martedì 30 giugno 2020

Elia sul monte Oreb - Commento del diciannovesimo capitolo del primo libro dei Re



Elia, il Tisbita, era un grande profeta di Dio. Aveva annunciato una grande siccità, che poi accadde. Aveva compiuto vari miracoli, il più importante fu la risurrezione del figlio della vedova di Sarepta. (1 Re, cap. 17). E infine aveva chiesto a Dio di far scendere del fuoco su un olocausto, per dimostrare a 450 sacerdoti di Baal che l’unico Dio è YHWH. Il fuoco scese dal cielo e il popolo riconobbe che YHWH è Dio. Ma i sacerdoti di Baal non riconobbero il Signore e così Elia li uccise, sgozzandoli. (1 Re, cap. 18).
Quando il re Acab raccontò a sua moglie Izebel quello che Elia aveva fatto, lei decise di perseguitarlo e di ucciderlo.
Mentre prima era sicuro di sè e orgoglioso di aver dimostrato al popolo che YHWH è l’unico Dio, ora Elia ha paura. Sente che la sua fine sta arrivando e così si dirige a sud e scappa nel deserto.
Il deserto è la prima prova, alla quale Elia è sottoposto. Il deserto è la purificazione attraverso il digiuno, la solitudine. Il deserto rappresenta l’annullamento dell’io e la susseguente crescita interiore. Dopo un giorno di cammino Elia è depresso, si sente come se fosse l’ultimo sulla terra a credere in YHWH. Vediamo un passaggio nel quale si capisce il suo stato d’animo, (1 Re 19, 4):

“ma egli s'inoltrò nel deserto una giornata di cammino, andò a mettersi seduto sotto una ginestra, ed espresse il desiderio di morire, dicendo: «Basta! Prendi la mia anima, o SIGNORE, poichè io non valgo più dei miei padri!”

Poi Elia si addormentò , come se volesse arrendersi alla morte. Ma a questo punto il Signore gli inviò un angelo che gli diede del pane e dell’acqua. Il Signore ha aiutato Elia in quel momento difficile. Ci fu un altro sonno ristoratore e al suo risveglio Elia mangiò ancora. Poi riaquistò le forze e si diresse verso il monte Oreb. Vediamo il passaggio corrispondente, (1 Re 19, 8):

Egli si alzò, mangiò e bevve; e per la forza che quel cibo gli aveva dato, camminò quaranta giorni e quaranta notti fino a Oreb, il monte di Dio.

In tutta la Bibbia il numero 40 ha sempre un significato particolare. E’ come se fosse una sorta di “angusto passaggio”, una “porta stretta”, che deve essere percorsa da chi è scelto da Dio (anche Gesù ha passato 40 giorni nel deserto), per poter percorrere la propria missione.
Elia attraversa questa “porta stretta” e si dirige verso il monte Oreb, che è il monte Sinai.
La montagna è già di per sè un simbolo biblico importante. E’ il luogo dove l’umano si avvicina al divino. E’ il luogo che per antonomasia rappresenta l’incrollabilità, e l’immutabilità. Nella Genesi l’arca approda sul monte Ararat, dopo il diluvio. Nei Vangeli è durante il “Sermone della Montagna”, che Gesù insegna le beatitudini.
Ma nella Bibbia c’è una montagna particolare, quella dove per la prima volta Dio si è manifestato a un uomo, Mosè, indicando il suo nome (Esodo 3, 14). E’ il monte Oreb (monte Sinai).
Elia vuole raggiungere proprio quella montagna, perchè desidera che Dio gli parli, gli indichi la sua missione il suo cammino. Sa che Dio ha ancora dei piani per lui. Come Dio parlò a Mosè sul monte Oreb, anche Elia desidera ascoltare la voce di Dio e così sale sul monte Oreb.
Una volta in cima al monte Oreb, Elia entra in una caverna. Anche Mosè era entrato in una caverna sullo stesso monte (Esodo 33, 22).
La caverna rappresenta l’utero. E’ un ritorno al luogo sicuro per eccellenza, al periodo della gestazione, che Dio ha voluto durasse 40 settimane. Dall’utero si nasce e pertanto la caverna rappresenta il luogo dal quale si rinasce. Anche Giona rimase nel ventre del pesce e poi ne uscì. Anche Gesù, che era stato sepolto dentro una caverna, sconfigge la morte e rinasce a nuova vita da una caverna.
Elia non muore, ma dalla caverna ne uscirà rinato. Dio gli parla, proprio come fece a Mosè, leggiamo il passaggio corrispondente, (1 Re, 19, 9):

Lassù entrò in una spelonca, e vi passò la notte. E gli fu rivolta la parola del SIGNORE, in questi termini: «Che fai qui, Elia?»

Ecco, finalmente Dio gli parla, si rivolge a lui, e sicuramente avrà per lui altri piani, altri progetti, altri obiettivi. Ma Elia inizialmente dice a Dio le cose che Dio già sa, vediamo il passaggio corrispondente (1 Re 19, 10):

Egli rispose: «Io sono stato mosso da una grande gelosia per il SIGNORE, per il Dio degli eserciti, perchè i figli d'Israele hanno abbandonato il tuo patto, hanno demolito i tuoi altari, e hanno ucciso con la spada i tuoi profeti; sono rimasto io solo, e cercano di togliermi la vita». 

Ancora una volta Elia crede di essere l’ultimo rimasto sulla terra a credere a YHWH, e con queste parole dimostra che l’ansia e la paura non l’hanno ancora abbandonato. Vuole ricordare al Signore che lui ha agito con zelo. Ma il Signore sa già tutte queste cose.
A questo punto il Signore gli ordina di uscire. “Va fuori e fermati sul monte” (1 Re 19, 11a).
Quindi dall’interno della caverna Elia vede che fuori accadono tre fenomeni impetuosi. Prima un uragano, un vento fortissimo che fece addirittura cadere dei massi enormi dalla montagna, poi un terremoto e poi un fuoco. Elia cercava la presenza divina in questi segni dirompenti ma non la trovò.
Poi sentì “un suono dolce e sommesso” (1 Re 19, 12b). A quel punto Elia sentì la presenza del Signore e infatti si coprì la faccia con il mantello e uscì decisamente fuori dalla caverna.
Dio pertanto non ha parlato a Elia con segni impetuosi, ma con “un suono dolce e sommesso”. Elia si coprì la faccia, come volesse coprire i suoi peccati. Vediamo il passaggio corrispondente, (1 Re 19, 13):

Quando Elia lo udì, si coprì la faccia con il mantello, andò fuori, e si fermò all'ingresso della spelonca; e una voce giunse fino a lui, e disse: «Che fai qui, Elia?»

E’ la svolta. Elia esce dalla caverna e ne esce rinato. Non ha più bisogno di rimanere nell’utero, ma può uscire e affrontare la vita.
Ancora una volta però ripete le parole di prima, come se ci fosse qualcosa che lo ancorasse al passato.
Ma Dio gli risponde, deciso, (1 Re, 19: 15-18):

Il SIGNORE gli disse: «Va', rifa' la strada del deserto, fino a Damasco; e quando vi sarai giunto, ungerai Azael come re di Siria; ungerai pure Ieu, figlio di Nimsci, come re d'Israele, e ungerai Eliseo, figlio di Safat da Abel-Meola, come profeta, al tuo posto. Chi scamperà dalla spada di Azael, sarà ucciso da Ieu; e chi scamperà dalla spada di Ieu, sarà ucciso da Eliseo. Ma io lascerò in Israele un residuo di settemila uomini, tutti quelli il cui ginocchio non s'è piegato davanti a Baal, e la cui bocca non l'ha baciato».

Ecco, il Signore aveva veramente nuovi piani, nuovi progetti per Elia. Inoltre il Signore rivela ad Elia che vi sono altre settemila persone che continuano a credere in Lui. Questo è un modo per abbassare ulteriormente l’ego di Elia e avvertirlo che lui non è l’unico seguace di YHWH rimasto sulla terra.
Ora Elia è realmente rinato, è un uomo nuovo, non ha più paura di nulla ed è pronto a portare a termine la missione affidatagli dal Signore. Elia ha annullato il suo ego, ed è pieno di umiltà.
Nel finale del cap. 19 Elia si mostra deciso e sicuro di sè quando giunge presso Eliseo e gettandogli addosso il suo mantello gli mostra che sarebbe stato il suo successore.

Yuri Leveratto

mercoledì 20 maggio 2020

Agostino d’Ippona, grande difensore dell’ibrido costantiniano


Cos’è una religione? Vediamo la definizione della Treccani: 

“Complesso di credenze, sentimenti, riti che legano un individuo o un gruppo umano con ciò che esso ritiene sacro, in particolare con la divinità, oppure il complesso dei dogmi, dei precetti, dei riti che costituiscono un dato culto religioso”.

