mercoledì 7 marzo 2018

L’insegnamento di Gesù sul valore dell’anima


Oggigiorno vi sono varie persone che sostengono che il concetto di “anima” sia estraneo al Cristianesimo delle origini. Queste persone sostengono erroneamente che Gesù non avrebbe parlato di anima, e che neppure nell’Antico Testamento vi fosse il concetto di anima o di sopravvivenza dopo la morte.
Queste tesi sono facilmente confutabili con la Bibbia stessa, ma vi è di più: è Gesù stesso che ha sviluppato il concetto di anima e le ha dato un valore assoluto, immenso, ridisegnando completamente il concetto di uomo, come vedremo nell’articolo.
Innanzitutto vediamo che nell’Antico Testamento si utilizza il termine nefesh (anima) (1). Per esempio lo si vede in Genesi (1, 20), (1, 21), (1, 24), (1, 30), quando si descrive la creazione degli animali, ma anche in Genesi (2, 7), quando si descrive la creazione dell’uomo. La differenza tra anima e spirito si nota molto bene in Giobbe (12, 10):

Egli ha in mano l’anima di ogni vivente e il soffio di ogni essere umano.  (2)

Quindi l'autore biblico ha distinto tra nefesh e ruah, quindi tra anima e spirito, che in greco è stato reso con psychè e pneuma.

Inoltre per un altro autore biblico, l’anima ha emozioni, vediamo il passaggio corrispondente in Geremia (31, 25):

Poiché ristorerò copiosamente l'anima stanca e sazierò ogni anima che languisce

Anche Gesù ha dimostrato che l’anima ha emozioni, vediamo questo passaggio del Vangelo di Matteo (26, 38):

E disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me». 

Quindi anche se vi sono differenze tra l’anima e lo spirito, entrambi sono due aspetti della parte immateriale dell’uomo.

Anche Paolo di Tarso ha sviluppato i concetti di anima e spirito nella sua Prima Lettera ai Tessalonicesi, (5, 23):

Il Dio della pace vi santifichi interamente, e tutta la vostra persona, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo.

Quindi i primi cristiani credevano che oltre al corpo, vi fossero altre due realtà all'interno dell'uomo: l’anima, espressione delle emozioni e degli istinti e lo spirito, espressione della personalità (intelletto, sentimento e volontà).

Per quanto riguarda il concetto di sopravvivenza dopo la morte, nell’Antico Testamento vi sono tanti passaggi biblici che attestano la credenza nella Risurrezione dei corpi dopo la morte, vediamone uno, Daniele (12,1 2):

Molti di quanti dormono nella polvere si desteranno: gli uni alla vita eterna, gli altri all'ignominia perpetua.

Analizziamo ora l’insegnamento di Gesù sull’anima. Vediamo innanzitutto il verso corrispondente nel Vangelo di Marco (8, 36):

Che giova infatti all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima? (3)

Con questa frase Gesù ha dato valore all’anima. 
Alcuni filosofi greci, antecedenti a Gesù, avevano concepito l’esistenza dell’anima, ma non avevano indicato una via per la sua salvezza. Platone aveva ipotizzato che l’anima è immortale e lascia il corpo dopo la morte. 
Gesù, ha insegnato invece come far si che l’anima non si perda, attraverso l’accettazione del suo sacrificio sulla croce e seguendo i suoi comandamenti. 
Gesù, nominando ancora una volta l’anima, ha anche avvertito che chi non accetterà la Grazia da lui donata dovrà temere l’ira di Dio. Vediamo il passaggio corrispondente nel Vangelo di Matteo (10, 28): 

E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo. (4)

In pratica è stato necessario che Dio si incarnasse in un essere umano, ossia che l’Unigenito Figlio di Dio si umiliasse, si abbassasse a noi, e venisse a vivere tra di noi, per poi morire in un modo atroce sulla croce, con il proposito di salvare la nostra anima. 
Quanto deve valere l’anima umana se Dio ha inviato suo Figlio a soffrire e morire affinchè essa non si perda!
Gesù ha insegnato che l’uomo non ha solo valore come parte della collettività, ma il suo valore è immenso, in quanto ha un’anima immortale che è chiamata alla vita eterna. 
Proprio per questo dopo l’insegnamento di Gesù i primi cristiani erano fortemente contrari all’aborto, perchè riconoscevano che il feto ha un’anima immortale. (5). Proprio per questo i cristiani si oppongono all’eutanasia, perchè sanno che in ogni uomo, per decrepito che sia, vi è un’anima immortale, che Dio vuole con se per l’eternità. 
Questa è una delle distinzioni fondamentali tra Cristianesimo e paganismo/ateismo. Nella fede cristiana ogni individuo ha un valore immenso. Nel paganismo e nell’atesimo, l’individuo non conta, puó pure morire, in quanto è la comunità che conta. 
Secondo Gesù Cristo, invece, al di là di ogni volto umano vi è un’anima immortale. Ogni uomo, senza nessuna distinzione, ha un valore immenso. E tutti gli uomini sono fratelli tra di loro e devono amarsi l’un l’altro. A tale proposito vediamo questo passaggio del Vangelo di Giovanni (13, 34): 

Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri.

