

A noi occorreva infatti un tale sacerdote: santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori, innalzato più in alto dei cieli. Il quale non ha bisogno, tutti i giorni, di offrire vittime per i propri peccati, poi per quelli del popolo, come i sommi sacerdoti, perché questo egli ha fatto una volta per tutte offrendo se stesso.

Il messaggio centrale delle predicazioni di Gesù Cristo è stata la “buona novella” in greco euaggelion. Il senso della “buona novella” è che il Salvatore del mondo è arrivato, e con il suo sacrificio sulla croce ha “tolto il peccato del mondo”.
Chi crede in lui e si pente dei propri peccati è “salvo”, in quanto i suoi peccati sono stati “lavati” dal sangue di Cristo. Il suo sacrificio è stato sufficente a togliere il peccato del mondo e la sua Risurrezione è stata la certificazione della sua vittoria finale sul peccato e sulla morte. Chi crede in lui pertanto è già libero, e avrà vita eterna, se permarrà in lui fino alla fine.
Oltre al messaggio centrale, il “kerygma”, vi sono nei libri del Nuovo Testamento una serie di insegnamenti morali e pratici, detti “parenesi”, che i seguaci di Gesù devono seguire per raggiungere la salvezza.
Il “kerygma” si può denifinire come “fede in Gesù Cristo, il Figlio di Dio”, mentre la “parenesi” si può riassumere nella “carità”, ovvero nei comportamenti e nelle opere.
Oltre a ciò nel Nuovo Testamento vi è un messaggio escatologico, ossia riferito alla fine dei tempi. In esso si evince il concetto di speranza.
Ecco delineati i tre pilastri del vivere cristiano: fede, carità e speranza.
Quando sono stati scritti i libri del Nuovo Testamento? Perché sono stati accettati dai primi cristiani del periodo pre-costantiniano? Perché invece altri scritti non sono stati ammessi al Canone?
Innanzitutto analizziamo il nome “Testamento”. Da cosa deriva?
L’antica alleanza stipulata tra Dio e Mosè veniva chiamata “berit” cioè “patto”. Quando la Bibbia fu tradotta per la prima volta al greco nel III secolo a.C. ad Alessandria d’Egitto, il vocabolo “berit” fu tradotto inizialmente con “syntheke”, ma poi con il termine “diatheke”, ossia “deliberazione definitiva”, come le decisioni che si prendono in un testamento. I cristiani di lingua latina poi, tradussero “diatheke” con “testamentum”. Questa parola si trova negli scritti di Tertulliano, un apologeta cristiano, risalenti al 200 d.C. A tale proposito vediamo un altro passaggio della Lettera agli Ebrei (9, 15-17):

Perciò egli è il mediatore dell’alleanza nuova, affinché essendo intervenuta una morte in redenzione delle trasgressioni commesse sotto la prima alleanza, i chiamati ricevessero la promessa dell’eredità eterna. Ove infatti vi è un testamento, è necessario che venga denunziata la morte del testatore, perché il testamento è valido solo in caso di morte, dal momento che non ha nessuna forza finché è in vita il testatore.

Ovviamente dopo la morte e la Risurrezione del Salvatore i primi cristiani continuarono a considerare sacre le scritture, ossia l’insieme di libri che noi denominiamo “Antico Testamento”, ma oltre a ciò iniziarono a divulgare oralmente i fatti della “buona novella”.
A partire dalla seconda metà del primo secolo d.C., i cristiani che si riunivano in “ekklesia”, ossia che formavano un assemblea, erano soliti leggere anche le lettere che alcuni di loro spedivano alle varie comunità.
Da queste tradizioni orali e dalle letture delle prime lettere nacque a poco a poco la tradizione neo-testamentaria.
Per quale motivo però certi scritti sono stati accettati ed inclusi nel Nuovo Testamento ed altri no?
Gli scritti e le lettere venivano ovviamente posti al vaglio degli Apostoli e dei loro successori, di coloro quindi che avevano vissuto con Gesù, e che avevano ascoltato le sue parole, o di coloro i quali avevano conosciuto gli Apostoli.
Se questi scritti erano fedeli all’insegnamento del Signore e rispecchiavano il suo messaggio fondamentale di umiltà e il concetto del perdono di Dio a coloro che, pentendosi, credevano in lui, erano accettati.
Altri scritti, invece, dove si asseriva che si sarebbe potuto “raggiungere Dio”, attraverso la “conoscenza”, e non attraverso il pentimento dei propri peccati, vennero scartati, perché rispecchiavano correnti gnostiche.
Nella prima parte del secondo secolo d.C., incominciarono lentamente ad essere riconosciute come facenti parte del Canone le lettere di Paolo, il cosidetto Vangelo tetramorfo o quadriforme, (secondo l’espressione di Ireneo di Lione), il libro degli Atti, composto da Luca, discepolo di Paolo, la prima lettera di Giovanni e la prima lettera di Pietro. Gli altri libri del Nuovo Testamento, in particolare la lettera agli Ebrei, la seconda e la terza lettera di Giovanni, l’Apocalisse di Giovanni, la seconda lettera di Pietro e le lettere di Giacomo e Giuda, vennero accettate più tardi, sempre comunque entro il secondo secolo d.C.
Analizzando gli scritti del Nuovo Testamento si evince che alcuni di essi sono caratterizzati da un substrato giudaico-cristiano, altri da una cultura ellenico-cristiana ed altri da influenze asiatico-cristiane (1).
Il substrato giudaico-cristiano è forte per esempio nel Vangelo di Matteo, la cui prima versione fu scritta probabilmente in aramaico o ebraico. La comunità cristiana di Gerusalemme era numerosa ed era guidata da Giacomo il Giusto, il fratello del Signore, (Galati 1, 19), che si rivolge così a Paolo prima che quest’ultimo sia fatto prigioniero (Atti, 21, 20):

Vedi, o fratello, quante migliaia di Giudei hanno abbracciato la fede, e tutti sono osservatori zelanti della legge.