Proprio nella definizione si usa il verbo “legare” ossia legarsi a delle liturgie, dei precetti, delle cerimonie ritenute sacre. Aggiungo che le religioni hanno bisogno di legarsi a loro volta con il potere o di essere loro stesse il potere. Hanno inoltre bisogno di un ispiratore, una persona dalla grandissima influenza che contribuisce a fondarle e dar loro una sistemazione. 
Nel caso della religione cattolica, essa è nata negli anni successivi al 313 d.C., quando Costantino ha reso legale il culto cristiano. Esigenze di potere hanno spinto per un sincretismo tra numerosi culti pagani e il Cristianesimo originale. Ma mancava un ispiratore, una persona di grandissimo spessore che potesse sistemare la nuova religione e renderla più consona al sistema di potere che si stava venendo a creare. 
Quella persona nacque solo quarantuno anni dopo l'editto di Milano. Si chiamava Agostino d'Ippona. Malgrado che durante la gioventù avesse abbracciato la visione gnostica, poi si convertì a Cristo, e con il tempo divenne un grande filosofo. 
Fu lui a plasmare il Cristianesimo originario e trasformarlo definitivamente nel Cattolicesimo. Fu lui a creare dogmi, riti, liturgie e sensi di colpa. Certo, fu anche un grande filosofo, colui che creò  un ponte, una cerniera, tra il platonismo e il Cristianesimo, ma fu lui a consolidare quel sistema religioso sul quale si è basato il mondo da 1700 anni a questa parte. 
Mentre la religione quindi si basa sul verbo “legare”, la Bibbia intera si basa sul verbo “liberare”. Dio ha liberato il suo popolo dall'Egitto e Dio ci ha liberati dalla schiavitù del peccato, inviando suo Figlio Gesù Cristo a morire per noi sulla croce del calvario. 
Abbiamo visto quindi che a partire dal 313 d.C. Costantino rese legale il culto cristiano (editto di Milano). Questo fatto storico causò  un cambio fondamentale nella storia del Cristianesimo, sia dal punto di vista dell’attitudine del cristiani, sia dal punto di vista di come il Cristianesimo si sarebbe poi lentamente trasformato, in seguito ad alcuni sincretismi con culti pagani. 
I cristiani, che erano stati perseguitati per circa 280 anni, lentamente diventarono parte del potere. L’intenzione di Costantino era quella di consolidare la fede cristiana in modo da unificare l’impero sotto un’unica religione. Egli sostenne le tesi della componente originale e maggioritaria del Cristianesimo, quella Apostolica. Le altre correnti, come quelle ariane o gnostiche furono contrastate perchè ritenute pericolose per l’unità dell’impero. Durante il Concilio di Nicea, che Costantino presiedette, fu redatto il Credo, una formula non biblica, alla quale però fu riconosciuto valore quasi scritturale. Era l’inizio del cosidetto “ibrido costantiniano”, il periodo durante il quale il Cristianesimo si fuse con alcuni culti pagani. 
Durante questi anni i cristiani credevano che Dio stesse inaugurando una nuova età dell’oro nella quale essi erano liberi da persecuzioni e avrebbero potuto vivere in pace, legandosi al potere mondano. Siccome però non trovarono alcun passaggio nel Nuovo Testamento per giustificare questo periodo, guardarono all’Antico Testamento. Nell’ibrido costantiniano vi fu pertanto un ritorno a modelli di vita tipici dell’Antico Testamento, e non del Nuovo Testamento. 
Per esempio, mentre i Vangeli si insegna un messaggio di allontanamento dai beni materiali, nall’Antico Testamento non vi era questo messaggio. Quindi per i cristiani dell’ibrido, era consentito cercare di accrescere le proprie ricchezze. 
Anche per quanto riguarda i giuramenti vi fu un ritorno all’Antico Testamento. Mentre nel Nuovo Testamento non erano leciti i giuramenti, in quanto si presupponeva che i cristiani dicessero sempre la verità, nell’ibrido si instaurarono nuovamente i giuramenti, che si convertirono nel pilastro della società romana e medievale. 
Uno dei primi atti di sincretismo con le religioni pagane fu la fissazione del Natale, il giorno della nascita di Gesù Cristo, il 25 dicembre. Questo fatto accadde nel 336 d.C., durante il regno di Costantino. Questa data fu introdotta in modo da far coincidere il giorno del sol invictus, che era un culto pagano al sole, con il culto a Gesù. Ecco che il Cattolicesimo era nato con un primo atto di sincretismo verso un culto al sole, ed in effetti in molte rapresentazioni cattoliche Gesù viene associato al sole.
Negli successivi mentre l’impero stava subendo la pressione delle popolazioni barbare (guerra gotica 376-382), la chiesa iniziò  sempre più a fondersi con il mondo. A questo punto il Regno di Dio avrebbe avuto bisogno di un predicatore nello stile di Giovanni il Battista o di Paolo di Tarso, per riportarla alla situazione del I secolo. E invece, arrivò  il più grande difensore dell’ibrido costantiniano che sia mai esistito. Il suo nome era Agostino ed era nato a Ippona. 
Però  Agostino fece molto di più che appoggiare totalmente l’ibrido costantiniano. Lui combattè varie eresie degli gnostici. Il suo metodo era quello di ascoltare la posizione dell’avversario e dopo adottare esattamente la posizione contraria per poterla attaccare. 
Lo gnosticismo fu una delle prime eresie che il Cristianesimo dovette affrontare. Per gli gnostici il mondo era malvagio perchè creato da un’entità distinta dal Dio Padre del Nuovo Testamento. Gli gnostici sostenevano la loro tesi mostrando che gli insegnamenti di Gesù erano diversi da quelli di Mosè. Il Dio dell’Antico Testamento (YHWH) aveva mandato gli israeliti alla guerra, pero Gesù diceva ai suoi discepoli che amassero i loro nemici. Gli gnostici accetavano alcuni insegnamenti di Gesù ma negavano che Lui fosse il Figlio del Dio dell’Antico Testamento, e inoltre negavano che il Figlio di Dio potesse farsi uomo.
I primi apologisti cristiani come Ireneo di Lione e Tertulliano avevano già difeso il Cristianesimo storico dagli insegnamenti dello gnosticismo. Essi avevano semplicemente argomentato che Dio era lo stesso, e che semplicemente vi era una rivelazione progressiva da parte di Dio agli uomini. Inizialmente si era rivelato a un uomo, Abramo, poi a un popolo, quello degli israeliti, e poi attraverso Gesù a tutta l’umanità. La legge di Mosè era stata una guida che avrebbe preparato gli israeliti alla venuta del Messia. 
Ma questi argomenti non concordavano con l’ibrido costantiniano. L’ibrido era basicamente una combinazione della teologia del Nuovo Testamento con la moralità e lo stile di vita dell’Antico Testamento. Se si fosse riconosciuto che il Nuovo Testamento introduceva delle regole morali nuove e maggiori di quelle dell’Antico Testamento significava riconoscere che l’ibrido era un errore. Proprio per questo fatto Agostino rispose agli gnostici (in quel periodo conosciuti come Manichei o seguaci di Mani), sostenendo che gli insegnamenti di Gesù non si differenziavano da quelli dell’Antico Testamento. Vediamo una sua citazione tratta dal libro "Contro Fausto Manicheo", Libro 22, 74, (1): 

"Cosa infatti si biasima nella guerra? Forse il fatto che muoiano quelli che sono destinati a morire, perchè i destinati a vivere siano sottomessi nella pace? Obiettare questo è proprio dei paurosi, non dei religiosi. Il desiderio di nuocere, la crudeltà della vendetta, l'animo non placato e implacabile, la ferocia della ribellione, la brama di dominare e simili: è questo che a ragione si biasima nelle guerre. È soprattutto per punire a buon diritto simili cose che le guerre vengono intraprese dai buoni, per ordine di Dio o di qualche altro potere legittimo, contro la violenza di chi si oppone, quando essi vengono a trovarsi in una congiuntura delle umane vicende tale che la situazione stessa li costringe giustamente o a ordinare qualcosa di simile o ad eseguirlo". 

Vediamo anche questo passaggio de La città di Dio, (1, 21):

Lo stesso magistero divino ha fatto delle eccezioni alla legge di non uccidere. Si eccettuano appunto casi d'individui che Dio ordina di uccidere sia per legge costituita o per espresso comando rivolto temporaneamente a una persona. Non uccide dunque chi deve la prestazione al magistrato. È come la spada che è strumento di chi la usa. Quindi non trasgrediscono affatto il comandamento con cui è stato ingiunto di non uccidere coloro che han fatto la guerra per comando di Dio ovvero, rappresentando la forza del pubblico potere, secondo le sue leggi, cioè a norma di un ordinamento della giusta ragione, han punito i delinquenti con la morte. Così Abramo non solo non ha avuto la taccia di crudeltà ma è stato anche lodato per la pietà perchè decise di uccidere il figlio non per delinquenza ma per obbedienza. E a buona ragione si discute se si deve considerare come comando di Dio il caso per cui Iefte sacrificò la figlia che gli andò incontro, giacchè aveva fatto voto di immolare a Dio l'essere che per primo gli fosse andato incontro dopo la vittoria. Non altrimenti è scusato Sansone per il fatto che si fece schiacciare assieme ai nemici nel crollo della casa, giacchè una ispirazione divina, che per suo mezzo compiva prodigi, glielo aveva comandato interiormente. Eccettuati dunque questi casi, in cui una giusta legge in generale o in particolare Dio, sorgente stessa della giustizia, comandano di uccidere, è responsabile del reato di omicidio chi uccide se stesso o un altro individuo.

