lunedì 15 febbraio 2016

Le persecuzioni dei cristiani: dalle origini al rescritto di Traiano


Normalmente le autorità romane esigevano ai popoli conquistati di incorporare all’interno di quelle società il riconoscimento delle divinità dello stato romano. Tuttavia non esigevano da quei popoli l’apostasia dalle loro divinità nazionali, e fu precisamente questa tolleranza religiosa che fece accettare ai popoli conquistati la dominazione romana. 
Ogni popolo conquistato poteva continuare a rendere culto alle sua divinità, a patto che inglobasse anche le divinità romane. Ovviamente gli ufficiali e i soldati romani dovevano rendere culto primariamente alle divinità romane. L’unico popolo di tutto l’impero romano che costituiva un’eccezione era quello degli Ebrei. Essi furono in grado di assicurarsi certi privilegi e il diritto di continuare ad avere una religione esclusiva. 
Questi privilegi che gli Ebrei avevano ottenuto, acquisirono forza anche perché, a partire dalla conquista romana dell’Egitto, della Grecia e del Medio Oriente, si era diffuso un certo sincretismo tra le varie religioni antiche. Con il tempo queste religioni avevano assunto un ruolo subordinato al culto dell’imperatore, “divinità vivente”, che fu istituito nel 42 a.C. da Caio Giulio Cesare. 
Fu però con Ottaviano Augusto che il culto dell’imperatore iniziò ad avere caratteristiche particolari, soprattutto nelle province orientali dell’impero, con templi e sacerdoti propri e cerimonie derivate da culti pre-esistenti. 
A partire dal 30-33 d.C. il Cristianesimo iniziò a diffondersi in tutto l’impero. Era una fede nuova, originale, basata sulla predicazione di un uomo, Gesù Cristo, che fu condannato a morte per crocifissione a Gerusalemme, sotto il prefetto Ponzio Pilato. 
I seguaci di Gesù Cristo, credevano che lui fosse vero Dio e vero uomo, e sostenevano che fosse risorto il terzo giorno dai morti. Iniziarono così a diffondere la Buona Novella, il Vangelo, in tutto l’impero. 
Se i cristiani si fossero accontentati di professare il culto a Cristo come “loro Dio”, avendolo collocato insieme ad altri dei nel “panteòn romano” e se, contestualmente, avessero reso culto anche alle divinità romane e all’imperatore, nessuno li avrebbe perseguitati e la loro religione sarebbe stata ammessa come una delle tante. 
Ma i cristiani, fin dai primissimi anni dopo la Resurrezione, sostenevano che il loro Dio, era l’unico vero Dio, e che si era incarnato in una persona umana, Gesù Cristo, con lo scopo di “togliere il peccato del mondo” e salvare tutta l’umanità. Pertanto si negarono a rendere culto agli dei pagani e all’imperatore. Non sacrificavano al “genio” dell’imperatore e pertanto non propiziavano la prosperità di Roma e neppure le future vittorie militari di Roma sui nemici dell’impero. Al contrario, i cristiani arrivavano addirittura a pregare per i nemici di Roma, che dal loro punto di vista non erano visti come nemici, ma come popoli che ancora non avevano ricevuto la Buona Novella. Tutto ciò era visto dai romani non solo contro la morale, ma anche come sedizioso. I cristiani pertanto, non essendo compresi, erano addirittura visti come pericolosi. 
I cristiani si appartavano da ogni situazione che potesse avvicinarli al culto degli dei pagani. Questo comportamento generò un odio della popolazione pagana verso i cristiani, che erano visti come contrari alla morale e alla cultura romana. 
Questo atteggiamento ostile fu fomentato nelle grandi città anche dagli ebrei ortodossi, che si sentivano offesi dalle predicazioni di Pietro, Paolo, e degli altri Apostoli, che per loro erano ebrei che avevano abbandonato la legge mosaica e le tradizioni antiche. 
Questo comportamento ostile ai cristiani crebbe e con il tempo essi furono accusati di ateismo, immoralità e opposizione allo stato. Queste tre false accuse furono confutate nel II secolo da vari apologisti cristiani, uno dei quali fu Giustino di Nablus. 
L’origine delle persecuzioni cristiane deve essere trovata in due cause principali. La prima e più evidente è la negazione da parte dei cristiani della divinità dell’imperatore, e la negazione di rendergli culto. 
La seconda causa può essere individuata nell’odio che le masse pagane avevano per i cristiani, odio generato dal fatto che i loro dei pagani venivano negati dai cristiani e pertanto non venivano “propiziati”.
La storia dei rapporti tra lo stato romano e i credenti nella fede cristiana, inizia però molto presto, pochi anni dopo la morte in croce di Gesù Cristo. In effetti Tertulliano riporta, nella sua opera “Apologetico”, i seguenti tre brani, molto importanti per comprendere come il nuovo culto fosse percepito a Roma. 