Da questo passaggio si evince che molti Giudei avevano realmente creduto in Gesù, come il Messia indicato nelle Sacre Scritture, e avevano riconosciuto in lui il Salvatore del mondo che è venuto con il fine di “togliere il peccato del mondo”.
Da altri scritti del Nuovo Testamento si evince un’acculturazione ellenico-cristiana, il cui principale autore è stato Paolo.
Paolo, che era un ebreo ellenizzato ed inoltre cittadino romano, aveva le basi linguistiche e culturali per diffondere la Buona Novella nel mondo greco, che era il centro culturale dell’impero.
Il centro della sua predicazione è stato principalmente la città di Corinto. La sua influenza ellenica si nota anche nel suo discepolo, Luca, autore del terzo Vangelo e degli Atti. Al centro di questa predicazione vi è l’uomo, con i suoi diffetti, con la sua presunzione e saccenza. Tutto ciò deve essere curato, sanato, e lo si potrà fare solo affidandosi al Salvatore, abbandonandosi a Dio.
Infine altri scritti del Nuovo Testamento rispecchiano influenze asiatiche (1), mistiche e spirituali. In questi scritti si nota il dualismo tra luce e tenebre, tra verità e falsità. In questi scritti Gesù è il Verbo di Dio, il pane della vita, la luce del mondo. E’ il substrato che favorirà l’ispirazione per alcune lettere di Paolo (quelle dalla prigionia) e del quarto Vangelo, quello di Giovanni.
Analizziamo ora l’origine dei singoli libri e delle lettere del Nuovo Testamento.
Dopo la morte e la Risurrezione del Signore, gli Apostoli e gli altri seguaci di Gesù iniziarono a diffondere i detti e gli atti di Gesù, tenendo presente però, le differenti culture ed esigenze di coloro che li ascoltavano.
Le Lettere ai Tessalonicesi, scritte da Paolo nel 50-51 d.C. sono i più antichi scritti del Nuovo Testamento. Furono scritte da Corinto, dopo circa due anni di predicazioni in suolo ellenico.
In seguito Paolo intraprese un viaggio a Efeso, da dove scrisse la Prima lettera ai Corinzi tra il 53 e il 57 d.C. (2). Eccone un passaggio: (11, 23-25):

Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me». Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me».

Da questi versi si evince che Paolo narra avvenimenti dell’ultima cena. La Prima lettera ai Corinzi fu inviata da Efeso alla comunità cristiana di Corinto.
Da Efeso Paolo scrisse pure ai cristiani della Galazia, una regione dell’Anatolia centrale. Anche la Lettera ai Galati è datata dal 53 al 57 d.C.
In questa lettera Paolo sottolinea che la salvezza è data solo per la fede in Gesù Cristo e non per l’osservanza delle leggi di Mosè (come per esempio la circoncisione). Eccone un passo (2, 19-21):

In realtà mediante la Legge io sono morto alla Legge, affinché io viva per Dio. Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me. Dunque non rendo vana la grazia di Dio; infatti, se la giustificazione viene dalla Legge, Cristo è morto invano.