Vediamo un’altra citazione tratta dalla citta di Dio, 4, 6, 15):

«Come chiamare una guerra fatta contro popoli inoffensivi, per desiderio di nuocere, per sete di potere, per ingrandire un impero, per ottenere ricchezze e acquistare gloria, se non un brigantaggio in grande stile? [...] Per i malvagi, fare la guerra è una fortuna; per i buoni, tuttavia, la guerra è una necessità. [...] I Romani hanno potuto conquistare un impero così grande combattendo guerre giuste, non empie, non inique.»

Quindi per Agostino i Romani avevano combattuto delle guerre giuste. 
Ma Gesù non aveva detto che dobbiamo amare i nostri nemici e che non dobbiamo resistere al malvagio? Agostino trovò  una risposta a questa obiezione: 

“si potrebbe supporre che Dio non abbia autorizzato la guerra perchè negli ultimi tempi il Signore Gesù Cristo disse: “Ma io vi dico: non contrastate il malvagio; anzi, se uno ti percuote sulla guancia destra, porgigli anche l'altra;” Tuttavia, la risposta è che ciò che è richiesto qui non è un'azione corporale ma una disposizione interna.” (1)

Come vediamo Agostino sosteneva che ci potessero essere delle “guerre giuste”. In realtà Agostino non fu il creatore della dottrina della “guerra giusta”. Fu Tommaso d’Aquino che, in pieno Medio Evo, giustificò la guerra come un mezzo per raggiungere un fine. Vediamo a tale proposito questa citazione di Tommaso d’Aquino (2): 

« In contrario, sant'Agostino afferma: "Quando s'intraprende una guerra giusta, ai fini della giustizia non interessa nulla che uno combatta in campo aperto o con imboscate". Agostino lo dimostra con l'autorità del Signore, che comandò a Giosuè di preparare un'imboscata agli abitanti di Ai. »

Come vediamo Tommaso cita Agostino, che fece enfasi in un episodio dell’Antico Testamento. I criteri della “guerra giusta” sono una chiara violazione degli insegnamenti di Gesù Cristo. Il Messia ha detto che non dobbiamo resistere al malvagio, come si nota nel Vangelo di Matteo (5, 39-42): 

Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pòrgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle. 

Naturalmente Agostino considerava che la guerra giusta potesse essere dichiarata solo dallo stato, ma così facendo stava dando allo stato il potere di sostituirsi a Dio, ovvero di andare contro le parole di Gesù Cristo, se fosse stato conveniente e opportuno. Questi scritti di Agostino hanno influenzato i teologi successivi, come Tommaso d’Aquino, tutto il periodo medievale, ma anche la società odierna, infatti oggi se lo stato impone alle persone di andare in guerra, la maggioranza di esse non obietterà e considererà giusto quell’ordine. 
Durante il periodo dell’ibrido costantiniano la Chiesa Cattolica assunse un potere sempre maggiore, con l’affermarsi del papato. L’ibrido considerava che la Chiesa Cattolica avesse potuto decidere quello che era giusto credere e praticare. Secondo l’ibrido era il governate temporale (che dipendeva a sua volta dal papa) che avrebbe deciso se una guerra era giusta o no. Quindi il “cristiano” si sentiva autorizzato ad uccidere, torturare o saccheggiare se quegli ordine erano stati dati dal suo re. Questo successe per esempio durante le crociate, uno dei momenti più bui della storia del Cristianesimo. 

Oltre per il concetto di guerra giusta Agostino si distinse anche per avere un concetto particolare della salvezza. Durante la sua vita ci fu un monaco britannico di nome Pelagio che sosteneva che non vi sia necessità della Grazia divina: per Pelagio l’uomo è capace da solo di scegliere il bene. In pratica per Pelagio l’uomo sarebbe capace di salvarsi con il libero arbitrio.
In effetti la posizione di Pelagio era contraria al Cristianesimo apostolico secondo il quale nessuno, senza la Grazia, può salvarsi. Tuttavia i primi cristiani hanno sempre sostenuto che i credenti hanno comunque un ruolo nella loro salvezza. Vediamo a tale proposito questo passaggio della Lettera agli Efesini (2, 8-9):

Infatti è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio. Non è in virtù di opere affinchè nessuno se ne vanti;

Secondo questi versi il credente si salva per Grazia e per fede. Egli deve essere disposto a rinunciare al mondo e portare la sua croce. Quindi, la salvezza dell’uomo viene, secondo la Bibbia, da Dio, ma anche dall’uomo. 
Agostino, per confutare le tesi di Pelagio sostenne l’esatto opposto, ossia che in seguito alla caduta di Adamo, l’uomo è completamente incapace di salvarsi. Inoltre per Agostino l’uomo non è libero di scegliere se credere o no, ma dipende totalmente dalla Grazia di Dio. Dio è colui che decide se salvare una persona o condannarne un’altra. Secondo Agostino, prima della fondazione del mondo, Dio ha predestinato chi sarebbe si sarebbe salvato e chi sarebbe stato condannato. Inoltre, sempre secondo Agostino, nessuno può fare nulla in questa vita per modificare questa situazione: gli eletti non potranno perdere la salvezza, mentre i non eletti non potranno guadagnarla. Questi concetti sono stati espressi nel suo libro “la predestinazione dei santi” (3).
E’ vero che il concetto di predestinazione è biblico, nel senso che Dio, essendo onniscente, conosce fin da prima della creazione chi si salverà e chi no (come si evince dalla Lettera ai Romani 8, 29-30), ma è anche vero che Dio ha dato all’uomo la possibiltà di scelta. Se l’insegnamento dogmatico di Agostino fosse giusto per quale motivo Gesù ci avrebbe esortato a divulgare la buona novella fino agli estremi della terra?  
Per quale motivo Gesù ci avrebbe esortato a costruire la nostra casa sopra la roccia se la decisione della nostra salvezza o della nostra condanna fosse stata già presa da Dio prima della creazione del mondo? 
Per quale motivo Gesù ci avrebbe avvertito di perseverare fino all’ultimo se non ci fosse nulla che noi potremmo fare per perseverare?

Vangelo di Matteo (9, 13):

“Ma chi persevererà sino alla fine, sarà salvato”

Ed inoltre, per quale motivo Gesù ha ordinato agli Apostoli di portare il Vangelo a tutte le nazioni, se la predicazione degli Apostoli non poteva cambiare nulla in riferimento alla salvezza o alla condanna delle persone?
Inoltre, per quale motivo Agostino sosteneva che gli eretici come Pelagio dovevano essere perseguitati e messi a tecere? Secondo la logica di Agostino gli eletti non possono perdere la salvezza mentre i non eletti non possono guadagnarla, quindi gli insegnamenti di Pelagio non avrebbero potuto fare alcun danno. 

Agostino ha introdotto anche il concetto non biblico che i morti si possono beneficiare del sacrificio dell’eucarestia. Vediamo a tale proposito questo passaggio del "Manuale sulla fede, speranza e carità" (cap. 110).

Non si deve nemmeno negare che le anime dei defunti ricevono sollievo dalla pietà dei propri cari che sono in vita, quando viene offerto per loro il sacrificio del Mediatore o si fanno elemosine nella Chiesa. Tutto questo però giova a quanti in vita hanno acquisito meriti che consentissero in seguito di ricavarne vantaggio. C’è infatti un tipo di condotta non così buono da non richiedere questi suffragi dopo la morte, nè così cattivo da non ricavarne giovamento dopo la morte; ve n’è poi uno talmente buono da non richiederne e viceversa uno talmente cattivo da non potersene avvantaggiare, una volta lasciata questa vita. È in questa vita perciò che si acquista ogni merito, che consente a ciascuno di ricavarne sollievo o oppressione. Nessuno però s’illuda di guadagnarsi presso Dio, al momento della morte, quanto ha trascurato quaggiù. Quindi tutte le pratiche solitamente raccomandate dalla Chiesa a favore dei defunti non sono contrarie all’affermazione dell’Apostolo: Tutti dovremo comparire davanti al tribunale di Dio, ciascuno per ricevere la ricompensa per quanto ha fatto finchè era nel corpo, sia in bene che in male; anche il merito di potersi giovare di queste cose, infatti, ciascuno se l’è procurato finchè viveva nel corpo. Ma non tutti se ne giovano: e perchè mai, se non perchè ciascuno ha condotto, finchè era nel corpo, una vita diversa? Ora, dal momento che vengono offerti sia i sacrifici dell’altare sia di qualunque altra elemosina, essi rendono grazie per chi è veramente buono; intercedono per chi non è veramente buono; per chi poi è veramente cattivo, non potendo in alcun modo aiutare i morti, cercano in qualche modo di consolare i vivi. Per quanti poi se ne giovano, il giovamento comporta o la piena remissione o almeno la possibilità di una condanna più tollerabile.