Yuri Leveratto

Note:
1-http://biblehub.com/hebrew/5315.htm
2-http://biblehub.com/interlinear/job/12-10.htm
3-http://biblehub.com/interlinear/mark/8-36.htm
4-http://biblehub.com/interlinear/matthew/10-28.htm
5- A tale proposito vediamo uno scritto di Tertulliano (Apologia, cap.9): 

“Nel nostro caso, giacchè l’assassinio è assolutamente proibito in ogni sua forma, neppure potremmo uccidere il feto nell’utero. Fermare una nascita è semplicemente una forma più rapida di uccidere. Non importa se si uccide una vita appena nata o se si distrugge una vita che ancora non è nata.”

Immagine: "La preghiera del Signore" James J. Tissot. 

martedì 6 marzo 2018

L’apparizione di Gesù a due discepoli sulla strada per Emmaus


Nell’ultimo capitolo del Vangelo secondo Luca vi è una delle più suggestive pagine del Nuovo Testamento. Siamo già nel pomeriggio della domenica, il giorno della Risurrezione del Signore. Due discepoli, forse facenti parte della schiera dei settantadue, che Gesù aveva inviato per guarire i malati e annunciare il Regno di Dio, stavano camminando verso Emmaus, un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme. 
Vediamo il passaggio corrispondente, Vangelo di Luca (24, 13-14):

Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. 

Sembra che i due discepoli siano scossi dal dolore per la morte del loro maestro e abbiano bisogno di evadere, lasciare Gerusalemme, camminare nella campagna e prendere una boccata d’aria fresca. Parlano tra di loro dei fatti accaduti. Si domandano come è potuto succedere che il maestro, che aveva fatto opere buone, e aveva indicato loro la giusta via per accedere al Padre, sia stato ucciso in un modo così atroce da parte delle autorità. Tuttavia, anche se sono pervasi dalla tristezza e confusi, i due discepoli, percorrono una strada, fanno comunità, si scambiano opinioni, idee, si fanno domande. Non si danno per sconfitti. 
Ad un certo punto, Gesù si avvicina a loro, e inizia a camminare con loro. 
Vediamo i passaggi corrispondenti, Vangelo di Luca (24, 15-17):

Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; 

Anche se sono tristi i due discepoli non si chiudono in se stessi. Un estraneo si avvicina a loro, ma, pur non riconoscendolo, essi lo accettano, sono disposti a parlare con lui. In realtà quell’estraneo è Gesù, ma loro non lo distinguono, poichè sono pervasi dal dolore, e dalla tristezza. Ancora troppo forte è il ricordo della morte atroce del loro maestro, e troppo debole è la fede che egli sia risuscitato, come Egli aveva detto varie volte, quando annunciava il significato della sua missione. Ma Gesù si rivolge a loro, chiedendo di cosa stanno parlando. Gesù dimostra così di volersi occupare dei suoi discepoli, di coloro che lo amano che, pur nelle difficoltà, tentano di percorrere il suo cammino.
A questo punto uno dei due discepoli domanda al suo interlocutore sconosciuto come mai non fosse al corrente dei fatti accaduti a Gerusalemme negli ultimi giorni. 
Vediamo i passaggi corrispondenti, Vangelo di Luca (24, 18-20):

uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso.

La domanda di Cleopa rivela insicurezza e tensione. Secondo lui il fatto successo era stato talmente importante che nessuno poteva ignorarlo. Ovviamente Cleopa si riferiva alla morte di Gesù e invece aveva dimenticato la speranza, la luce che il maestro aveva comunicato loro quando gli aveva parlato della sua Risurrezione. E quando lo sconosciuto risponde: “Che cosa?”, il discepolo inizia brevemente a raccontare i fatti successi. Gli racconta del maestro, chiamandolo “Gesù il Nazareno”, e descrivendo che era un gran profeta, sia in opere che in parole. Con questo Cleopa voleva dire che il maestro aveva compiuto dei miracoli, sia sanando gli infermi, sia dominando le forze della natura e inoltre aveva divulgato la dottrina del perdono, avvicinandosi ai peccatori e accompagnandoli al pentimento e alla conversione. Cleopa inoltre si riferiva anche alle parole inaudite di Gesù, i vari “Io sono” con i quali Egli si faceva uguale al Padre. Poi Cleopa narra che i sacerdoti e le autorità lo hanno condannato a morte per crocifissione. 
A questo punto Cleopa svela il perchè della loro delusione e della loro profonda tristezza, vediamo i passaggi corrispondenti, Vangelo di Luca (24, 21-24): 

Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto». 