Paolo fu quindi costretto a fuggire da Efeso e, dalla Macedonia scrisse la Seconda lettera ai Corinzi databile al 57 d.C.
Quindi giunse a Corinto, dove scrisse la celebre Lettera ai Romani, nel 58 d.C.
In questa lettera Paolo affronta il tema della salvezza. Secondo Paolo è la fede in Gesù Cristo, seguita dal pentimento dei propri peccati e suggellata dal battesimo, che porta alla salvezza e quindi alla Vita Eterna.
Quindi Paolo ritornò a Gerusalemme dove fu imprigionato e quindi trasferito a Cesarea. Nel 60 d.C., approfittando della sua cittadinanza romana gli fu concesso di appellarsi all’imperatore e fu quindi trasferito a Roma dove rimase in domicilio coatto. Da Roma scrisse le Lettere ai Filippesi, Efesini, Colossesi e la Lettera a Filemone, dal 61 al 63 d.C.
Le sue Lettere a Timoteo e Tito furono scritte durante la sua ultima prigionia, a Roma, poco prima della sua morte, avvenuta possibilmente nel 67 d.C.
I tre Vangeli sinottici, quelli di Matteo, Marco e Luca, sono stati scritti sulla base di una fonte antica, ossia la tradizione orale apostolica sviluppatasi tra la Risurrezione del Signore e il 50 d.C. Prova di ciò è che nel più antico documento che contiene la lista dei libri del Nuovo Testamento, il Codice Muratoriano, risalente al 170 d.C. (3), si nomina il “Vangelo di Matteo, Marco e Luca”.
Una tradizione antica attribuisce all’Apostolo Matteo un primo Vangelo, scritto in aramaico o in ebraico intorno al 45 d.C. (4). Questa versione fu poi tradotta al greco. Marco, il discepolo di Pietro, scrisse il suo Vangelo sulla base della traduzione greca del testo originale in aramaico. Vi sono varie opinioni sulla datazione del Vangelo di Marco, ma la maggioranza degli studiosi è concorde nel ritenere che fu scritto poco dopo la morte di Pietro (64-67 d.C.) (5). Altri studiosi propongono datazioni più antiche intorno al 50 d.C. (6).
Il Vangelo secondo Matteo, tradizionalmente attribuito a Matteo, sarebbe pertanto stato scritto sia sulla base del Vangelo di Marco, sia sulla base della tradizione orale apostolica originatasi prima del 50 d.C. Si pensa sia stato scritto poco dopo il 70 d.C. (7).
Anche per il Vangelo secondo Luca, il discepolo di Paolo, sono state proposte delle datazioni intorno al 70 d.C. (8). Luca è stato anche l’autore degli Atti degli Apostoli. Dagli Atti si evince che Luca si avvicinò a Paolo a Troade (Atti, 16, 8) e lo accompagnò in vari suoi viaggi, visitando Filippi, Gerusalemme, Cesarea e Roma.
Una delle opere più significative del Nuovo Testamento è il quarto Vangelo, quello di Giovanni. Esso è il risultato della cosidetta “tradizione giovannea”, ossia dell’insieme delle tradizioni orali originatasi nell’ambito dei seguaci di Giovanni, il quale ha passato l’ultima parte della sua vita ad Efeso. Questa tradizione orale viene descritta come Vangelo dei segni. (9). E’ stato scritto possibilmente dal 90 d.C. al 100 d.C. (10).
Il Vangelo di Giovanni si caratterizza principalmente per descrivere la vera identità di Gesù Cristo.
Egli è descritto come come il “Verbo di Dio” (Prologo), Dio stesso, che si è incarnato in una persona umana. Molte delle affermazioni assolute di Gesù sono riportate nel quarto Vangelo, la cui principale è “Io Sono” (8, 24),(8, 58), che ricorda la celebre rivelazione di Dio a Mosè nel Sinai. (Es 3, 14).
Nel Nuovo Testamento vi sono poi alcune lettere che inizialmente non furono universalmente accettate, infatti non erano presenti nel Canone Muratoriano.
La prima di esse, la Lettera agli Ebrei, è tradizionalmente attribuita ad un discepolo di Paolo. Scritta da Roma, è stata datata intorno al 68 d.C. (11).
Altri scritti presenti nel Nuovo Testamento sono le cosidette “Lettere cattoliche” o “universali”. Questa denominazione è dovuta al fatto che non avevano, come quelle di Paolo, un destinatario preciso, ma erano rivolte a tutti i cristiani.
Vi è la “Lettera di Giacomo”, individuato come Giacomo il Giusto, capo della Chiesa di Gerusalemme e fratello del Signore (Galati 1, 19). Si pensa sia stata scritta dopo la morte di Giacomo il Giusto (nel 62 d.C.), da uno dei suoi discepoli.
Vi è poi la “Prima Lettera di Pietro”, attribuita possibilmente a Sila (Silvano) o Marco, entrambi discepoli di Pietro, e scritta intorno al 64 d.C. (12).
La “Seconda Lettera di Pietro”, è invece di difficile attribuzione. Per quanto riguarda la sua datazione alcuni studiosi sono concordi sul fatto che fu scritta prima del 90 d.C. (13)
Poi vi è la “Lettera di Giuda”, attribuita a Giuda, fratello di Giacomo (Lettera di Giuda 1,1), che è stata scritta possibilmente tra il 75 e l’80 d.C. (14).
Per quanto riguarda le Lettere Cattoliche vi sono infine le Lettere di Giovanni, attribuite all’apostolo ed evangelista o ai discepoli della sua cerchia.
La “Prima Lettera di Giovanni” è attribuita proprio a Giovanni ed è datata al 100 d.C. (15).
La “Seconda Lettera di Giovanni” e la “Terza lettera di Giovanni” sono attribuite a un discepolo di Giovanni (Giovanni presbitero) (16). Sono anch’esse datate al 100 d.C.
L’ultima opera che fa parte del Nuovo Testamento è l’Apocalisse di Giovanni. Una tradizione risalente ad alcuni eminenti cristiani del II secolo, come Ireneo, Giustino Martire, Clemente di Alessandria e Tertulliano attribuisce quest’opera a Giovanni apostolo ed evangelista. La descrizione di Cristo come Verbo (19, 13) e come Agnello (5, 6), avvalla questa ipotesi, coincidendo pienamente con il Vangelo di Giovanni. E’ stata scritta molto probabilmente nel 95 d.C. (17).
Analizziamo ora le fonti sulle quali si possono datare e analizzare gli scritti del Nuovo Testamento.
E’ vero che i manoscritti originali sono andati perduti, ma attualmente in vari musei e biblioteche del mondo sono presenti 127 antichi papiri (18) del Nuovo Testamento.
Il più antico papiro del Nuovo Testamento è il cosidetto Papiro 52, che contiene alcuni frammenti del Vangelo secondo Giovanni. (19). E’ stato datato al 125 d.C. (20), ed è conservato nella biblioteca Jhon Rylands (Manchester). Ve ne sono poi molti altri risalenti al II secolo, come il Papiro 4, contenente frammenti del Vangelo secondo Luca (21); il Papiro 75 (Papiro Bodmer), che contiene circa la metà del Vangelo di Luca e la metà del Vangelo di Giovanni (22); il Papiro 90, che contiene alcuni passi del Vangelo di Giovanni (23); il Papiro 98, contenente brani dell’Apocalisse di Giovanni (24), e il Papiro 104, contente frammenti del Vangelo di Matteo (25). Oltre a quelli citati che sono i più antichi ve ne sono altri 121 risalenti ai secoli successivi.
Vi sono poi numerose controprove della veridicità e accuratezza dei testi neo-testamentari. In particolare vi sono migliaia di citazioni del Nuovo Testamento nelle opere dei primi cristiani. Per esempio, 2400 citazioni di Clemente di Alessandria vengono dai libri del Nuovo Testamento, eccetto tre (26). Tertulliano cita il Nuovo Testamento ben 7000 volte (26). Secondo alcuni studiosi sarebbero ben 32.000 le citazioni del Nuovo Testamento di tutti gli autori cristiani prima del concilio di Nicea. (27). E queste citazioni concordano con i frammenti di papiri descritti nell’articolo.
Per concludere, analizziamo quali sono i più antichi testi del Nuovo Testamento, che sono stati utilizzati come fonti per successive traduzioni nel corso dei secoli.
Si possono dividere in tre rami fondamentali: l’occidentale, dal quale si è generata la traduzione detta “Vulgata”; l’alessandrino, che fu influenzato da correnti gnostiche ed è quindi ritenuto inaffidabile; il siriaco-bizantino, dal quale si è originato il Textus Receptus.
La fonte primaria del ramo “occidentale” del Nuovo Testamento è la Vetus Latina, una serie di testi che circolavano in latino, tradotti dal greco, già dal 200 d.C. Questi testi furono poi raccolti nel 382 d.C. da Sofronio Eusebio Girolamo, che portò a termine la sua traduzione detta Vulgata. Essa fu adottata dalla Chiesa Cattolica ed ebbe un’enorme influenza sull’intera civiltà occidentale.
Vi è poi il ramo “alessandrino” del Nuovo Testamento. Le due copie attualmente esistenti rappresentative di questo filone sono il Codice Vaticano, datato dal 300 al 325 d.C. (28), e il Codice Sinaitico, datato al 330 al 360 d.C. (29). Questi ultimi, sebbene siano i più antichi testi completi del Nuovo Testamento in nostro possesso, hanno subito numerose influenze gnostiche, derivate dalla scuola alessandrina.
Vi è poi il “testo tradizionale”, che deriva a sua volta da alcuni manoscritti bizantini come il Codice Alessandrino e il Codice Ephraemi (risalenti entrambi al quinto secolo d.C.). Alcuni studiosi, come William Burgon, sostengono che questi manoscritti abbiano un’origine più antica dei Codici Vaticano e Sinaitico (30). Un’altra fonte primaria del testo tradizionale, sarebbe la cosidetta “Peshitta”, la Bibbia tradotta dal greco al siriaco possibilmente intorno al 160-180 d.C. (31).
Dal testo tradizionale si è ottenuto il Textus Receptus, in seguito alla traduzione di Erasmo da Rotterdam nel 1516. Dal Textus Receptus poi si sono originate varie altre traduzioni, come la Reina-Valera del 1602 in spagnolo, la Giovanni Diodati del 1607 in italiano e la King James del 1611 un inglese.

YURI LEVERATTO
Copyright 2015

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1-Sia riprodotto integralmente.
2-Non si alteri il titolo, alcuna parte di esso nè le fonti bibliografiche.
3-Si aggiunga in vista dopo il titolo e alla fine dell’articolo: opera di Yuri Leveratto.