“Dunque Tiberio, al tempo del quale il Cristianesimo entrò nel mondo, i fatti annunziatigli dalla Siria Palestina, che colà la verità avevano rivelato della Divinità stessa, sottomise al parere del senato, votando egli per primo favorevolmente. Il senato, poichè quei fatti non aveva esso approvati, li rigettò. Cesare restò del suo parere, pericolo minacciando agli accusatori dei Cristiani”. 
Tertulliano (Apolog. 5, 2) 

"Da codesta vostra trascuranza si eccepisce contro di voi che non esiste quello che neppur voi mettere in chiaro osate. Un ben diverso ufficio al carnefice imponete nei riguardi dei Cristiani: a far si che essi, non già quello che fanno, dicano, ma che quello che sono, neghino. L'origine di questa dottrina, come già abbiamo esposto, risale al tempo di Tiberio. La verità ha avuto origine insieme con l'odio contro di essa: appena appare, è nemica. Tanti sono i suoi nemici, quanti gli estranei: e propriamente i Giudei per ostilità, i soldati per ricatto, quelli stessi di casa nostra, anche, per natura".
Tertulliano (Apolog. 7, 2-3) 

“Tutti questi avvenimenti riguardanti Cristo, Pilato, egli pure dentro di sè cristiano, al Cesare di allora, Tiberio, annunziò. Ma anche i Cesari avrebbero in Cristo creduto, se o i Cesari non fossero necessari al mondo, o i Cesari essere anche cristiani avessero potuto”. 
Tertulliano, Apol. (21, 24).

Pertanto Tertulliano ci fornisce importanti notizie. Innazitutto, che Pilato comunicò all’imperatore Tiberio i fatti di Gesù Cristo. Inoltre sappiamo che Tiberio sottomise al parere del senato, se il nuovo culto a Gesù dovesse o meno essere ammesso nel panteòn degli dei romani. Il senato però, forse perché fu informato dell’esclusività che i cristiani davano alla propria fede, rigettò l’accettazione del nuovo culto e pertanto lo dichiarò illecito. 
Come giustamente fanno notare le studiose di storia Marta Sordi e Ilaria Ramelli (1), la maggioranza degli studiosi che ritengono che questi passaggi di Tertulliano siano delle interpolazioni successive, non ha considerato che Tertulliano o gli scribi che hanno riportato in seguito le sue opere, non avrebbero avuto alcun interesse ad inventare o ampliare una notizia dove si nega ai cristiani il diritto di professare pacificamente il loro culto. Secondo le due studiose italiane Tiberio voleva dare liceità a quella che per lui era una setta giudaica priva dell’odio insurrezionalista di alcune frange giudaiche. 
Inoltre sempre la studiosa Marta Sordi, risalta che la notizia del senatoconsulto di Tiberio viene riportata anche in un’altra opera antica, l’Apocritico di Macario di Magnesia (2), peraltro riportata da Porfirio (filosofo platonico non cristiano), nella sua opera “Contro i cristiani”. Vediamo il passaggio corrispondente (Apocritico 2, 14): 

“...(Gesù) non apparve a molti uomini contemporanei e degni di fede, e soprattutto al senato e al popolo di Roma onde essi, stupiti dei suoi prodigi, non potessero, per comune consenso, emettere sentenza di morte, sotto accusa di empietà contro coloro che erano obbedienti a Lui”.
Vedasi nota 3.