I discepoli ammettono che avevano sperato che il maestro fosse il liberatore di Israele. 
La loro delusione e quindi la loro tristezza, derivano dal fatto che egli è stato ucciso, e per giunta in un modo così atroce. Credevano che il Messia fosse un potente liberatore dal giogo delle potenze straniere che occupavano Israele. Forse si aspettavano un nuovo Mosè, ricordando che il profeta biblico aveva liberato il popolo di Israele dalla schiavitù in Egitto, guidandoli verso la terra promessa. Forse si aspettavano un nuovo Davide che, dopo aver sconfitto gli oppressori avrebbe instaurato un regno definitivo con capitale Gerusalemme, un regno che sarebbe durato in eterno. O forse si aspettavo un intervento divino che avrebbe ucciso tutti gli ingiusti, un po’ come il diluvio aveva spazzato via tutti i cattivi, con l’eccezione di otto persone, la famiglia di Noè.
Poi i discepoli rimarcano il fatto che sono passati già tre giorni dalla morte del maestro e, secondo loro, nulla è successo. Quindi per loro, il maestro è definitivamente morto, e non può far nulla per liberare Isarele. Tuttavia comunicano al loro interlocutore, che alcune donne li hanno stupiti con una notizia incredibile. Esse si sono recate al sepolcro e non hanno trovato il corpo del maestro. Queste donne hanno detto che alcuni angeli avrebbero affermato che il maestro sarebbe vivo. Inoltre i discepoli affermano che qualcuno del gruppo si è recato al sepolcro e ha confermato quello che le donne avevano detto, ma non ha trovato il maestro. 
Le parole dei discepoli dimostrano che seppure essi hanno ascoltato la voce di alcune donne, che hanno riportato la buona notizia, nessuno di loro le ha creduto. La testimonianza delle donne in quel periodo non aveva molto valore e pertanto la loro versione dei fatti era stata considerata una fantasia, un’allucinazione, il riflesso di una speranza. Loro, gli uomini, non vi credevano e non riuscivano a scorgere l’immenso significato di quell’annuncio. 
A questo punto Gesù, che i due discepoli continuavano a non riconoscere, prende la parola e inizia a raccontare loro il vero significato della missione del Messia, vediamo i passaggi corrispondenti, Vangelo di Luca (24, 25-27): 

Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.

Dopo un breve rimprovero, Gesù inizia a descrivere la missione del Messia, dimostrando che il loro maestro, il loro Gesù, aveva incarnato perfettamente quel ruolo. Innanzitutto disse loro che il Messia avrebbe dovuto patire, per poi entrare nella sua gloria. E’ probabile che gli enunciò queste profezie: 

Isaia (9, 6-7):

Perchè un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il potere e il suo nome sarà: Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace. Grande sarà il suo potere e la pace non avrà fine sul trono di Davide e sul suo regno, che egli viene a consolidare e rafforzare con il diritto e la giustizia, ora e per sempre. Questo farà lo zelo del Signore degli eserciti.

Isaia (52, 13-15 - 53: 1-12): 

Ecco, il mio servo avrà successo, sarà onorato, esaltato e innalzato grandemente. Come molti si stupirono di lui – tanto era sfigurato per essere d’uomo il suo aspetto e diversa la sua forma da quella dei figli dell’uomo –, così si meraviglieranno di lui molte nazioni; i re davanti a lui si chiuderanno la bocca, poichè vedranno un fatto mai a essi raccontato e comprenderanno ciò che mai avevano udito.

Chi avrebbe creduto al nostro annuncio? A chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore? È cresciuto come un virgulto davanti a lui e come una radice in terra arida. Non ha apparenza nè bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia; era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti. Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti. Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca. Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo; chi si affligge per la sua posterità? Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi, per la colpa del mio popolo fu percosso a morte. Gli si diede sepoltura con gli empi, con il ricco fu il suo tumulo, sebbene non avesse commesso violenza nè vi fosse inganno nella sua bocca. Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà le loro iniquità. Perciò io gli darò in premio le moltitudini, dei potenti egli farà bottino, perchè ha spogliato se stesso fino alla morte ed è stato annoverato fra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i colpevoli.