Foto principale: Papiro 46

Note:
(1)Per “Asia”, i primi cristiani intendevano principalmente ciò che oggi è la Turchia.
(2)"The International Standard Bible Encyclopedia", Ed. James Orr, 1915
(3) Si considera che il “Canone Muratoriano” fu scritto nel 170 d.C. in quanto vi sono accenni a Pio I, che fu vescovo di Roma dal 142 al 157 d.C. --Muratori, Antiquitates Italicae Medii Aevii (Milan 1740), vol. III, pp 809–80. Located within Dissertatio XLIII (cols. 807-80), entitled 'De Literarum Statu., neglectu, & cultura in Italia post Barbaros in eam invectos usque ad Anum Christii Millesimum Centesimum', at cols. 851-56.
(4) Jean Carmignac, Nascita dei Vangeli sinottici, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano), 1986.
(5) Mary Healy,Peter Williamson, The Gospel of Mark, Baker Academic, 2008, pag. 20.
(6) Josè O'Callaghan, "¿Papirios neotestamentarios en la cueva 7 de Qumran?", Biblica 53 (1972)
(7) D. Moody Smith, "Matthew the evangelist", Encyclopedia of Religion, vol. 9, p. 5780.
(8) Matthew, Gospel acc. to St." Cross, F. L., ed. The Oxford Dictionary of the Christian church. New York: Oxford University Press. 2005
(9) D. Moody Smith, Johannine Christianity, p. 63.
(10) Secondo Piero Stefani, "La sua composizione è fatta risalire agli ultimissimi anni del I secolo", in Piero Stefani, La Bibbia, Il Mulino, 2004
(11) Secondo Bruce, la lettera è probabilmente stata scritta prima, o non molto dopo, la persecuzione a Roma nel 65, cfr. Frederick Fyvie Bruce, The Epistle to the Hebrews, 1990.
(12) Wayne A. Grudem, The First Epistle of Peter: an introduction and commentary, 1999.
(13) Bauckham, RJ (1983), World Bible Commentary, Vol. 50, Jude-2 Peter, Waco, p.158
(14) Michele Mazzeo, Lettere di Pietro, Lettera di Giuda, 2002.
(15) Bruno Maggioni, Introduzione all'Opera giovannea, in La Bibbia, Edizioni San Paolo, 2009
(16) Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Milano, Rizzoli, 2007
(17) Ireneo di Lione, Contro le eresie, 5.30.3.
(18) https://it.wikipedia.org/wiki/Papiri_del_Nuovo_Testamento
(19) Secondo alcuni studiosi il piú antico frammento di papiro ritrovato del Nuovo Testamento potrebbe essere il 7Q5 rinvenuto a Qumran, in Cisgiordania, che presenterebbe alcuni passi del Vangelo di Marco (6, 52, 53). Secondo l’analisi paleografica compiuta da alcuni studiosi fu scritto prima del 50 d.C. Attualmente peró, non c’é un consenso unamime tra gli studiosi, infatti alcuni sostengono che il 7Q5 non sia neo-testamentario ma vetero-testamentario. (vedere ipotesi O’Callaghan: https://it.wikipedia.org/wiki/Ipotesi_O%27Callaghan
(20) R. Alan Culpepper, John, the son of Zebedee: the life of a legend, Continuum International Publishing Group, 2000, ISBN 0-567-08742-5, p. 108
(21) https://it.wikipedia.org/wiki/Papiro_4
(22) https://it.wikipedia.org/wiki/Papiro_75
(23) https://it.wikipedia.org/wiki/Papiro_90
(24) Philip Comfort & David Barrett, The Text of the Earliest New Testament Greek Manuscripts, Tyndale House 2001, p. 629.
(25) https://it.wikipedia.org/wiki/Papiro_104
(26) Che parlino I primi cristiani, David Bercot.
(27)Josh McDowell, Evidence that Demands a Verdict, Here’s Life Publisher, Inc, 1972, pp.50, 52
(28)Bruce M. Metzger, Bart D. Ehrman, "The Text of the New Testament: Its Transmission, Corruption and Restoration", Oxford University Press (New York – Oxford, 2005), p. 68.
(29) https://en.wikipedia.org/wiki/Codex_Sinaiticus
(30) Edward Miller, A Guide to the Textual Criticism of the New Testament (The Dean Burgon Society Press: 2003), pp. 30-37. 57-59.
(31)Da Historia Ecclesiastica, IV, xxii: Eusebius wrote in his Ecclesiastic History that Hegesippus "made some quotations from the Gospel according to the Hebrews and from the Syriac Gospel". This quotation should give a reference to a Syriac New Testament as early as 160–180 AD.

venerdì 24 luglio 2015

La vera identità di Gesù Cristo


Poche persone dubitano dell’esistenza storica di Gesù Cristo. Molti però lo definiscono un “grande profeta di Dio”, un “uomo saggio”, un “riformatore del giudaismo”, o addirittura “l’uomo più saggio che abbia mai vissuto”. 
Alcune religioni, inoltre, lo considerano un “grande profeta”, un “inviato da Dio”, o un “messaggero di Dio”.
Queste definizioni, però, sono in contraddizione con i libri del Nuovo Testamento, che sono i piu antichi testi che descrivono la vita e le opere di Gesù Cristo e dei suoi seguaci, gli Apostoli, e che sono stati scritti prima del 100 d.C.
Quindi per appofondire il tema della vera identità di Gesù Cristo, dobbiamo studiare i testi del Nuovo Testamento, che sono stati scritti da coloro i quali hanno vissuto con Gesù, o da coloro i quali hanno ricevuto un insegnamento diretto dagli Apostoli.
Innanzitutto analizziamo il Prologo del Vangelo di Giovanni (1, 1-5):

In principio era il Verbo
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Questi era in principio presso Dio.
Tutto per mezzo di lui fu fatto e senza di lui non fu fatto nulla di ciò che è stato fatto.
In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; e la luce nelle tenebre brilla e le tenebre non la compresero.

In questi celebri passi, Cristo è proclamato come Parola di Dio (Verbo), Dio egli stesso, Creatore del mondo e principio della vita. Analizziamo anche un altro passo del Prologo (Giovanni 1, 14):

E il Verbo si fece carne e dimorò fra noi e abbiamo visto la sua gloria, gloria come di Unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità.

In questo passo si descrive che il Verbo si fece carne, ossia s’incarnò in una persona umana, (Gesù). Inoltre si spiega che il Figlio è Unigenito, cioè “unico e solo” (ossia non ve ne sono stati altri, e non ve ne saranno altri all’infuori di lui).
Già questi primi passi del Vangelo di Giovanni esprimono con forza la piena identità di Gesù Cristo. Lui è il Verbo, la Parola di Dio, Dio stesso.
C’è un altro passo del Prologo del Vangelo di Giovanni molto importante per identificare pienamente la persona di Gesù Cristo, (1, 18):

Dio nessuno l’ha visto mai.
L’Unigenito Dio
che è nel seno del Padre
egli lo ha rivelato.

Quando Giovanni scrive “Dio nessuno l’ha visto mai”, si riferisce a Dio Padre. Quando scrive “Unigenito Dio”, si riferisce a Dio Figlio, il quale “è nel seno del Padre”, e che ha rivelato il Padre. In questo passaggio pertanto, Giovanni, definendo “Unigenito Dio”, il Figlio, ci svela ancora la vera identità di Gesù Cristo.
Ora analizziamo un passo successivo del Vangelo di Giovanni (1, 29):

L’indomani vede Gesù venirgli incontro e dice: “Ecco l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”.