Agostino pertanto fu l’iniziatore del concetto del “suffragio”, ovverosia il concetto che opere buone compiute dai fedeli possano far si che le anime presenti nel purgatorio (concetto non biblico), possano ottenere da Dio la remissione della pena temporale dovuta per i peccati commessi durante la loro vita terrena. A tale proposito vediamo questa citazione di Agostino, che si rivolse a Dio con una preghiera per suffragare l’anima di sua madre (4): 

“Rimetti anche Tu a lei i suoi debiti, quelli che contrasse in tanti anni, dopo avere ricevuto l’acqua della salute. Rimettili, o Signore, rimettili, te ne supplico, non entrare in giudizio con essa…”

Ma secondo la Bibbia non ha valore pregare o chiedere intercessioni per i morti. Vediamo a tale proposito questo passaggio della Lettera agli Ebrei (9, 27-28):

E come è stabilito che gli uomini muoiano una volta sola, dopo di che viene il giudizio, così anche Cristo, dopo essere stato offerto una volta sola, per portare i peccati di molti, apparirà una seconda volta, senza peccato, a quelli che l'aspettano per la loro salvezza”.

Ciò  conferma che ognuno di noi ha una sola vita e noi siamo responsabili di come la viviamo. Una volta conclusa la vita non ci sono altre scelte da fare. L’unica cosa che rimane è affrontare il giudizio. 

Agostino d’Ippona ha contribuito a creare altri dogmi non biblici, come per esempio il culto di Maria e i successivi “quattro dogmi mariani”, o il battesimo agli infanti, con la credenza che esso abbia il potere di “togliere il peccato originale”. 
In definitiva Agostino d’Ippona si inserì molto bene nel periodo dell’ibrido costantiniano. La sua teologia influenzò  non solo la Chiesa, ma tutto il mondo occidentale per i sucessivi 1700 anni. 

Yuri Leveratto

Bibliografia: El reino que trastornò  el mundo, David Bercot.

Note: 
1-Nicene and post-nicene fathers, Philip Schaff, cap. 75, tomo 4, 301
2 - Somma teologica,  IIª-IIae q. 40 art. I
3-La predestinazione dei santi cap. 16-19

venerdì 15 maggio 2020

La riforma di Lutero fu un reale ritorno al Cristianesimo antico?


Durante il Medioevo si diffuse la credenza di considerare che una persona, per potersi salvare ed accedere al paradiso, dovesse, oltre a confessarsi con un prete, fare delle opere buone, o dei periodi di penitenza. Si individuano già vari errori dottrinali da questa credenza creata dalla tradizione. Innazitutto solo Dio può perdonare i peccati (Vangelo di Matteo 9, 1-7). Inoltre solo Gesù è l’unico mediatore tra Dio e gli uomini (prima lettera a Timoteo 2, 5). In secondo luogo se ci fossero delle opere che un peccatore dovrebbe fare per poter espiare i propri peccati, allora significherebbe che il sacrificio di Gesù non sarebbe stato sufficiente ad espiare tutti i peccati. La Scrittura infatti è chiara: (Lettera agli Efesini 2, 8-9):

“Infatti è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio. Non è in virtù di opere affinchè nessuno se ne vanti;”

Con il passare dei secoli s’iniziò a chiedere al peccatore di compiere delle opere riparatorie, come per esempio un pellegrinaggio, il digiuno, o un’elemosina ai poveri. In pratica si diffuse la credenza che per poter ottenere la salvezza, oltre alla confessione si dovessero compiere varie opere, che con il tempo crescevano sempre più. A partire dal secolo XIV ai peccatori venne data la possibiltà di fare un’offerta in denaro alla Chiesa Cattolica. Queste offerte avrebbero cancellato le pene temporali. In pratica il peccatore non avrebbe più dovuto fare digiuno o l’elemosina, ma sarebbe bastata una somma da versare alla Chiesa Cattolica. Fu l’inizio delle indulgenze, ossia il perdono dato al peccatore che se pagava, poteva omettere di fare penitenza. Presto questa pratica diventò un volgare commercio e si diffuse l’idea che l’indulgenza cancellasse non solo la pena temporale, ma anche la colpa. In questo caso si annullava il valore salvifico della morte di Gesù Cristo e si scambiava con un volgare pagamento. 
Durante i primi anni del XVI secolo il papa Leone X necessitava fondi per ricostruire la Chiesa di San Pietro e autorizzò il predicatore tedesco Johann Tetzel alla vendita delle indulgenze. Tetzel era noto per aver pronunciato questa frase: 

"quando cade il soldin nella cassetta/l'anima vola al cielo benedetta". 

Nel 1517 il frate agostiniano Martin Lutero criticò duramente la pratica di vendere le indulgenze ma la Chiesa Cattolica non gli rispose. Allora Lutero affise le 95 tesi contrarie alle indulgenze sul portone della Chiesa di Wittenberg, dove propose un dibattito pubblico sulla questione. 
Grazie all’invenzione della stampa, la critica di Lutero alle indulgenze si estese rapidamente a tutta Europa. Indubbiamente l’importanze del gesto di Lutero fu enorme. Però dobbiamo considerare che Lutero fu un monaco agostiniano, quindi essendo fedele alla teologia di Agostino d’Ippona sostenne che la salvezza era completamente predestinata da Dio. In altre parole per cercare di riparare a un gravissimo errore della Chiesa Cattolica, Lutero impose un punto di vista estremo: quello della salvezza per sola Grazia. Lutero seguiva la tesi agostiniana (ma non biblica), della predestinazione assoluta, ovvero solo per Grazia di Dio. Mentre la Scrittura dice che il peccatore è salvato per Grazia mediante la fede (lettera agli Efesini 2, 8). 
In pratica la visione agostiniana poi ripresa da Lutero, era quella di un uomo totalmente incapace di fare il bene e incluso di avere fede. Secondo questa visione è Dio che dà la fede e le buone opere a coloro i quali scelse arbitrariamente prima della fondazione del mondo. Gli altri invece sarebbero stati condannati eternamente anche se avessero fatto opere buone, perchè non sarebbero stati scelti da Dio. Se così fosse non si spiegherebbe il perchè Gesù esortò i suoi discepoli ad andare a diffondere il Vangelo in tutte le nazioni. (Vangelo di Matteo 28, 16-20).
Addirittura Lutero credeva che una persona non avrebbe potuto salvarsi se non avesse creduto nella dottrina della predestinazione assoluta. Vediamo questa sua dichiarazione: 

“Se non si ha conoscenza di ciò non si può avere fede ne adorazione di Dio. In realtà non conoscere ciò è disconoscere Dio. E con questa mancanza di conoscenza, la salvezza non si può ottenere. Poichè se uno dubito o non vuole sapere che Dio conosce tutto da sempre e fa la sua volontà sulle cose, come può credere, confidare e dipendere dalla sue promesse? Non lo vedrà qualcosa come sicuro e fedele, e ciò è mancanza di fede, la più grande delle malvagità, la negazione del Dio superiore” (1).

In effetti Lutero prese alla lettera molti insegnamenti di Agostino d’Ippona, tra i quali anche la dottrina della guerra giusta. Quando i contadini tedeschi si ribellarono alle condizioni inumane alle quali erano sottoposti dalla nobiltà, Lutero spinse i membri del potere nobiliare a reprimere la ribellione incitandoli con queste parole: 

“Questo non è il momento di dormire. Non c’è luogo per la pazienza o la misericordia. E’ il tempo della spada, non il giorno della grazia...qualsiasi contadino che sia assassinato si perde sia nel corpo che nell’anima e apparterrà eternamente al diavolo. Però i governanti hanno la coscienza tranquilla e hanno anche una causa giusta. Loro possono pertanto, dirgli a Dio in tutto cuore: “Guarda Signore, mi hai nominato principe o signore, di questo non posso dubitare. E mi hai permesso di usare la spada su coloro che fanno il male...pertanto castigherò e colpirò fino a che palpiterà il mio cuore. Tu sarai il giudice e farai bene le cose. Così può essere che chi muoia in battaglia dal lato di colui che governa sia un vero martire agli occhi di Dio...tempi strani questi, nei quali un principe può guadagnarsi il paradiso con un bagno di sangue, meglio di altri uomini con le loro preghiere! Usino i coltelli, colpiscano, mandino a morte tutti quelli che potete! Se morite facendolo vi faccio le mie felicitazioni! Non potreste avere una morte più piena di benedizioni.” (2)

La nobiltà lesse con attenzione le parole di Lutero e distrusse selvaggiamente gruppi di contadini durante la guerra dei contadini (1524-1526). I contadini che non erano morti in combattimento furono torturati e poi mandati a morte. In questo caso Lutero non applicò  i principi evangelici sull’amore insegnati da Gesù.