A questo punto i due discepoli iniziano a comprendere che la vera missione del Messia non sarebbe stata quella di liberare Israele dall’opressore straniero, ma era quella di liberare ogni uomo dal peccato. Iniziarono ad ascoltare il loro interlocutore con molta attenzione. Quindi Gesù, che essi ancora non riconoscono, continua ad enunciare loro alcune profezie sulla vera natura del Messia, cominciando da Mosè. Potrebbe aver nominato loro questo passaggio biblico, nel quale si afferma che il Messia sarebbe stato un profeta, come Mosè. 

Deuteronomio (18, 15-19):

L'Eterno, il tuo DIO, susciterà per te un profeta come me, in mezzo a te, fra i tuoi fratelli; a lui darete ascolto, in base a tutto ciò che chiedesti all'Eterno, il tuo DIO, in Horeb, il giorno dell'assemblea, quando dicesti: "Che io non oda più la voce dell'Eterno, il mio DIO, e non veda più questo gran fuoco, perchè non muoia". E l'Eterno mi disse: "Ciò che hanno detto, va bene; io susciterò per loro un profeta come te di mezzo ai loro fratelli e porrò le mie parole nella sua bocca, ed egli dirà loro tutto ciò che io gli comanderò. E avverrà che se qualcuno non ascolterà le mie parole che egli dice in mio nome, io gliene domanderò conto.

Vediamo altri passaggi biblici che potrebbero essere stati enunciati da Gesù per dimostrare che il loro maestro era veramente il Messia e che avrebbe dovuto patire e morire crocifisso:

Isaia (35, 5-6): 

Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e saranno sturate le orecchie dei sordi; allora lo zoppo salterà come un cervo e la lingua del muto griderà di gioia, perchè sgorgheranno acque nel deserto e torrenti nella solitudine. 

Salmo (22, 1):

Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato? Perchè sei così lontano e non vieni a liberarmi, dando ascolto alle parole del mio gemito? 

Zaccaria (12, 10): 

Riverserò sopra la casa di Davide e sopra gli abitanti di Gerusalemme uno spirito di grazia e di consolazione: guarderanno a colui che hanno trafitto. Ne faranno il lutto come si fa il lutto per un figlio unico, lo piangeranno come si piange il primogenito. 

Isaia (25, 8): 

Distruggerà per sempre la morte; il Signore, l'Eterno asciugherà le lacrime da ogni viso, toglierà via da tutta la terra il vituperio del suo popolo, perchè l'Eterno ha parlato.

A questo punto i due discepoli iniziano a capire: il loro maestro era il Messia, in quanto il Messia avrebbe compiuto miracoli, e segni prodigiosi, ma poi avrebbe dovuto patire, e con la sua morte sulla croce avrebbe espiato tutti i peccati e tutte le iniquità degli uomini. Le loro menti si aprono e capiscono che il Messia è l’incarnazione di Dio, il Figlio unigenito ed eterno di Dio, il Signore della vita, che ha vinto la morte. Resta però ancora un piccolo dubbio nel loro cuore. Se il loro maestro ha vinto la morte, perchè non si è mostrato ai discepoli, e dov’è ora?
Quindi, non appena arrivano al villaggio di Emmaus, l’interlocutore dei due discepoli, ancora da essi sconosciuto, li saluta e prosegue il cammino, ma essi lo chiamano e lo invitano nella loro casa. Vediamo i passaggi corrispondenti, Vangelo di Luca (24, 28-29): 

Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perchè si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. 

I due discepoli lo invitano a stare con loro, a cenare insieme e a dormire sotto lo stesso tetto. Le parole del risorto hanno risvegliato in loro delle emozioni, dei ricordi, delle sensazioni che si erano sopite. I riferimenti profetici ora prendono senso, collimano, ed essi sono quasi convinti. Ma vorrebbero saperne di più. Così invitano il loro interlocutore ad entrare nella loro casa, a passare tempo con loro. Quell’interlocutore è ancora uno sconosciuto, ma sentono che lui ha ancora qualcosa da dire loro. 
Vediamo i passaggi seguenti del Vangelo di Luca (24, 30-31): 

Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista.