E’ Giovanni il Battista che parla. Ci dice che Gesù è “l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”. Cosa significa?
Nell’Antico Testamento i sacrifici animali venivano attuati per farsi perdonare i peccati da Dio. La perdita di un animale del gregge e la vista della morte di un animale, che è innocente per definizione, in quanto non conosce il bene e il male, avevano lo scopo di far redimere il peccatore.
Ma che cosa è il peccato? Il peccato è un atto di non-umiltà. Un atto di supponenza, presunzione, saccenza. Il peccato originale, è stato attuato da Adamo ed Eva, la prima coppia di umani dotata del libero arbitrio. Essi vollero sostituirsi a Dio, scalzarlo dal suo trono. Peccarono di presunzione, di saccenza.
Il peccato originale è ciò che rese necessario il sacrificio di Cristo sulla croce.
La sua sofferenza e il suo sangue, versato al posto nostro, ci rende liberi dal peccato, se riconosciamo Cristo e lo accettiamo come nostro Salvatore. (Lettera ai Romani 3, 22).
Il sacrificio del Figlio di Dio, è per definizione è il sacrificio finale e perfetto, come si deduce da questo passaggio della lettera agli Ebrei (7, 27):

Il quale non ha bisogno tutti i giorni, di offrire vittime prima per i propri peccati, poi per quelli del popolo come i sommi sacerdoti, perchè questo egli ha fatto una volta per tutte offrendo se stesso.

Da notare che Giovanni il Battista disse: “Ecco l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”, e non disse: “Ecco l’Agnello di Dio che toglie il peccato di Israele”, indicando così che Gesù venne per caricare su di se tutti i peccati del mondo, proprio tutti, anche di coloro che non sono ebrei. La sua missione non è pertanto quella di un “riformatore del giudaismo”, come affermato da alcuni scrittori, ma è “universale”, per tutti gli esseri umani.

Un altro passo importante per comprendere questo concetto è Giovanni (3, 16-21):
Dio infatti ha tanto amato il mondo, che ha dato il Figlio suo Unigenito, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non mandò il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.
Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perchè non ha creduto nel nome del Figlio Unigenito di Dio.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio.

Anche in questi passi si descrive Gesù come “il Salvatore del mondo” e non “colui che condanna il mondo”. Salvatore è colui, che con il suo sacrificio “toglie i peccati del mondo”. Chi crede in lui è gia salvato, nel senso che accetta che Cristo abbia accolto su di se i suoi peccati.
A tale proposito vediamo questi passi del Vangelo di Matteo (20, 27-28):

E chi fra voi vorrà essere al primo posto si farà vostro schiavo, come il Figlio dell’uomo che non è venuto ad essere servito, ma a servire e dare la propria vita in riscatto di molti.

e (26, 26-28):

Ora, mentre mangiavano, Gesù prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e, mentre lo dava ai discepoli, disse: "Prendete, mangiate: questo è il mio corpo". Quindi prese il calice, rese grazie e lo passò a loro dicendo: “Bevetene tutti: questo infatti è il mio sangue dell’alleanza, che sarà versato per molti in remissione dei peccati.

Secondo la credenza cristiana pertanto, Dio non perdona i peccati “dall’alto”, ma pagando lui stesso. Dio non ha delegato ad una sua “creatura” la sofferenza sulla croce. Dio stesso era sulla croce, dandoci il massimo esempio di umiltà, perchè amava talmente l’uomo che si è sacrificato per lui, caricando su di se tutti i peccati del mondo e rendendoci così liberi. Solo Dio inoltre, essere infinito, poteva pagare con il suo sangue per tutti i peccati del mondo.
Solo con un corpo umano il Verbo ha potuto realmente sentire il nostro dolore, la nostra sofferenza e la nostra tristezza. Ha voluto sentirla su di sè, non per un motivo vacuo, ma perché l’atto di caricare su di se tutto il dolore del mondo, tutta la sofferenza del mondo, e tutti i peccati del mondo era la condizione necessaria per salvare l’umanità. Senza l’azione salvifica di Cristo, nessun uomo potrebbe espiare i suoi peccati. Da ciò si evince che la vera identità di Gesù Cristo è una perfetta unione di due nature, la divina e la umana, in un’unica persona. Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo.
Da vari passaggi dei Vangeli si evince che il Padre e il Figlio sono “della stessa sostanza”. E’ Gesù stesso che lo ha affermato, dipanando ogni dubbio sulla sua identità e sulla sua missione.
Ecco un primo passaggio del Vangelo di Matteo, (11, 27):

Tutto mi è stato dato dal Padre mio: nessuno conosce il Figlio se non il Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio voglia rivelarlo.

Continuiamo con l’analisi del Vangelo di Giovanni. Nel seguente passo (8, 18-19) è scritto:

Sono io che do testimonianza di me stesso, e anche il Padre, che mi ha mandato, dà testimonianza di me». Gli dissero allora: «Dov’è tuo padre?». Rispose Gesù: «Voi non conoscete nè me nè il Padre mio; se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio».

Frase significativa, perchè indica che solo conoscendo e accettando lui, si può accettare il Padre.
Ecco che stiamo entrando nel vivo del Vangelo di Giovanni, e stiamo analizzando gli importanti passaggi dove Cristo ha rivelato la sua piena identità ai farisei e ai religiosi nel tempio.
Nel seguente passaggio di Giovanni (8, 23-24), Gesù, attribuendo a se stesso il nome con il quale Dio si rivelò a Mosè (“Io Sono”, in Esodo 3, 14) si pone alla pari con Dio.

E diceva loro: «Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo. Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati».

E ancora in Giovanni (8, 53-58):

Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti. Chi credi di essere?». Rispose Gesù: «Se io glorificassi me stesso, la mia gloria sarebbe nulla. Chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: “È nostro Dio!”, e non lo conoscete. Io invece lo conosco. Se dicessi che non lo conosco, sarei come voi: un mentitore. Ma io lo conosco e osservo la sua parola. Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia». Allora i Giudei gli dissero: «Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo?». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono».
Anche il decimo capitolo del Vangelo di Giovanni è particolarmente significativo per conoscere la vera identità di Gesù Cristo. Leggiamo i seguenti passi (10, 14-18):
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perchè io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

Innanzitutto in questi passi è scritto che Gesù ci conosce, esattamente come il Padre conosce lui e lui conosce il Padre. Poi c’è scritto che lui da la vita per noi. In questa frase quindi Gesù anticipa quello che sarà il suo sacrificio, ed inoltre ci anticipa la sua Risurrezione: lui da la sua vita e lui la riprende, proprio perchè lui è il Signore.
Inoltre, anche da questa frase si evince che Gesù è venuto per tutti e non solo per i Giudei (ho anche altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore).
Pochi passi più avanti quando alcuni Giudei gli chiedono di rivelare la sua vera natura Gesù risponde (Giovanni 10, 24-30):

Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: «Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente». Gesù rispose loro: «Ve l’ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo uno.