Forse Lutero spinse i cristiani a considerare la Bibbia come unica fonte di autorità? Il lemma “sola scriptura” fu diffuso come uno dei meriti della Riforma. Eppure esso fu solo un lemma, ma non fu trasformato nella pratica, in quanto anche Lutero interpretava a suo modo la Bibbia. Nei suoi commenti al Nuovo Testamento Lutero cercava di concentrare l’attenzione sui libri che confermavano la sua teoria della predestinazione assoluta e cercava di desviare l’attenzione dai libri che invece dimostravano che Dio, pur sapendo ogni cosa dal principio, non ha predestinato ogni uomo, ma ha lasciato libero ogni uomo di scegliere. Per esempio, commentando la Lettera ai Romani scrisse: 

“Questa lettera è realmente la parte importante del Nuovo Testamento e il Vangelo più puro”. (4)

Invece commentando la Lettera agli Ebrei scrisse: 

“C’è un problema nel fatto che nei capitoli 6 e 10, (la lettera) nega il pentimento per i peccatori dopo il battesimo e incluso lo proibisce. Nel capitolo 10 dice che Esaù cercò il pentimento e non lo trovò. Ciò sembra che vada contro i Vangeli e le lettere di Paolo. Anche se si può tentare di rendere fluido il testo, le parole sono così chiare che non so se con questo sia sufficiente. Considero che sia una lettera confusa, infatti non si tratta nessun tema in modo organizzato.” (5).

Come vediamo il lemma “sola scriptura”, fu solo un mito. In realtà per Lutero le Scritture non furono l’unica fonte di autorità, ma vi era anche l’interpretazione luterana delle stesse. 

Tutto ciò dimostra che la riforma di Lutero, benchè molto importante sotto il profilo della lotta contro il concetto stesso di indulgenza, non fu un vero ritorno al Cristianesimo antico, ma fu invece un ritorno al pensiero di Agostino d’Ippona che visse a cavallo tra il IV e il V secolo. E’ vero che Lutero combattè ed eliminò molte pratiche posteriori alla epoca di Costantino all’interno della Chiesa tedesca, come l’uso di immagini e reliquie, le preghiere ai santi, le messe per i defunti nel purgatorio, il celibato forzato per il clero e la vendita d’indulgenze. Considerando ciò Lutero avvicinò il Cristianesimo tedesco al Cristianesimo antico. Ma d’altro canto, ritornando alla teologia agostiniana, Lutero allontanò il Cristianesimo tedesco dal Cristianesimo antico. 

Yuri Leveratto

Bibliografia: El Reino que trastornò el mundo, David Bercot.
Note:
1- Lutero, De servo arbitrio, 1525.
2- Lutero, Against the murderous, thieving hordes of peasants
https://en.wikipedia.org/wiki/Against_the_Murderous,_Thieving_Hordes_of_Peasants
3- https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_dei_contadini
4- Lutero, Prefazione alla lettera ai Romani, Vol. 6
5- Lutero, Prefazione alla lettera agli Ebrei, Vol 6

Illustrazione: Luthers Thesenanschlag, Ferdinand Pauwels

Quando essere “cristiani del Regno” era illegale


C’è stato un periodo della storia medievale quando essere “cristiani del Regno” era illegale. Un primo esempio di questa situazione fu Arnaldo da Brescia (1090-1155), un credente che cercò di riformare la Chiesa Cattolica del XII secolo. 
Arnaldo sosteneva che tutti i membri del clero, dal papa fino all’ultimo sacerdote, dovessero vivere in povertà, come gli Apostoli. Egli denunciò che i membri del clero possedevano terre, praticavano la simonia e l’usura. Arnaldo fu inizialmente condannato come eretico dal Concilio Lateranense II e si rifugiò in Francia e in Boemia. Nel 1145 ottenne il perdono da papa Eugenio III e ritornò in Italia dove continuò a predicare un ritorno al Vangelo e denunciare che la Chiesa Cattolica aveva perso la visione di come si diffonde il messaggio cristiano. Ancora una volta Arnaldo predicò che la Chiesa Cattolica avrebbe dovuto spogliarsi delle sue ricchezze e dedicarsi esclusivamente alla predicazione del Vangelo di Cristo. Arnaldo sostenne che il papato con il suo potere temporale era completamente incompatibile con il messaggio evangelico. Sostenne l’idea di creare una Repubblica Romana in contrapposizione al potere temporale dei papi e inizialmente fu appoggiato dalle masse. Ma quando l’imperatore Federico Barbarossa si diresse verso Roma, il papa Adriano IV accettò di incoronarlo a patto che gli fosse consegnato Arnaldo. Federico Barbarossa fece quindi imprigionare Arnaldo che dopo poco tempo fu arso vivo a Roma. 
Un altro cristiano del Regno contemporaneo ad Arnaldo fu il francese Pierre de Bruys (1095-1131). Per Pierre de Bruys le chiese cattoliche erano uno spreco di risorse che avrebbero potuto essere usate per i poveri. Il centro del suo insegnamento era un deciso ritorno al Vangelo e al Cristianesimo antico. Secondo lui il battesimo agli infanti, che era stato introdotto da Agostino d’Ippona, non aveva valore, perchè solo la fede in Cristo porta alla salvezza e i bambini appena nati non possono averla. Pierre de Bruys considerava inoltre che le opere fatte in beneficio dei morti sono inutili. Quindi già mille anni fa vi erano cristiani del Regno che contestavano le messe per i defunti. Inoltre Pierre de Bruys diceva ai suoi seguaci che non avrebbero dovuto venerare o adorare la croce o altre immagini o statue. In pratica egli era fortemente avverso ad ogni tipo di idolatria. La Chiesa cattolica gli vietò di continuare la sua predicazione intorno al 1120. Egli non obbedì e continuò nelle sue predicazioni. Nel 1131 le gente di Sant Gilles, un piccolo comune dell’Occitania, esasperata dal fato che Pierre de Bruys continuasse a bruciare statue soggette ad adorazione, lo uccise bruciandolo in un rogo.  
Ci furono altri cristiani del Regno, come per esempio Enrico di Losanna, che fu ucciso per le sue predicazioni nel 1148. Essi avevano in comune l’approccio semplice al Vangelo, che vedevano come l’acqua fresca di una sorgente di montagna. Non erano esperti di teologia, e proprio per questo seguivano alla lettera il Nuovo Testamento. Proprio questo è il cristianesimo del Regno, seguire alla lettera il Nuovo Testamento e comprenderne il suo significato più semplice e diretto. 
Il personaggio più importante di questa epoca fu però Valdo (1140-1206), un ricco commerciante di Lyon. 
Valdo era un buon cattolico. Ogni domenica era presente alla messa. Presto però Valdo entrò in crisi. Siccome voleva essere un vero discepolo di Gesù si rese conto che tutte le sue ricchezze rappresentavano per lui un fardello troppo pesante da portare. Ad un certo punto, prese la decisione della sua vita e diede gran parte delle sue ricchezze ai poveri. L’altra parte delle sue ricchezze fu utilizzata per tradurre alcune parti del Nuovo Testamento nella lingua che si parlava a Lyon. Quando i suoi concittadini gli chiesero il perchè della sua decisione Valdo rispose che tutte quelle ricchezze stridevano con il messaggio del Vangelo, in particolare con la parabola del giovene ricco, Vangelo di Matteo (19, 21):

“Gesù gli disse: «Se vuoi essere perfetto, va', vendi ciò che hai e dàllo ai poveri, e avrai un tesoro nei cieli; poi, vieni e seguimi».

Presto Valdo ebbe dei seguaci. Insieme a loro predicava il Vangelo del Regno alla popolazione di Lyon. Predicava loro di spogliarsi dei propri beni e seguire l’insegnamento di Gesù Cristo sull’amore e sul perdono. Insomma il Regno di Dio era giunto a Lyon e stava sconvolgendo quella città. Valdo e i suoi seguaci non ebbero nessuna intenzione di fondare una nuova chiesa, anzi non ebbero neppure idea di uscire dalla Chiesa Cattolica, ma semplicemente volevano vivere un cristianesimo autentico all’interno della Chiesa Cattolica e vivere in armonia con gli altri credenti. 
Il gruppo dei seguaci di Valdo si autodenominò “poveri in spirito”. Quello che è importante sottolineare è che i “poveri in spirito” non insegnarono nessuna dottrina nuova, ma predicavano lo stesso messaggio che Gesù aveva predicato. Però loro non avevano chiesto il permesso di predicare alla Chiesa Cattolica e manifestoro l’intenzione di voler continuare a predicare nelle strade di Lyon e dei villaggi vicini. 
Tutto ciò non piacque all’arcivescovo locale, che vide in loro un gruppo di persone non preparate teologicamente che predicavano basandosi solo sulla Bibbia. In pratica un gruppo di persone non ordinate e non preparate dalla Chiesa Cattolica stava predicando liberamente e ciò non poteva essere tollerato. Che cosa temevano i prelati ecclesiastici? Forse temevano che leggendo il Nuovo Testamento alla lettera, i “poveri di spirito” finissero per rendersi conto che molti dogmi introdotti secoli addietro da Agostino d’Ippona erano completamente assenti nel libro della Nuova Alleanza. Come sappiamo fin dall’epoca di Costantino la Chiesa Cattolica aveva avuto il monopolio e l’esclusiva delle predicazioni. In effetti una delle caratteristiche dell’ibrido costantiniano fu la prassi che solo le persone autorizzate dalla Chiesa istituzionale potevano predicare il Vangelo con tutta sicurezza. Pertanto l’arcivescovo intimò a Valdo di presentarsi davanti a lui e quindi proibì a lui e ai suoi seguaci di continuare a predicare. Valdo però non accettò l’ordine dell’arcivescovo e rispose che la predicazione deve far parte di ogni cristiano che vuole vivere realmente come gli Apostoli di Gesù. 
Tutto ciò provocò l’ira dell’arcivescovo, ma Valdo aveva un’ingenua fiducia nella Chiesa Cattolica e così viaggio a Roma nella speranza di presentare il suo caso al papa. Il papa ripose loro che l’arcivescovo aveva giurisdizione per occuparsi del suo caso. Valdo però durante il terzo concilio lateranese fu sottoposto a un breve test da parte di un monaco inglese, che si chiamava Walter Map. 
Ecco il testo della conversazione (1): 
“-Ditemi, voi credete in Dio Padre?
-Si, certo. 
-E nel Figlio?
-Si certo.
-E nello Spirito Santo?
-Si.
-E, ...nella madre di Cristo?
-Si.” 
Dopo quest’ultima risposta i delegati del concilio si burlarono dei “poveri di spirito” che di lì a poco si ritirarono. Ma, quale era il motivo di quella burla? Valdo e i suoi seguaci non potevano sapere che centinaia di anni prima durante il concilio di Efeso a Maria era stato dato il titolo di “Madre di Dio”. Pertanto quando essi dissero che credevano nella “madre di Cristo” dimostrarono che non erano preparati teologicamente. Però le Scritture non si riferiscono mai a Maria come la “Madre di Dio” e i “poveri in spirito” erano studiosi delle Scritture. Essi conoscevano solo il Vangelo del Regno e in realtà era solo quello che necessitavano conoscere. 
Quando tornarono a Lyon Valdo e i suoi seguaci ripresero le predicazioni. I vertici ecclesiastici locali tornarono a ordinar loro di non predicare più e Valdo rispose citando Pietro negli Atti degli Apostoli: (4, 19-20):