A questo punto i tre si siedono a tavola, approntandosi a cenare. Gesù prende il pane e dopo aver pregato, lo spezza e lo dà ai due discepoli. Ancora una volta Gesù fa un gesto simbolico spezzando il pane, che rappresenta il suo corpo. Questo gesto permette loro di vedere e riconoscere finalmente che il loro interlocutore è Gesù, il risorto. Lo vedono e lo riconoscono, ma dopo pochi istanti Gesù scompare. Il compito di Gesù è concluso, i due discepoli ora credono e hanno anche i fondamenti biblici per spiegare chi era il Messia e quale fosse la sua vera missione sulla terra. 
Vediamo gli ultimi passaggi, Vangelo di Luca (24, 32-35): 

Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

A questo punto i due discepoli sentono subito il bisogno di tornare a Gerusalemme e comunicare agli altri seguaci del maestro quello che gli è successo. Ammettono che nel loro cuore si era accesa una fiamma mentre Gesù gli spiegava, attraverso le Scritture, chi fosse il Messia e quale fosse la sua missione. Ora essi sono convertiti, credono nel risorto e hanno solide basi per avvicinare altri alla fede nel Messia. Decidono di viaggiare subito a Gerusalemme per riunirsi con gli Apostoli, le donne e gli altri discepoli e dire loro tutto quello che gli è accaduto. Sentono che la fiamma della fede arde sempre più nei loro cuori e non possono evitare di comunicarlo ad altri. Quando giungono a Gerusalemme e si riuniscono con gli altri seguaci del maestro, apprendono innazitutto che Gesù è apparso anche a Simon Pietro. Poi come un fiume in piena, raccontano la loro vicenda a tutti, soffermandosi a spiegare che la vita e gli atti di Gesù hanno compiuto perfettamente le profezie delle Scritture. Inoltre descrivono come l’hanno riconosciuto quando egli ha spezzato il pane, quindi quando egli ha ha compiuto ancora il gesto simbolico dell’ultima cena, gesto che ricorda il suo sacrificio sulla croce, quando ha dato se stesso per tutti gli esseri umani. 

Yuri Leveratto

lunedì 5 marzo 2018

Il discorso di Pietro a Gerusalemme


Dopo l’effusione dello Spirito Santo gli Apostoli furono investiti di potenza. In loro vi fu un cambiamento poderoso. Da dubbiosi e timidi, incapaci di sanare gli infermi e deboli nel diffondere la Parola di Dio, divennero sicuri, decisi, capaci di diffondere ilVangelo con fermezza. Vediamo il primo discorso di Pietro: Atti degli Apostoli (2, 14-36): 

Allora Pietro con gli Undici si alzò in piedi e a voce alta parlò a loro così: «Uomini di Giudea, e voi tutti abitanti di Gerusalemme, vi sia noto questo e fate attenzione alle mie parole. Questi uomini non sono ubriachi, come voi supponete: sono infatti le nove del mattino; accade invece quello che fu detto per mezzo del profeta Gioele:

Avverrà: negli ultimi giorni – dice Dio –
su tutti effonderò il mio Spirito;
i vostri figli e le vostre figlie profeteranno,
i vostri giovani avranno visioni
e i vostri anziani faranno sogni.
E anche sui miei servi e sulle mie serve
in quei giorni effonderò il mio Spirito
ed essi profeteranno.
Farò prodigi lassù nel cielo
e segni quaggiù sulla terra,
sangue, fuoco e nuvole di fumo.
Il sole si muterà in tenebra
e la luna in sangue,
prima che giunga il giorno del Signore,
giorno grande e glorioso.
E avverrà: chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato.

Uomini d’Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nàzaret – uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso fece tra voi per opera sua, come voi sapete bene –, consegnato a voi secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, voi, per mano di pagani, l’avete crocifisso e l’avete ucciso. Ora Dio lo ha risuscitato, liberándolo dai dolori della morte, perchè non era possibile che questa lo tenesse in suo potere. Dice infatti Davide a suo riguardo: 

Contemplavo sempre il Signore innanzi a me; egli sta alla mia destra, perchè io non vacilli. Per questo si rallegrò il mio cuore ed esultò la mia lingua, e anche la mia carne riposerà nella speranza, perchè tu non abbandonerai la mia vita negli inferí nè permetterai che il tuo Santo subisca la corruzione. Mi hai fatto conoscere le vie della vita, mi colmerai di gioia con la tua presenza.

Fratelli, mi sia lecito dirvi francamente, riguardo al patriarca Davide, che egli morì e fu sepolto e il suo sepolcro è ancora oggi fra noi. Ma poichè era profeta e sapeva che Dio gli aveva giurato solennemente di far sedere sul suo trono un suo discendente, previde la risurrezione di Cristo e ne parlò: questi non fu abbandonato negli inferi, nè la sua carne subì la corruzione.
Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni. Innalzato dunque alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire. Davide infatti non salì al cielo; tuttavia egli dice:

Disse il Signore al mio Signore: siedi alla mia destra, finchè io ponga i tuoi nemici come sgabello dei tuoi piedi.