Con quest’ultima frase Gesù afferma di essere in unione con il Padre. Tuttavia quando i Giudei raccolsero delle pietre per lapidarlo, ci fu questo dialogo (Giovanni 10, 32-38):

Gesù disse loro: «Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre: per quale di esse volete lapidarmi?». Gli risposero i Giudei: «Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per una bestemmia: perchè tu, che sei uomo, ti fai Dio».
Disse loro Gesù: «Non è forse scritto nella vostra Legge: Io ho detto: voi siete dèi? Ora, se essa ha chiamato dèi coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio – e la Scrittura non può essere annullata –, a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo voi dite: “Tu bestemmi”, perchè ho detto: “Sono Figlio di Dio”? Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; ma se le compio, anche se non credete a me, credete alle opere, perchè sappiate e conosciate che il Padre è in me, e io nel Padre»

I Giudei avevano inteso che, con quell’affermazione, Gesù sosteneva di essere Dio, ma Gesù stesso non negò di esserlo. Gesù si rifà all’Antico Testamento: Nelle scritture vengono chiamati dei e figli dell’Altissimo i giudici e i re, perché partecipi della prerogativa divina di giudicare gli uomini (Sal. 82, 6-Sal. 2- Dt 1, 17; 19, 17). Gesù aggiunge che colui che è santificato e inviato dal Padre a buon diritto può essere considerato in unione con il Padre. Nell’ultima frase, inoltre, ribadisce ancora che lui e il Padre sono una cosa sola.
Analizziamo ora un altro passo del Vangelo di Giovanni (20, 28): 

Rispose Tommaso e gli disse: “Signore mio e Dio mio!”

In questo caso Gesú non ha negato di essere Dio, ma ha risposto, in Giovanni (20, 29): 

Gli disse Gesú: “Perché mi hai visto hai creduto? Beati coloro che hanno creduto senza vedere”.

La natura divina di Gesù non si evince solo da quello che disse, ma ovviamente anche da quello che fece. I miracoli, narrati nei quattro Vangeli, indicano il suo totale dominio sulle forze della natura, sui demoni, sulle malattie e sulla morte.
Gesù Cristo risuscita i morti: la figlia di Giairo, (in Luca 8, 49-56), il figlio della vedova di Naim, (in Luca 7, 11-17) e Lazzaro (Giovanni, 11).
Ecco il celebre dialogo di Gesù con Marta, prima della risurrezione di Lazzaro (Giovanni 11, 23-27):

Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».

Con questa frase Marta ha riconosciuto la vera identità di Gesù Cristo.
Proseguendo con l’analisi dei Vangeli, in particolare del Vangelo di Giovanni, analizziamo un altro passo fondamentale per comprendere la vera identità di Gesù Cristo (Giovanni, 12, 44,45):

Gesù proclamò ad alta voce: “Chi crede in me, non crede in me, ma in Colui che mi ha mandato, e colui che vede me, vede Colui che mi ha mandato.

In questo ultimo passo Gesù afferma di essere consustanziale al Padre.
E ancora in Giovanni, (14, 5-14):

Gli dice Tommaso: “Signore, non sappiamo dove vai, come possiamo conoscere la via?”
Gli dice Gesù: “Io sono la via e la verità e la vita. Nessuno va al Padre se non attraverso di me. Se voi mi aveste conosciuto anche il mio Padre conoscereste, e fin d’ora voi lo conoscete e l’avete visto”.
Gli dice Filippo: “Mostraci il Padre e ci basta.”
Gli dice Gesù: “Da tanto tempo sono con voi, e non mi hai conosciuto Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi tu dire: -Mostraci il Padre?- Non credi che io sono nel Padre e il Padre e in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; il Padre che dimora in me fa le sue opere. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me. Almeno credete a causa delle opere stesse. In verità, in verità vi dico, chi crede in me, anch’egli farà le opere che io faccio e ne farà anche di più grandi perchè io vado al Padre. E quando chiederete nel mio nome lo farò, affinchè il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualcosa nel mio nome, io lo farò”.

In questi passaggi vi sono due concetti significativi. Innanzitutto Gesù risponde a Tommaso dicendo: “Io sono la via e la verità e la vita. Nessuno va al Padre se non attraverso di me”. Quindi risponde a Filippo dicendo: “io sono nel Padre e il Padre è in me”. Gesù afferma dunque di essere la Verità, di essere unito al Padre, e di essere pertanto, della stessa “sostanza”.
Anche in Giovanni (16, 27-28), vi sono alcune frasi importanti:

Il Padre stesso vi ama, poichè voi mi avete amato e avete creduto che sono uscito da Dio. Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo. Ora lascio il mondo e vado al Padre.

uscito da Dio”, frase che rende l’idea del Verbo generato, ma non creato, e finalmente incarnatosi in un uomo, Gesù.
Nel capitolo 17 del Vangelo di Giovanni vi sono poi affermazioni molto importanti di Gesù, che sta pregando il Padre. Ecco un primo, significativo passaggio (Giovanni 17, 3-5):

Questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo. Io ti ho glorificato sulla terra, avendo compiuta l’opera che tu mi hai dato da fare. Ora glorificami tu, Padre, davanti a te, con la gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse.

E ancora, Giovanni (17, 24):

Padre, voglio che anche quelli che tu mi hai dato siano con me, dove sono io, affinchè contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato, poiché mi hai amato prima della creazione del mondo.
In questi due passaggi si evince che Gesù era con il Padre prima che il mondo fosseprima della creazione del mondo, dell’universo. Questi due passi, indirettamente, confermano la Divinità di Cristo.

Ma l’evento cardine della missione di Gesù è la Risurrezione (Matteo, 28; Marco 16; Luca, 24; Giovanni, 20). Nella Risurrezione Gesù Cristo ha vinto la morte e ha dimostrato il suo potere su di essa. Solo Dio stesso, che ha creato l’universo, ha il potere di vincere il peccato e la morte. Ecco i famosi passi della Lettera ai Corinzi di Paolo (1 Corinizi, 15, 54-55):

Quando poi questo corpo corruttibile si sarà vestito d’incorruttibilità e questo corpo mortale d’immortalità, si compirà la parola della Scrittura:
La morte è stata inghiottita nella vittoria.
Dov’è, o morte, la tua vittoria?
Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?

La Risurrezione è inoltre la dimostrazione che Dio ha accettato l’estremo sacrificio di Cristo fatto per tutti gli esseri umani e certifica che coloro che credono in Gesù Cristo saranno risuscitati a Vita Eterna.
Vi sono poi altre frasi e comportamenti di Gesù che indicano la sua natura consustanziale al Padre. Nel capitolo quinto del Vangelo di Matteo, parlando della legge mosaica, ossia la legge data da Dio, Gesù ripetè varie volte: “avete inteso che fu detto…io invece vi dico”. Gesù quindi insegna sui giusti comportamenti da tenere nel caso di matrimonio, giuramenti, amore al prossimo. Per sei volte viene ripetuta la frase: “io invece vi dico”.
Come potrebbe un semplice profeta aggiungere o modificare le leggi date da Dio se non chi è per sua natura consustanziale al Padre?
I profeti dicevano: “Così parla il Signore”, mentre Gesù disse: “io invece vi dico”.
E’ noto che i giudei osservavano la legge del riposo durante il sabato, e per questo criticarono Gesù per aver curato un paralitico di sabato Giovanni (5, 1-10). Ma Gesù, dimostrando di essere al di sopra della legge dice (Giovanni 5, 17):

Ma Gesù rispose loro: “Mio Padre è all’opera fino ad ora ed anch’io sono all’opera”.