"Ma Pietro e Giovanni risposero loro: «Giudicate voi se è giusto, davanti a Dio, ubbidire a voi anziché a Dio. Quanto a noi, non possiamo non parlare delle cose che abbiamo viste e udite". 

A quel punto i vertici ecclesistici di comune accordo con le autorità civili obbligarono Valdo e i suoi seguaci a un esilio forzato. Essi non potevano più rimanere a Lyon. Ma questa decisione fu accettata di buon occhio da Valdo che iniziò con i suoi seguaci a predicare il Vangelo del Regno in tutto il sud della Francia. Ovviamente continuavano a parlare bene della Chiesa Cattolica e a non volersi distaccare da essa. 
A questo punto i Valdesi (così venivano chiamati dal clero), mentre peregrinavano nel sud della Francia vennero in contatto con alcuni predicatori del Regno: erano i seguaci di Pierre de Bruys e Enrico di Losanna. Valdo si rese conto che essi erano cristiani del Regno, ma essi, siccome avevano un attitudine critica nei confronti della Chiesa Cattolica, iniziarono ad esporre le loro tesi ai valdesi. Essi attaccavano la Chiesa Romana per le sue ricchezze e per il suo potere mondano. Inoltre segnalavano che la venerazione di immagini e le preghiere per i morti non erano bibliche. Tutto ciò era completamente nuovo per Valdo e i suoi seguaci, che però si misero a leggere la Bibbia e si diedero conto che quelle critiche erano giuste. E quindi anche loro iniziarono a denunciare gli errori e i peccati della Chiesa Cattolica. 
La Chiesa Cattolica reagì molto presto. Nell’anno 1184 il Concilio di Verona condannò i valdesi come scismatici pericolosi (ma non come eretici). Fu proprio Walter Map, quello che aveva tratto in inganno Valdo con la sua domanda trabocchetto che scrisse (2): 

“Queste persone non hanno un domicilio fisso, ma viaggiano due a due, scalzi e vestiti con tuniche di lana. Loro non sono padroni di nulla, ma mettono tutto in comune, seguendo i modi degli Apostoli. Nudi, essi seguono a un Cristo nudo. Hanno iniziato in modo molto umile e ancora non hanno molti seguaci, tuttavia, se li lasciamo fare, finiranno per cacciarci tutti via.”

Ancora una volta il potere temeva che i mansueti e gli umili avrebbero sconvolto il mondo. Finalmente la Chiesa Cattolica, nel 1190 li condannò come eretici esponendoli alla possibiltà di una repressione crudele e alla morte. 
Ma Valdo e i suoi seguaci non si persero d’animo e continuarono a predicare nel sud della Francia. Quindi passarono le Alpi e giunsero in Lombardia dove si incontrarono con dei seguaci di Arnaldo da Brascia. Ancora una volta ci fu uno scambio di opinioni e ancora una volta Valdo si rese conto ancor di più che la Chiesa non dovrebbe mischiarsi con il potere e con lo stato. I due gruppi di credenti si unirono, erano pronti a sconvolgere il mondo, a predicare ancora una volta il Vangelo del Regno. 
Poco dopo che i due movimenti si unirono, Valdo morì. Ma il movimento continuò, infatti queste persone non erano proprio seguaci di Valdo, ma in realtà erano seguaci di Gesù. 
I valdesi si resero conto che la corruzione della Chiesa avvenne nel periodo costantiniano, quando si formo e prese corpo la religione cattolica. Quindi divisero la storia della Chiesa in due chiari periodi: quello del testimonio fedele (la chiesa antica, fino a Costantino) e quello del tradimento (da Costantino in poi). Però significava che tutti i cristiani del Regno erano scomparsi dopo Costantino? No di certo! Essi credevano che nei secoli seguenti a Costantino la luce del Regno si era oscurata, ma non si era mai spenta. (3)
L’insegnamento dei valdesi era molto semplice. Non vi era molta teologia nelle loro prediche. Essi sostenevano che “nessuno può essere un vero cristiano se non ha abbandonato sul serio la sua vita al Signore Gesù Cristo”(4). Essi sostennero che l’accumulazione delle ricchezze era contro il Vangelo del Regno e sostennero che un cristiano non può usare la spada neppure se obbligati in caso di guerra. Inoltre si dimostrarono uomini d’onore che non avevano bisogno di giurare, proprio in un periodo, il medio evo, dove la pratica di giurare era tornata in auge come nell’Antico Testamento. I valdesi furono appasionati studiosi della Bibbia e anche se avevano iniziato a predicare come cattolici, con il tempo abbandonarono tutte le pratiche e dottrine non bibliche come il purgatorio, le messe per i defunti, le intercessioni di Maria e i santi, la venerazione e adorazione di immagini e di croci.
Gli evangelisti valdesi continuarono a predicare anche se sapevano che avrebbero potuto essere l’obiettivo della Chiesa Cattolica, che avrebbe potuto torturarli e metterli a morte. I valdesi vissero per circa quattro secoli in costante pericolo. 
Nel 1488 e 1489 le milizie papali assalirono alcuni gruppi di valdesi con una crudeltà incredibile. Fu il cosidetto massacro del Piemonte dove furono massacrati migliaia di valdesi. 
Agli inizi del 1500 la maggioranza dei valdesi era stata sterminata. Tuttavia il movimento sopravvisse a queste orribili persecuzioni, anche se in forma ridotta e limitata. Ma anche così i pochi valdesi rimasti non vollero smettere di predicare, e utillizzarono un nuovo mezzo di divulgazione: la stampa. 

Yuri Leveratto

Bibliografia: El reino que trastornò el mundo, David Bercot
Note:
1-Giorgio Tourn – You are my witnesses (Torino, Claudiana editrice, 1989), 14
2-Giorgio Tourn – Tou are my witnesses (Torino, Claudiana editrice, 1989), 20
3- Giorgio Tourn – Tou are my witnesses (Torino, Claudiana editrice, 1989), 36
4- Giorgio Tourn – Tou are my witnesses (Torino, Claudiana editrice, 1989), 37

Immagine: statua di Valdo ubicata a Worms (Germania).

mercoledì 19 febbraio 2020

Il significato della Trasfigurazione


Gesù, insieme a Pietro, Giovanni e Giacomo salì su un alto monte (Vangelo di Matteo 17, 1-8). 
La montagna è il simbolo della immutabilità e quindi dell’eternità. Pensiamo al monte Moriah, al Sinai, al Monte degli Ulivi. La montagna è il luogo dove avvengono le iniziazioni, e dove il cammino spirituale si fa più chiaro. La montagna è vicina a Dio. In quel luogo Gesù si trasfigura, assume cioè una forma diversa, molto luminosa. Ciò significa che Gesù assunse una forma divina, pur non abbandonando la sua natura umana. Gesù rivela la sua gloria in tutta la sua pienezza, e la rivela prima ai suoi discepoli e poi a Mosè ed Elia. Nel passaggio del Vangelo di Luca (9, 31), Mosè ed Elia parlavano con Gesù della “sua dipartita”, ossia della sua morte, che ebbe valore salvifico per tutta l’umanità. Significativo come, in un momento soprannaturale di massima luce e gloria, Gesù parlasse della sua successiva umiliazione e morte. Ciò fa comprendere che la Trasfigurazione va compresa alla luce del Calvario. 
La gloria del Cristo eterno nel suo stato pre-incarnato era grandiosa, magnifica. Nella Trasfigurazione Gesù assume forma divina. Ma l’apice massimo della sua gloria, in riferimento a noi umani, si ebbe quando, Gesù Cristo morì per noi sulla croce, concedendoci così la Grazia e la possibilità di diventare figli di Dio, in modo che noi potessimo ottenere una gloria maggiore di quella che perdemmo quando abbiamo peccato seguendo l’atto di Adamo. In altri termini, la più alta gloria di Dio è Gesù Cristo, manifestato in forma divina nella Trasfigurazione, e la più alta gloria di Gesù Cristo è stata la sua umiliazione e la sua morte in croce per noi.
Mosè ed Elia rappresentavano la Legge e i profeti, ma la voce di Dio dal cielo significava che sia la Legge che i profeti dovevano cedere il passo alla Grazia di Cristo. 
Pietro che fu testimone oculare dell’evento, lo riportò poi nella sua seconda lettera, vediamo il passaggio corrispondente: Seconda Lettera di Pietro (1, 16-18): 