Sappia dunque con certeza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso».

Pietro ha cominciato la sua predicazione rispondendo a chi aveva detto “Sono ubriachi di mosto dolce!” (Atti degli Apostoli 2, 13b).
Qualcuno infatti, al vedere che gli Apostoli diffondevano il Vangelo in diverse lingue straniere rivolgendosi a giudei della diaspora (Atti degli Apostoli 2, 7-12), pensò che fossero ubriachi. 
Ma Pietro rispose subito negando che gli Apostoli fossero ubriachi, in quanto nessun giudeo potrebbe intossicarsi in un giorno così importante come Pentecoste. Pietro sapeva che qualsiasi predicatore che non avesse avuto una buona reputazione non sarebbe stato ascoltato dalla gente, e pertanto volle chiarificare questo punto fin da subito. Quindi si appellò alle Sacre Scritture e citò il profeta Gioele (2, 28-32), per dimostrare che l’effusione dello Spirito Santo era stata annunciata secoli prima. 
Dopo aver annunciato la profezia di Gioele, Pietro iniziò a dimostrare con cinque argomentazioni che Gesù era realmente il Messia, (il Cristo, in greco). 
La prima argomentazione che Pietro ha sviluppato sono stati i miracoli attuati da Gesù durante il suo ministero. (Atti degli Apostoli 2, 22). In effetti sappiamo che i miracoli hanno convinto varie persone, anche di fuori della ristretta cerchia dei seguaci di Gesù, che egli era veramente inviato da Dio. Per esempio Nicodemo, che faceva parte del sinedrio, disse: “Rabbi, noi sappiamo che sei venuto da Dio come maestro. Nessuno infatti può fare questi segni che tu fai se Dio non è con lui” (Vangelo di Giovanni 3, 2b).
La seconda argomentazione di Pietro per dimostrare che Gesù è il Messia è la Risurrezione. Vediamo il passaggio corrispondente, Atti degli Apostoli (2, 23-24): 

consegnato a voi secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, voi, per mano di pagani, l’avete crocifisso e l’avete ucciso. Ora Dio lo ha risuscitato, liberándolo dai dolori della morte, perchè non era possibile che questa lo tenesse in suo potere.

La Risurrezione di Gesù era il centro di tutte le prediche degli Apostoli. Era un argomento che i Giudei non potevano negare. La Risurrezione rese codardi uomini che si mostravano valorosi, e rese valorosi uomini che si erano dimostrati codardi. I Giudei che, mostrandosi valorosi avevano gridato “Sia crocifisso” (Vangelo di Matteo 27, 22), non sapevano cosa dire davanti alla tomba vuota. Pietro, che invece aveva detto “Non conozco quell’uomo” (Vangelo di Matteo 26, 72), stava adesso predicando valorosamente la Risurrezione di Gesù davanti a centinaia di persone. 

Il terzo argomento utilizzato da Pietro per dimostrare che Gesù è realmente il Messia è la prova profetica. Infatti Pietro cita il Salmo (16, 8-11), in Atti degli Apostoli (2, 25-28): 

Contemplavo sempre il Signore innanzi a me; egli sta alla mia destra, perchè io non vacilli. Per questo si rallegrò il mio cuore ed esultò la mia lingua, e anche la mia carne riposerà nella speranza, perchè tu non abbandonerai la mia vita negli inferi nè permetterai che il tuo Santo subisca la corruzione. Mi hai fatto conoscere le vie della vita, mi colmerai di gioia con la tua presenza.

Davide non stava parlando di lui stesso in questa profezia. Pietro fa risaltare questo punto indicando che Davide morì e che la sua tomba è situata in un luogo noto a tutti. In secondo luogo Pietro ricorda la profezia di 2 Samuele 7, 12, nella quale Dio aveva giurato di far sedere sul suo trono uno della sua discendenza. Rivediamo i passaggi corrispondenti del discorso di Pietro, Atti degli Apostoli (2, 29-31): 

Fratelli, mi sia lecito dirvi francamente, riguardo al patriarca Davide, che egli morì e fu sepolto e il suo sepolcro è ancora oggi fra noi. Ma poichè era profeta e sapeva che Dio gli aveva giurato solennemente di far sedere sul suo trono un suo discendente, previde la risurrezione di Cristo e ne parlò: questi non fu abbandonato negli inferi, nè la sua carne subì la corruzione.