Gesù si pone quindi al di sopra della legge, per esempio anche quando dice:

Si, il Figlio dell’uomo è padrone del sabato” (Matteo, 12, 8).

Sono affermazioni inaudite, che mai uscirono dalla bocca di nessun uomo, e che provano la sua verà natura di Gesù Cristo, che è consustanziale al Padre.
Un’altra frase importante con la quale Gesù ha dichiarato la sua piena identità è la seguente, in risposta al sommo sacerdote, tratta dal Vangelo di Marco (14, 61-62):

Egli però taceva e non rispondeva nulla. Perciò il sommo sacerdote lo interrogò ancora dicendogli: “Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto?”. Rispose Gesù: “Si, sono io! E vedrete il Figlio dell’uomo, seduto alla destra della Potenza, venire con le nubi del cielo.”

In questo passaggio Gesù rispose chiaramente, usando le parole della visione di Daniele (7, 13-14).
Vediamo ora, un passaggio importante della Lettera ai Filippesi dell’Apostolo Paolo, (2, 3-11):

Non fate niente per ambizione ne per vanagloria, ma con umiltà ritenete gli altri migliori di voi; non mirando ciascuno ai propri interessi, ma anche a quelli degli altri. Coltivate in voi questi sentimenti che furono anche in Cristo Gesù:
il quale, essendo per natura Dio,
non stimò un bene irrinunciabile
l’essere uguale a Dio
ma annichilì se stesso
prendendo natura di servo,
diventando simile agli uomini;
e apparso in forma umana
si umiliò facendosi obbediente
fino alla morte
e alla morte in croce.
Per questo Dio lo ha sopraesaltato
ed insignito di quel nome,
affinché, nel nome di Gesù,
si pieghi ogni ginocchio
degli esseri celesti
dei terrestri e dei sotterranei
e in ogni lingua proclami,
che Gesù Cristo è Signore
a gloria di Dio Padre.

Analizzando questo importante brano ritmico, vediamo che, al sesto passo Paolo scrive: “il quale, essendo per natura Dio”. Quindi Paolo scrive chiaramente che Gesù è Dio, per natura. Inoltre nell’undicesimo passo scrive: “e in ogni lingua proclami, che Gesù Cristo è Signore a gloria di Dio Padre”. Paolo non scrive “Dio”, ma bensì “Dio Padre”. Così facendo, ricollegandosi al sesto passo, certifica la Divinità del Figlio.
Analizziamo ora un importante passaggio della Prima lettera di Giovanni. (1 Giovanni 5, 20):

Sappiamo anche che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato l’intelligenza per conoscere colui che è il Vero. E noi siamo in colui che è il Vero, nel Figlio suo Gesù Cristo. Questi è il vero Dio e la vita eterna.

In questo passaggio “Il Vero” è Dio. Giovanni afferma che solo il Figlio di Dio ci ha dato l’intelligenza per conoscere Dio. Inoltre afferma di permanere nel Vero, ossia in suo Figlio Gesù Cristo. Nell’ultimo passaggio Giovanni scrive qualcosa che non dovrebbe dare adito a dubbi: “Questi è il vero Dio e la vita eterna”, ossia Gesù Cristo è il vero Dio.
In ultima analisi vediamo alcuni passaggi importanti delle lettere di Paolo. Il primo, tratto dalla Lettera ai Colossesi (2, 8-9):

Badate che nessuno vi faccia sua preda con la “filosofía”, questo fatuo inganno che si ispira alle tradizioni umane, agli elementi del mondo e non a Cristo, poiché è in lui che dimora corporalmente tutta la pienezza della divinità.

Paolo afferma che in Cristo si ha “tutta la pienezza della divinità”, cioè l'Essenza divina. Cristo è Dio. Egli, in quanto Persona, si distingue dal Padre per la relazione che ha con il Padre essendo lui il Figlio Unigenito, ma una sola è l'Essenza. Tutta la pienezza della divinità “abita corporalmente” in lui, cioè non per via di semplice azione della divinità su di un corpo umano, ma per l'unione ipostatica delle due nature, quella divina e quella umana. In Cristo vi sono due nature, non mescolate tra di loro, nell'unica Persona che è quella divina. In Dio si hanno tre Persone uguali e distinte nell'unica Essenza. Dio è Trinità.

Vediamo ora il seguente passaggio (1) della Prima Lettera a Timoteo: (3, 16)

Senza alcun dubbio, infatti, è grande il mistero della pietà:
Dio si è manifestato nella carne
Fu giustificato nello spirito
Apparve agli angeli
Fu predicato alle nazioni
Fu creduto nel mondo
Fu assunto nella gloria

“Dio si è manifestato nella carne”, è il Verbo (Giovanni 1, 14).
In ultima analisi vediamo un passaggio della Lettera ai Romani 9, 4-5

Essi sono Israeliti, loro è l’adozione a figli, la gloria le alleanze, a loro è stata data la legge, il culto le promesse, i patriarchi, da loro proviene Cristo secondo la sua natura umana, egli che domina tutto è Dio, Benedetto nei secoli, amen.

Anche da questo passaggio si evince chiaramente che Paolo sosteneva la piena Divinità del Figlio.

Coloro i quali negano la Divinità di Cristo, che si evince dai testi del Nuovo Testamento e non è un dogma aggiunto in epoca post-costantiniana, si trovano pertanto davanti ad un dilemma di difficile soluzione. Essi dicono che Gesù Cristo fu un grande saggio, se non il più grande di tutti i saggi. Ma come potrebbe essere stato il più grande dei saggi se avesse mentito?
Ecco pertanto che la vera identità di Gesù Cristo, consustanziale al Padre e allo Spirito Santo, Dio stesso e creatore del mondo, risulta chiara.
Naturalmente nella vita di Gesù Cristo vi sono vari misteri, che il credente accetta per fede.
Rimane però sempre un fatto fondamentale: Dio, il creatore del cielo e della terra, avrebbe potuto benissimo giudicarci dall’alto, senza venire fra di noi, senza umiliarsi lui stesso, incarnandosi in un essere umano. Ma Dio stesso, infinitamente misercordioso e buono, ha voluto inviare suo Figlio per redimerci dal peccato e pagare per noi sulla croce. Dio amava talmente l’uomo che si è sacrificato per lui, pagando con la sofferenza sulla croce e perdonando così tutti i peccati:

Dio infatti ha tanto amato il mondo, che ha dato il Figlio suo Unigenito, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna. (Giovanni 3, 16).