Infatti vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del nostro Signore Gesù Cristo, non perchè siamo andati dietro a favole abilmente inventate, ma perchè siamo stati testimoni oculari della sua maestà. Egli, infatti, ricevette da Dio Padre onore e gloria quando la voce giunta a lui dalla magnifica gloria gli disse: «Questi è il mio diletto Figlio, nel quale mi sono compiaciuto». E noi l'abbiamo udita questa voce che veniva dal cielo, quando eravamo con lui sul monte santo.

Yuri Leveratto

immagine: La Trasfigurazione, Raffaello.

mercoledì 22 gennaio 2020

Cambiare paradigma?


Oggigiorno la maggioranza delle persone seguono esattamente il paradigma darwinista-materialista-positivista che la società ci impone fin da bambini. E’ stato Herbert Spencer il fautore di questa filosofia che ancora oggi domina il mondo. Secondo questo paradigma la vita si è originata per caso e l’uomo è quindi frutto del caso. Alla base di questa filosofia vi è il concetto che l’uomo non sia altro che un ammasso di carne, muscoli, nervi e terminazioni nervose, in pratica un robot di carne e ossa, che si è evoluto da altri animali. Secondo questo concetto l'uomo è pertanto un animale sviluppato. Siccome gli animali nel loro ambiente lottano per la sopravvivenza, anche l’uomo dovrebbe lottare per la sopravvivenza e quindi imporsi sugli altri. L’uomo-macchina, privato della sua spiritualità viene appiattito, liquefatto. E’ un semplice robot che deve sottostare alle leggi di mercato. Da questa concezione darwinista-materialista-positivista deriva tutto un modo di considerare la vita e la società: per esempio si avalla la produzione e la vendita di armi ad altri paesi, in nome dell’economia, quando lo stato potrebbe benissimo caricarsi della riqualificazione e inserimento dei lavoratori di aziende militari in altri ambiti di lavoro. Si avalla l’importazione di beni di consumo, da paesi lontani, contribuendo all'inquinamento globale dovuto ai sistemi di trasporto navale per poter usufruire di questi beni. Si avalla un educazione meccanicistica e materialistica che insegna all'uomo a costruire, ma non al rispetto dell’uomo e dell’ambiente, in quanto il fine ultimo da perseguire è sempre il profitto. Si avalla una medicina ufficiale che tenta di sconfiggere la malattia con il metodo riduzionistico, affrontando i sintomi e non le cause della malattia, e spesso addirittura sostituendo le parti malate come fossimo realmente degli androidi robotici. E invece persino la medicina psicosomatica ammette che la nostra psiche (parola greca che significa anima, sede della coscienza, delle emozioni e delle sensazioni) è spesso la causa delle malattie. Allora perchè  non basare gli studi di medicina sulla cura dell’anima? Siamo esseri dotati di corpo, anima e spirito e nessuno mai potrà cambiare questa meravigliosa realtà. Perchè  non insegnare che la parte psichica influenza non solo le malattie, ossia i disequilibri, ma anche i comportamenti delle persone? 
Iniziamo noi ad attuare un cambio. Siamo noi cristiani che dobbiamo dare l’esempio. Noi sappiamo che la tri-unità dell’essere umano è fatta di spirito, anima e corpo (“Or il Dio della pace vi santifichi egli stesso completamente; e l'intero essere vostro, lo spirito, l'anima e il corpo, sia conservato irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo.” 1 Tessalonicesi 5, 23). 
Iniziamo così a curare la nostra anima, mettendo in pratica il perdono. Impariamo a perdonarci e a perdonare chi ci ha offesi. Ne otterremo serenità e quindi salute. Impariamo a considerare gli altri come delle persone, dotate di volontà, intelletto e sentimenti e non come dei golem, privi di spirito il cui compito è solo quello di produrre e consumare. Impariamo ad ascoltare il prossimo e a considerare la sua parte animica, dove vi è la sua coscienza, le sue emozioni, le sue sensazioni e i suoi istinti. Impariamo a rendere grazie a Dio per il cibo con il quale ci nutriamo, che ci fornisce le sostanze per affrontare la nostra vita. Impariamo a conoscerci, per individuare come la nostra psiche influisce sul nostro corpo. Impariamo a comprare in modo corretto, selezionando prodotti locali e a bassa impronta ecologica. Iniziamo a considerare che alla base dei processi sociali non vi è la competizione, ma la collaborazione. Spargiamo onde di amore e di perdono. Solo così, nel nome di Gesù Cristo, potremo aiutare anche gli altri a cambiare. Iniziamo a pensare di poter cambiare paradigma. 
Qual’è il senso di questi versi?: 
“Allora Gesù disse loro: «Figlioli, avete del pesce?» Gli risposero: «No». Ed egli disse loro: «Gettate la rete dal lato destro della barca e ne troverete». Essi dunque la gettarono, e non potevano più tirarla su per il gran numero di pesci.” (Vangelo di Giovanni 21, 5-6).
Gli Apostoli avevano conosciuto Gesù e avevano creduto che Lui fosse il Figlio di Dio. Lui aveva indicato loro la via di amore e di perdono, ma loro non erano stati capaci di percorrerla. Nella prima frase Gesù si rivolge ai suoi discepoli sapendo che loro non lo hanno riconosciuto. Vuole provare la loro buona volontà, la loro bontà. Chiede loro qualcosa da mangiare. Ma loro, in modo molto secco, risposero: “no”. Quindi i discepoli di Gesù non furono in grado di parlare in modo gentile a uno sconosciuto. Avrebbero potuto dirgli. “Aspetta, forse possiamo cercare qualcosa da darti da mangiare”, ma risposero: “no”. Nella seconda frase Gesù dice loro di gettare la rete dalla parte destra della barca. Questa frase è un’allegoria che significa che solo cambiando il nostro paradigma, potremo riuscire a seguire Gesù. Gettare la rete dove normalmente si getta, significa uniformarsi al mondo, essere conformisti, seguire le masse, applicare la regola d’oro passiva (non biblica) “non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te”. Gettare la rete dal lato destro invece significa essere anticonformisti, applicare la regola d’oro attiva (biblica): “fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te”. (dal Vangelo di Matteo 7, 12).
Solo con un cambio di paradigma totale, che implica una rinascita spirituale, potremo mettere in pratica gli insegnamenti di Gesù e quindi dare dei frutti. In questo modo non solo il credente farà del bene, ma attirerà altri a Cristo. E infatti quando i discepoli attuano il “cambio”, cioè gettano la rete dal lato opposto di dove normalmente si getta, pescarono molti pesci. Una volta attuato il cambio di paradigma, il credente ottiene molti frutti, riesce a divulgare il Vangelo ad altri, riesce a far fruttificare i propri talenti, riesce ad attrarre persone a Cristo. 
Questa seconda pesca miracolosa quindi, se vista in chiave allegorica, significa che solo con l’insegnamento di Gesù (il cambio di paradigma), vi saranno frutti reali.

Yuri Leveratto

Yuri Leveratto

mercoledì 25 dicembre 2019

Teoria e pratica del perdono



Oggigiorno anche tra persone cristiane si sente molta opposizione al concetto di perdono. Le frasi che di solito si sentono dire quando si nomina il perdono sono: “non riesco a perdonare”, o “io perdono solo se prima lui mi chiede perdono!”, oppure, “ma bisogna perdonare pure gli assassini?
La risposta è  che dal punto di vista cristiano, bisogna perdonare sempre, e per primi senza aspettare che ci venga chiesto perdono. 
Ma veniamo a definire che cosa non è, e poi che cosa è  il perdono. 
Innanzitutto il perdono non significa dimenticare. Perdonare significa vedere con occhi diversi. 
Il perdono non significa negare il dolore. Il dolore c’è  e ci vorrà del tempo per attenuarlo. 
Il perdono non significa tollerare le ingiustizie. Se vi è  un’ingiustizia essa va denunciata all'autorità.
Il perdono non significa condonare le ingiustizie. Se vi è  stata un’ingiustizia è  corretto che chi l’ha perpetrata paghi la pena prevista dalla giustizia terrena. 
Se il perdono non è  tutte queste cose, allora che cosa è ? Vediamo una citazione dello psicologo Robert Enright:

“il perdono è la disposizione ad abbandonare il diritto al risentimento, al giudizio negativo e alla condotta indifferente verso chi ci ha offesi ingiustamente, coltivando piuttosto atteggiamenti di compassione e bontà verso quella persona”. (1)

Percui, secondo questa definizione, perdonando si abbandona il risentimento, ma anche la condotta indifferente, verso chi ci ha offesi e gli si tende la mano, cercando di provare compassione e bontà verso di lui. 