Ecco pertanto che la frase di Macario di Magnesia non è in disaccordo con le frasi riportate da Tertulliano nel suo Apologetico. Vi è inoltre la testimonianza di Eusebio di Cesarea, nella sua Storia Ecclesiastica (4).
Ecco così che fin dal tempo di Tiberio (che governò fino al 37 d.C.), il culto cristiano veniva considerato una superstizio illicita e pertanto non era conforme alla morale, anche se non era ancora perseguito legalmente. 
In pratica la religione romana essendo “civica”, era intimamente legata con l’essenza dello stato. Per questo l’essere cristiano fu considerato molto presto come un crimine contro la morale. 
La difficoltà nella quale si trovò il potere romano consistette nel fatto che i cristiani erano costituiti da gruppi di persone pacifiche, il cui unico “crimine” era quello di far parte di una religione che aveva una tendenza universale, che divulgava valori etici assoluti, come la carità, l’amore verso il prossimo, il perdono, l’umiltà, valori che non esistevano in alcun altro culto. 
In realtà passò molto tempo prima che si attuasse una sistematica persecuzione diretta ai cristiani, in quanto il primo editto generale risale al III secolo. 
Prima di ciò non vi fu mai un procedere giuridico unanime, che obbligasse tutte le autorità romane a combattere la religione cristiana. In ogni caso ogni persecuzione era giustificata dal fatto che “essere cristiano”, era un crimine contro lo stato. 
L’imperatore Claudio (41-54 d.C.), fu abbastanza ostile verso i giudei. Da alcuni documenti in nostro possesso possiamo ricavare che fin dal 41 d.C. diede alcuni ordini tesi a non ammettere o espellere i giudei a Roma. 
Innazitutto vi è la sua lettera agli alessandrini, conservata al British Museum di Londra, in un papiro trovato nel 1924 (5).
Ecco il testo: 

"Non si facciano entrare o avvicinare da Siria o Egitto Giudei naviganti verso terra, o ciò mi farà prendere sospetti più grandi: altrimenti in tutti i modi mi opporrò a loro come quelli che alimentano una piaga del mondo." 

Proprio il termine “piaga nel mondo” ha fatto pensare che Claudio non si riferisse ai giudei ortodossi, i quali non pretendevano divulgare la loro fede tra i non giudei, ma ai giudei-cristiani, che invece in particolare in Siria (Antiochia), stavano facendo proseliti tra i non giudei. 
L’imperatore Claudio decise pochi anni dopo di espellere i Giudei da Roma (intorno al 49-50). Questo fatto si evince sia dagli Atti degli Apostoli (18, 1-2), sia dal testo “Vite dei dodici Cesari” di Svetonio, che riporta: 

Dato che i Giudei, istigati da Cresto, provocavano costantemente dei tumulti, [Claudio] li espulse da Roma.

La maggioranza degli studiosi interpreta il nome “Cresto” come “Cristo” e di conseguenza individua che i tumulti furono causati dall'opposizione che crebbe tra i giudei di Roma nei confronti della predicazione del Vangelo dei giudei-cristiani.
Il decreto comunque non era diretto contro i cristiani, ma contro i giudei, siano essi stati cristiani o ortodossi. Secondo Cassio Dione (6), l’espulsione non poté essere portata a termine, visto il numero notevole di ebrei che risiedevano a Roma, e pertanto fu cambiata nel divieto per i giudei di riunirsi in assemblee all’aperto. 
Il primo imperatore che perseguì apertamente i cristiani fu Nerone (54-68 d.C.) Questo fatto si evince da un passaggio di Svetonio (Vita di Nerone, 16, 2): 

"Sottopose a supplizi i Cristiani, una razza di uomini di una superstizione nuova e malefica.”

Durante queste persecuzioni furono martirizzati a Roma gli Apostoli Pietro e Paolo, come si evince da varie fonti cristiane (7)(8).
Anche Cornelio Tacito, conferma che Nerone portò a termine delle persecuzioni contro i cristiani. Vediamo questo passo negli Annali (XV, 44):

"Nerone si inventò dei colpevoli e sottomise a pene raffinatissime coloro che la plebaglia, detestandoli a causa delle loro nefandezze, denominava cristiani. Origine di questo nome era Christus, il quale sotto l'impero di Tiberio era stato condannato all'estrema condanna dal procuratore Ponzio Pilato".

Da questa fonte si evince che i motivi religiosi non erano ancora determinanti per la persecuzione. Più che altro era l’odio della plebe verso i cristiani, causato dal comportamento contro la morale romana dei seguaci di Cristo. 
Agli occhi di Nerone comunque i cristiani non erano considerati così pericolosi e non avevano un’importanza sufficiente tanto da spingere il potere dello stato a porre in atto una legge specifica contro di loro. Non vi fu pertanto la promulgazione di alcuna legge contro i cristiani. 
Dopo di ciò passarono circa trent’anni di relativa calma. Con l’imperatore Domiziano (81-96 d.C.), che ci fu una seconda persecuzione. Vi sono varie fonti cristiane dove si allude a questo fatto: in particolare la Prima Lettera di Clemente romano (cap. 45), e l’Apocalisse di Giovanni. Vediamo a tale proposito il seguente passaggio dell’Apocalisse (2, 12-13):

All’angelo della Chiesa che è a Pergamo scrivi:
“Così parla Colui che ha la spada affilata a due tagli. So che abiti dove Satana ha il suo trono; tuttavia tu tieni saldo il mio nome e non hai rinnegato la mia fede neppure al tempo in cui Antìpa, il mio fedele testimone, fu messo a morte nella vostra città, dimora di Satana.