YURI LEVERATTO
Copyright 2015

E’ possibile riprodurre questo articolo a patto che:
1-Sia riprodotto integralmente.
2-Non si alteri il titolo, alcuna parte di esso nè le fonti bibliografiche.
3-Si aggiunga in vista dopo il titolo e alla fine dell’articolo: opera di Yuri Leveratto.
Nota:
(1) Textus Receptus, King James, Reina Valera.

giovedì 16 luglio 2015

Il rito del battesimo per i primi cristiani



Da un punto di vista antropologico, il rito è quell’insieme di pratiche religiose o mistiche attuato in una comunità di persone. 
Tra tutte le creature della terra, solo gli esseri umani attuano riti religiosi.
Nessun animale, fino a prova contraria, porta a termine rituali o cerimonie mistiche. E’ proprio la differenza fondamentale tra noi e gli animali, cioè la piena conoscenza del bene e del male, che ha portato i primi uomini a realizzare dei riti mistici, ai quali davano differenti significati, ma tutti relazionati ad una forza immateriale, quindi spirituale, che a seconda delle differenti credenze, è la forza creatrice del cielo e della terra.
Uno dei riti più importanti, ma non fondamentale per la salvezza, per le prime comunità di cristiani, mi riferisco quindi ai 280 anni che vanno dalla Risurrezione di Gesù Cristo all’editto di Milano del 313 d.C., era il battesimo.
Lo studio della vita dei primi cristiani è importante per conoscere le differenze tra l’insegnamento impresso nel Nuovo Testamento (insieme di 27 libri scritti prima del 100 d.C., quindi i più antichi), e i dogmi che furono aggiunti in epoche post-costantiniane.
In generale per i primi cristiani il battesimo non era visto come un rituale magico che potesse salvare una persona, a meno che non fosse accompagnato dalla fede in Gesù Cristo e dal vero pentimento dei propri peccati. In pratica il battesimo attuato senza fede, non aveva alcun valore.
Il battesimo (la cui etimologia deriva dal greco “immersione”), veniva attuato immergendo completamente la persona nell’acqua, la quale, una volta emersa dichiarava “Io credo che Gesù Cristo è Figlio di Dio” (Atti, 8, 37). L’immersione è un simbolo del “scendere nella tomba” dell’uomo vecchio, e l’emersione è un simbolo della “rinascita” dell’uomo nuovo in Cristo.
I primi cristiani però sostevano che i bambini non battezzati che morivano nell’infanzia potevano salvarsi, a differenza del dogmatico Agostino di Ippona (354-430 d.C.), che sostenne che tutti i bambini non battezzati sono condannati.
Da Agostino infatti deriva la credenza (non presente però nel Nuovo Testamento), che battezzare un bambino appena nato, lo liberi dalle conseguenze negative del peccato originale. (1).
Un altro esempio del fatto che i primi cristiani non davano al battesimo il potere di “rendere salva” una persona, è stato quello dei martiri. Molti martiri morirono senza essere battezzati, ma gli altri cristiani, sapendo che Dio è infinitamente misericordioso e buono, considerarono che il Creatore non li avrebbe abbandonati. In un certo senso i martiri non battezzati, venivano battezzati nel sangue, come si evince da questo passo del Vangelo di Marco (10, 38-39):

Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati.

In questi passi Gesù annunzia il martirio ai suoi discepoli.
Abbiamo visto pertanto che i primi cristiani non davano al battesimo il significato di “rito che porta alla salvezza”. Quindi quale era per loro il vero significato del battesimo?
Analizziamo il celebre passo del “dialogo di Gesù con Nicodemo”, del Vangelo di Giovanni (3, 5-8):

Rispose Gesù: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quello che è nato dalla carne è carne, e quello che è nato dallo Spirito è spirito. Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere dall’alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene ne dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito».

Acqua e Spirito richiamano dunque il battesimo, momento in cui si attua il rito di “rinascere”. La carne indica ciò che è impermanente. Lo Spirito indica il principio vitale che viene da Dio, che non è corruttibile. Il vento che soffia è lo “Spirito Santo”, che si manifesta “dove vuole”.
I primi cristiani, ma non gli gnostici, credevano che le parole di Gesù si riferissero al “battesimo d’acqua”.
I primi cristiani credevano quindi che il battesimo, associato però al riconoscere Gesù Cristo come Figlio di Dio e al pentimento dei propri peccati, servisse per ottenere il perdono divino.
A tale proposito vediamo il passo degli Atti degli Apostoli (2, 38):

Pietro rispose loro: “Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome nel nome di Gesù Cristo per ottenere il perdono dei vostri peccati: e riceverete il dono dello Spirito Santo”.

Non a caso Pietro inizia la sua frase con “Pentitevi” e non: “battezzatevi”.
Ma anche i primi cristiani, come Giustino Martire (100-168 d.C.), avevano la stessa credenza. Vediamo un passaggio a tal proposito della sua opera “Dialogo con Trifone” (2):

Non c’è altro modo, (per ottenere le promesse di Dio), che questo: conoscere Cristo, bagnarsi nella fonte della quale parlava Isaia per la remissione dei peccati, e per ultimo, condurre una vita senza peccato.

I primi cristiani davano inoltre al battesimo il significato di “rinascere”.
Ecco cosa scrisse Ireneo di Lione (130-202 d.C.), nella sua “raccolta di frammenti dalle opere perse” (3):

Come siamo lebbrosi nel peccato, siamo mondati delle nostre vecchie trasgressioni attraverso l’acqua sacra e l’invocazione del Signore. Pertanto siamo rigenerati spiritualmente come bambini appena nati, come il Signore ha dichiarato: “Se uno non è nato dall’acqua e dallo Spirito, non può entrare nel Regno di Dio” (Giovanni, 3, 5).

Per ultimo i primi cristiani credevano di “ottenere l’illuminazione spirituale” dopo aver ricevuto lo Spirito Santo.
Per riassumere, per i primi cristiani il battesimo era un rito importante ma non fondamentale, che portava al perdono dei peccati da parte di Dio, solo però se era accompagnato dalla fede in Gesù Cristo come Figlio di Dio e dal vero pentimento dei propri peccati.
Quindi il battesimo non era assolutamente necessario per la “salvezza”, mentre lo erano la fede in Gesù Cristo e il pentimento dei propri peccati.

YURI LEVERATTO
Copyright 2015

E’ possibile riprodurre questo articolo a patto che:
1-Sia riprodotto integralmente.
2-Non si alteri il titolo, alcuna parte di esso nè le fonti bibliografiche.
3-Si aggiunga in vista dopo il titolo e alla fine dell’articolo: opera di Yuri Leveratto.

Foto principale: Battesimo di Cristo, Joachim Patinir

Bibliografia:
Nuovo Testamento
Che parlino i primi cristiani, David Bercot

Note:
(1) Tuttavia l'idea del limbo non è mai stata considerata a livello di verità di fede dogmatica quanto piuttosto un'ipotesi teologica creduta plausibile, come risulta da un pronunciamento della Congregazione per la dottrina della fede nel 2007 e firmata da papa Benedetto XVI. Infatti l'attuale Catechismo della Chiesa cattolica prevede che i bambini morti senza Battesimo siano affidati «alla misericordia di Dio [...] che vuole salvi tutti gli uomini
(2) Giustino, Dialogo con Trifone, capitolo 44.
(3) Ireneo, Frammenti delle opere perse, 34 -http://www.newadvent.org/fathers/0134.htm