Un concetto importante del perdono è  poi quello del perdonarsi, ossia perdonare se stessi. Quante volte sentiamo questa frase: “non riesco a perdonarmelo”. 
Ma per noi cristiani vi è la certezza che Gesù è morto per noi sulla croce. Per noi vi è la certezza che Gesù è morto per noi e ha espiato tutte le nostre colpe. Dobbiamo perciò avere la certezza che abbiamo già ricevuto il suo perdono, e dobbiamo guardare avanti. 
Soffermiamoci brevemente sull’insegnamento di Gesù sul perdono. 

Il primo insegnamento di Gesù sul perdono è inserito nella preghiera del “Padre nostro”. Vediamo il passaggio corrispondente, Vangelo di Matteo (6, 12):

E perdonaci i nostri debiti, come anche noi perdoniamo ai nostri debitori. 

Gesù indica che vi sono “debiti”, ossia “colpe”. Ogni colpa causa un risentimento e quindi una ritorsione. Ma per Gesù la colpa può essere superata solo attraverso il perdono, e non attraverso la ritorsione, o peggio, la vendetta. Dio perdona le nostre colpe, se realmente ci pentiamo, ma il suo perdono assume significato se anche noi perdoniamo chi ci ha fatto un torto.
Poco più avanti infatti Gesù afferma, Vangelo di Matteo (6, 14-15):

Perchè, se voi perdonate agli uomini le loro offese, il vostro Padre celeste perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonate agli uomini le loro offese, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre.

Quante volte noi cristiani dobbiamo perdonare? Di solito si ascoltano frasi come: “io ho già perdonato una volta, ora non lo perdono più”. 

L’insegnamento sul perdono è spiegato molto bene anche in un’altra parabola, quella del “figliol prodigo”, conosciuta anche come “parabola del padre misericordioso” (Vangelo di Luca, 15, 11-32). 
In questa parabola, si racconta di un figlio che volle farsi dare l’eredità che gli spettava in anticipo, e poi se ne andò in un paese lontano sperperando tutti i suoi beni. Quando, in seguito ad un periodo di carestìa, si ritrovò in una situazione difficile, decise di tornare da suo padre. Nel verso ventesimo si legge: “Si mise in cammino e ritornò da suo padre. Mentre era ancora lontano, suo padre lo vide e ne ebbe compassione. Gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò.” 
Si nota pertanto che il padre perdonò il figlio prima che il figlio gli chiese perdono. Il perdono deve essere pertanto un atto non condizionato alla richiesta di perdono. Deve essere dato sempre e senza condizioni. 

Quale è l’esempio massimo di perdono? Dio ci ha perdonato per primo inviando suo Figlio. 
Questo concetto è stato ribadito anche da Paolo di Tarso, il quale ha scritto che è stato Dio che ci ha riconciliato a sè per mezzo di Gesù Cristo, facendo Lui il primo passo verso di noi, anche se noi eravamo peccatori. Vediamo a tale proposito questo passaggio della Seconda Lettera ai Corinzi (5, 18-19):

Ora tutte le cose sono da Dio, che ci ha riconciliati a sè per mezzo di Gesù Cristo e ha dato a noi il ministero della riconciliazione, poichè Dio ha riconciliato il mondo con sè in Cristo, non imputando agli uomini i loro falli, ed ha posto in noi la parola della riconciliazione.

Secondo il Vangelo di Gesù Cristo quante volte si deve perdonare?

A tale proposito vediamo un altro passaggio del Vangelo di Matteo (18, 21-22), dove Gesù insegna a perdonare sempre, senza limiti:

Allora Pietro, accostatosi, gli disse: «Signore, se il mio fratello pecca contro di me, quante volte gli dovrò perdonare? Fino a sette volte?». Gesù gli disse: «Io non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. 

questo passaggio si contrappone con il passaggio di Genesi 4, 24: 

Se Caino sarà vendicato sette volte, Lamec lo sarà settantasette volte.

Quindi alla vendetta degli ingiusti dell’Antico Testamento si contrappone il perdono dei giusti del Nuovo Testamento. 

Il perdono che ci ha offerto Gesù è  pertanto un atto sublime. Gesù ha persino perdonato i suoi carnefici. Ecco infatti la famosa frase che ha pronunciato sulla croce e riportata nel Vangelo di Luca (23, 34):

Padre perdonali perchè non sanno quello che fanno

Nel Nuovo Testamento dove si afferma il valore salvifico della morte in croce di Gesù, atto sublime con il quale sono stati perdonati tutti i peccati. Innanzitutto questo primo passaggio del Vangelo di Matteo (26, 27-28):

Poi prese il calice, rese grazie e lo diede loro, dicendo: «Bevetene tutti, perchè questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti per il perdono dei peccati. 

“Offrire se stesso” è stato pertanto l’atto di perdono più grande di tutti tempi, che ha annullato il peso infinito dei peccati contro Dio, con il valore infinito del sacrificio finale e perfetto.
Vediamo ora una frase del Gesù risorto, riportata nel Vangelo di Luca (24, 46-47):

Ed aggiunse: “Così sta scritto: il Cristo doveva patire e il terzo giorno risuscitare dai morti; nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati. 

In questa frase si ribadisce che chi si converte, credendo nel sacrificio salvifico di Gesù, ottiene il perdono dei peccati.

Noi cristiani dobbiamo inoltre anche “farci altri”, cioè  partecipare alla sofferenza degli altri e indicare alle parti la via del perdono. 
Gesù ci indica quindi che non è solo possibile essere perdonati, ma è necessario perdonare. Perdonare sempre.
E’ necessario diventare agnelli per espiare i peccati di altri. Chi si proclama cristiano deve poter attuare la «riparazione vicaria». Farsi altro, farsi vittima e caricarsi del peso di un ingiustizia in modo da rendere meno arduo il processo di riconciliazione. Essere ministri di riconciliazione. 
Paolo di Tarso ci invita ad essere un sacrificio vivente: Lettera ai Romani 12-1:  

“Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a presentare i vostri corpi in sacrificio vivente, santo, gradito a Dio; questo è il vostro culto spirituale."

Quindi se il Figlio di Dio è morto per noi non esiste sacrificio troppo grande che noi possiamo fare per Lui.

Per approfondire il tema del perdono è  utile considerare il metodo pratico del missionario colombiano Leonel Narvaez. 
Secondo Narvaez il risentimento porta al rancore e alla vendetta. La persona che non è capace di perdonare vive in uno stato continuo di insicurezza, si sente schiava del passato, non comprende perchè quella situazione è successa a lei, è incapace di socializzare. 
Eppure la persona umana è caratterizzata dallo spirito che è a sua volta formato da: intelletto, sentimenti e volontà. 
La persona umana è caratterizzata quindi dalla volontá, la facoltà di mantenere delle promesse (patti) e dalla capacità di perdonare ed essere perdonato. 

Leonel Narvaez ha indicato cinque passi per arrivare a perdonare: 
1-Accettare di essere nell’oscurità e voler passare dalle tenebre alla luce.
2-Decidere di perdonare. Il perdono è completamente irrazionale.
3-Guardare con nuovi occhi. (non dimenticare, ma guardare in modo diverso).
4-Comprendere chi ti ha fatto un offesa. Sviluppare la compassione, cercare di somigliare a Gesù. 
5-Rompere le catene con il passato: perdonare. (Chi non perdona continua a guardare indietro ed è schiavo del proprio passato). 

Inoltre Leonel Narvaez ha indicato cinque passi per arrivare alla riconciliazione, che si può definire come l’esercizio di recupero nella fiducia del prossimo
1-conoscere la verità: come si sono svolti i fatti
2-deve essere applicata una giustizia restaurativa.
3-ci deve essere una compensazione (in denaro, aiuti materiali).
4-realizzare un patto dove si sancisca che il fatto non si ripeterà. 
5-celebrare la riconciliazione.

Daniel Narvaez indica che vi possono essere tre gradi di riconciliazione: coesistenza, convivenza, comunione
Secondo Narvaez può esserci perdono senza riconciliazione, ma non può  esserci riconciliazione senza perdono. 

Yuri Leveratto

Note:
1-Enright Robert, Freedman Suzanne, Rique Julio, Interpersonal forgiveness, in Enright Robert e North J., Exploring forgiveness, University of Wisconsin Press Madison 1988, pp.46-47

Bibliografia: - La rivoluzione del perdono”, Leonel Narvaez, Alessandro Armato.

Qui potete trovare il mio commento video: https://www.youtube.com/watch?v=SOgqeBHR-_M