Quindi Pietro sostenne che la promessa fatta da Dio a Davide si compì con Cristo, in quanto Dio lo aveva risuscitato dai morti e lo aveva fatto sedere alla sua destra. 
Pietro ha presentato un argomento simile quando nei versi (2, 34-35), ha citato la profezia del Salmo 110, 1. Nella profezia Davide ascolta una conversazione tra il Padre e il Signore (il Messia), nella quale si dice che Cristo siederà alla destra del Padre sino alla sua seconda venuta sulla terra. 

La quarta argomentazione che Pietro sviluppa per dimostrare che Gesù è realmente il Messia atteso è la prova dei testimoni. Vediamo il passaggio corrispondente, Atti degli Apostoli (2, 32): 

Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni.

I giudei dovevano ammettere che la profezia, alla quale Pietro si era riferito, annunciava la Risurrezione. Ora vi erano dei testimoni che affermavano che Gesù era risorto e pertanto si compiva la profezia. 

La quinta e ultima argomentazione che Pietro ha sviluppato nel suo discorso è stata la prova della discesa dello Spirito Santo. Vediamo il passaggio corrispondente, Atti degli Apostoli (2, 33): 

Innalzato dunque alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire.

Prima che Gesù ascendesse al cielo, aveva promesso che avrebbe inviato la promessa del Padre (Vangelo di Luca 24, 49). La gente aveva quindi visto e ascoltato i risultati dell’effusione dello Spirito Santo. Quindi molti si convinsero che Gesù era asceso alla destra del Padre, che aveva ricevuto dal Padre la promessa dello Spirito e che aveva inviato lo Spirito sugli Apostoli. 

Pietro chiude il suo discorso in questo modo, Atti degli Apostoli (2, 36):

Sappia dunque con certeza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso».

I suoi miracoli, la sua Risurrezione dai morti, il compiersi della profezia, il testimonio oculare degli Apostoli e l’effusione dello Spirito Santo, hanno provato che Gesù era realmente colui che Dio aveva promesso, il Cristo, il Signore. 

Yuri Leveratto

Immagine: Predica di Pietro dopo la Pentecoste di Benjamin West

venerdì 2 marzo 2018

Il discorso di Paolo di Tarso all’Areopago di Atene


Uno degli eventi fondamentali della civiltà occidentale è stato senza dubbio il discorso di Paolo di Tarso all’Areopago di Atene. 
Nel 49-50 d.C. Paolo di Tarso si trovava a Gerusalemme, dove partecipò al primo Concilio della Chiesa, insieme agli Apostoli (Lettera ai Galati, 2, 1-9). Nel Concilio si sancì definitivamente la possibilità di portare la parola del Signore anche ai non ebrei. 
Quindi Paolo partì per il suo secondo viaggio evangelizzatrice. Questa volta era deciso a portare il Vangelo nel cuore della Grecia, quella che era stata la culla della filosofia antica.
La Grecia è stata il centro culturale per eccellenza del mondo antico. 
Fu con Socrate (469-399 a.C.), Platone (427-347 a.C.) e Aristotele (384-322 a.C.), che la filosofia greca raggiunse il suo culmine, nell’età classica. Platone individuò l’anima come immortale ed incorporea. Il grande filosofo ateniese aveva concepito l’esistenza di Dio con la pura ragione, però la sua visione lo portava a considerare la negatività della materia. Il corpo era visto pertanto come un involucro dal quale l’uomo si sarebbe liberato con la morte, e quindi l’anima avrebbe fluttuato indefinitamente nell’oceano dell’essere. Il Dio di Platone, e dei sucessivi filosofi neo-platonici era pertanto perfetto, ma non era una “persona”, non era caratterizzato dall’amore e non giudicava gli uomini secondo la giustizia. 
I filosofi e i pensatori neo-platonici ai quali Paolo di Tarso si rivolse vedevano la morte come una liberazione dell’anima dal corpo e l’idea di una risurrezione nella carne, sembrava loro un ritorno alla prigionia del corpo. Per questo la maggioranza di loro non accolse il messaggio che Paolo voleva trasmettere. Vediamo il celebre discorso, Atti degli Apostoli (17, 22-31): 