Questo passo è un allusione al culto dell’imperatore considerato dio dai romani, in quanto proprio a Pergamo vi erano numerosi templi a lui dedicati. 
In altri passaggi Giovanni descrive coloro i quali hanno disprezzato la vita fino al martirio (12, 11).
Svetonio, nella sua biografia di Domiziano, risalta che l’imperatore esigeva realmente di farsi venerare come fosse stato un dio, pertanto è abbastanza verosimile pensare che vari cristiani furono condannati per rifiutarsi di rendergli culto, specialmente nelle province orientali. 
Cassio Dione ci racconta che Domiziano permise l’esecuzione di suo cugino, il console Flavio Clemente e di sua moglie Flavia Domitilla. Vediamo il passaggio corrispondente. Dione Cassio, Storia Romana (Libro LXVII, cap. XIV):

“In quello stesso anno, Domiziano mise a morte, con molti altri, Flavio Clemente, allora console, malgrado fosse suo cugino e marito di Flavia Domitilla, sua parente. Tutti e due furono condannati per crimine di ateismo. Con questo capo di accusa, vennero condannati un gran numero di altri, che si erano fuorviati negli usi giudaici. Alcuni furono puniti di morte, altri con la confisca. Quanto a Domitilla, ci si contentò di relegarla nell’isola di Pandataria. Glabrione che era stato console con Traiano, accusato tra le altre cose, dello stesso crimine, fu messo a morte.”

Entrambi furono accusati di ateismo, una delle accuse fatte ai cristiani. In effetti per i pagani, i cristiani sembravano atei, in quanto si negavano ad accettare i modi nei quali i pagani credevano che si manifestassero gli dei. Il culto cristiano, in specialmodo l’eucarestia, essendo intimo e silenzioso, era molto diverso dalle rumorose cerimonie del culto agli dei pagani. Cassio Dione afferma che queste accuse furono fatte verso molti che si erano appartati dalla religione degli ebrei (usi giudaici). E’ un indizio che si riferiva ai cristiani. Infatti i cristiani, pur essendo ebrei, si distinguevano dagli ebrei non cristiani anche perché esternavano la propria fede ai gentili, mentre nessun ebreo ortodosso, faceva proseliti tra i gentili. 
In ogni caso Cassio Dione ci permette d’intendere che verso la fine del I secolo, sotto Domiziano, iniziò un processo d’accusa verso i cristiani. Alcuni furono messi a morte, ad altri furono confiscati i beni, mentre Flavia Domitilla fu mandata in esilio nell’isola di Ponza. 
Vi è un altro caso di probabile persecuzione: quello di Acilio Glabrio (Glabrione nella citazione di Dione Cassio), che fu console nel 91 d.C. Anche lui fu messo a morte da Domiziano con l’accusa di ateismo. La sua appartenenza alla fede cristiana è quasi certa, visto che oltre ad essere stato condannato per atesimo come Flavio Clemente e Flavia Domitilla (vedi citazione di Cassio Dione) la sua tomba è stata trovata nelle catacombe cristiane di Priscilla, a Roma. 
Il successore di Domiziano, Nerva, fece cessare le persecuzioni e permise agli esiliati di rientrare a Roma. Solo due anni dopo prese il potere l’imperatore Traiano, che regnò per diciannove anni, dal 98 al 117 d.C. 
Innanzitutto durante l’impero di Traiano fu messo a morte il vescovo di Antiochia, Ignazio, che subì il martirio a Roma nel 107 d.C. Di lui ci sono rimaste le sei lettere alle chiese asiatiche e la lettera a Policarpo. 
Per quanto riguarda i rapporti tra lo stato e la religione cristiana, abbiamo alcune fonti documentali dalle quali si possono trarre molte informazioni. Sono le Lettere di Plinio il giovane (governatore della Bitinia e del Ponto), all’imperatore  Traiano e la risposta di Traiano a Plinio il Giovane, il famoso rescritto. Siccome Plinio il Giovane giunse in Bitinia nel 111 d.C., la corrispondenza tra lui e l’imperatore può datarsi nel 112 d.C. Ecco la Lettera di Plinio a Traiano (Epistularum libri decem, X, 96): 