«Cittadini ateniesi, vedo che in tutto siete molto timorati degli dei. Passando infatti e osservando i monumenti del vostro culto, ho trovato anche un'ara con l'iscrizione: Al Dio ignoto. Quello che voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio. Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene, che è signore del cielo e della terra, non dimora in tempi costruiti dalle mani dell' uomo, nè dalle mani dell'uomo si lascia servire come se avesse bisogno di qualche cosa, essendo lui che dà a tutti la vita e il respiro e ogni cosa. Egli creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini, perchè abitassero su tutta la faccia della terra. Per essi ha stabilito l'ordine dei tempi e i confini del loro spazio, perchè cercassero Dio, se mai arrivino a trovarlo andando come a tentoni, benchè non sia lontano da ciascuno di noi. In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo, come anche alcuni dei vostri poeti hanno detto: Poichè di lui stirpe noi siamo. Essendo noi dunque stirpe di Dio, non dobbiamo pensare che la divinità sia simile all'oro, all'argento e alla pietra, che porti l'impronta dell'arte e dell'immaginazione umana. Dopo essere passato sopra ai tempi dell'ignoranza, ora Dio ordina a tutti gli uomini di tutti i luoghi di ravvedersi, poichè egli ha stabilito un giorno nel quale dovrà giudicare la terra con giustizia per mezzo di un uomo che egli ha designato, dandone a tutti prova sicura col risuscitarlo dai morti». 

Come vediamo il discorso di Paolo fu accolto in modo tiepido e molti non si rivelarono interessati ad ascoltare chi fosse il risorto, Atti degli Apostoli (17, 32-33):

«Appena sentirono l'accenno alla risurrezione di morti, alcuni lo deridevano, altri dissero: Ti sentiremo su questo un' altra volta. Così Paolo uscì da quella riunione» 

Analizziamo brevemente il discorso di Paolo. Innanzitutto l’Apostolo nota un’ara con l'iscrizione: “Al Dio ignoto”. Si convince pertanto che gli ateniesi, oltre agli dei tradizionali del pantheon greco, adoravono pure un dio sconosciuto, ignoto. Quindi fa un annuncio, affermando che Dio, l’unico e vero Dio, ha creato il mondo e che quindi ha creato la materia. Già qui i filosofi ateniesi devono aver dissentito con il predicatore ebreo. Per i greci infatti la materia (e con essa il corpo), era qualcosa di non elevato, di impuro, e non credevano in un atto di creazione dal nulla da parte di Dio, ma piuttosto in una sorta di creazione continua, o emanazione di Dio. 
Paolo, con notevoli doti oratorie, continua nel suo discorso, adattandosi al modo di pensare dei greci. Egli afferma che Dio “non dimora in tempi costruiti dalle mani dell' uomo” e inoltre afferma che l’uomo può cercare Dio, in quanto Dio non è lontano da ciascuno di noi. Sono concetti non avulsi alla filosofia degli stoici. Quindi Paolo cita il poeta greco Arato, dicendo: “Poichè di lui stirpe noi siamo”. 
Il tema controverso che non piaque ai filosofi ateniesi fu la descrizione della giustizia di Dio. Egli, sostenendo che Dio ha ordinato a tutti gli uomini di “ravvedersi”, quindi di convertirsi, aggiunse che la giustizia di Dio sarà messa in pratica per mezzo di colui che fu resuscitato dai morti, ossia Gesù Cristo (che però non ha tempo di nominare). 
Per gli ateniesi Dio era perfezione, ma non attuava un giudizio diretto sugli umani in base alla loro fede e neppure in base alle loro opere. Il ravvedimento o la conversione a Dio non era un concetto facile da considerare per i filosofi platonici. 
Pertanto quando Paolo di Tarso accennò alla risurrezione di un uomo, designato da Dio, fu prontamente interrotto. Come già indicato infatti la resurrezione dalla morte, e quindi il ritorno dell’anima in un corpo che era già completamente morto, era un qualcosa di estraneo alla filosofia platonica, che vedeva il corpo come una “prigione dell’anima”. 
Paolo comunque non si perse d’animo, ma si diresse a Corinto, dove si fermò almeno un anno e mezzo. Fu proprio a Corinto che sorse la prima comunità di cristiani di Grecia e fu proprio da quella città che Paolo iniziò a scrivere le sue Lettere, dove cominciò a delineare i fondamenti dottrinali della missione salvifica e della Divinità di Gesù Cristo. Le prime due Lettere di Paolo di Tarso furono scritte da Corinto ai Tessalonicesi nel 51-52 d.C. 
Quindi, mentre a Corinto Paolo riuscì  fin da subito a fondare una Chiesa di Cristo, ad Atene ottenne un parziale insuccesso, anche se gli Atti degli Apostoli riportano che alcune persone si convertirono. 
Paolo aveva comunque gettato il primo seme dell’evangelizzazione della Grecia che sarebbe stata così  importante per la futura cristianizzazione dell’intero impero romano. 

Yuri Leveratto

Immagine: Fortuny Mariano, San Paolo predicando nell'Areopago, 1856