« E’ per me un dovere, o signore, deferire a te tutte le questioni in merito alle quali sono incerto. Chi infatti può meglio dirigere la mia titubanza o istruire la mia incompetenza? Non ho mai preso parte ad istruttorie a carico dei Cristiani; pertanto, non so che cosa e fino a qual punto si sia soliti punire o inquisire. Ho anche assai dubitato se si debba tener conto di qualche differenza di anni; se anche i fanciulli della più tenera età vadano trattati diversamente dagli uomini nel pieno del vigore; se si conceda grazia in seguito al pentimento, o se a colui che sia stato comunque cristiano non giovi affatto l’aver cessato di esserlo; se vada punito il nome di per se stesso, pur se esente da colpe, oppure le colpe connesse al nome. Nel frattempo, con coloro che mi venivano deferiti quali Cristiani, ho seguito questa procedura: chiedevo loro se fossero Cristiani. Se confessavano, li interrogavo una seconda e una terza volta, minacciandoli di pena capitale; quelli che perseveravano, li ho mandati a morte. Infatti non dubitavo che, qualunque cosa confessassero, dovesse essere punita la loro pertinacia e la loro cocciuta ostinazione. Ve ne furono altri affetti dalla medesima follia, i quali, poichè erano cittadini romani, ordinai che fossero rimandati a Roma. Ben presto, poichè si accrebbero le imputazioni, come avviene di solito per il fatto stesso di trattare tali questioni, mi capitarono innanzi diversi casi. Venne messo in circolazione un libello anonimo che conteneva molti nomi. Coloro che negavano di essere cristiani, o di esserlo stati, ritenni di doverli rimettere in libertà, quando, dopo aver ripetuto quanto io formulavo, invocavano gli dei e veneravano la tua immagine, che a questo scopo avevo fatto portare assieme ai simulacri dei numi, e quando imprecavano contro Cristo, cosa che si dice sia impossibile ad ottenersi da coloro che siano veramente Cristiani. Altri, denunciati da un delatore, dissero di essere cristiani, ma subito dopo lo negarono; lo erano stati, ma avevano cessato di esserlo, chi da tre anni, chi da molti anni prima, alcuni persino da vent’anni. Anche tutti costoro venerarono la tua immagine e i simulacri degli dei, e imprecarono contro Cristo. Affermavano inoltre che tutta la loro colpa o errore consisteva nell’esser soliti riunirsi prima dell’alba e intonare a cori alterni un inno a Cristo come se fosse un dio, e obbligarsi con giuramento non a perpetrare qualche delitto, ma a non commettere nè furti, nè frodi, nè adulteri, a non mancare alla parola data e a non rifiutare la restituzione di un deposito, qualora ne fossero richiesti. Fatto ciò, avevano la consuetudine di ritirarsi e riunirsi poi nuovamente per prendere un cibo, ad ogni modo comune e innocente, cosa che cessarono di fare dopo il mio editto nel quale, secondo le tue disposizioni, avevo proibito l’esistenza di sodalizi. Per questo, ancor più ritenni necessario l’interrogare due ancelle, che erano dette ministre, per sapere quale sfondo di verità ci fosse, ricorrendo pure alla tortura. Non ho trovato null’altro al di fuori di una superstizione balorda e smodata. Perciò, differita l’istruttoria, mi sono affrettato a richiedere il tuo parere. Mi parve infatti cosa degna di consultazione, soprattutto per il numero di coloro che sono coinvolti in questo pericolo; molte persone di ogni età, ceto sociale e di entrambi i sessi, vengono trascinati, e ancora lo saranno, in questo pericolo. Nè soltanto la città, ma anche i borghi e le campagne sono pervase dal contagio di questa superstizione; credo però che possa esser ancora fermata e riportata nella norma.» (9)

Ecco la risposta di Traiano a Plinio il Giovane (Epistularum libri decem, X, 97): 

« Mio caro Plinio, nell’istruttoria dei processi di coloro che ti sono stati denunciati come Cristiani, hai seguito la procedura alla quale dovevi attenerti. Non può essere stabilita infatti una regola generale che abbia, per così dire, un carattere rigido. Non li si deve ricercare; qualora vengano denunciati e riconosciuti colpevoli, li si deve punire, ma in modo tale che colui che avrà negato di essere cristiano e lo avrà dimostrato con i fatti, cioè rivolgendo suppliche ai nostri dei, quantunque abbia suscitato sospetti in passato, ottenga il perdono per il suo ravvedimento. Quanto ai libelli anonimi messi in circolazione, non devono godere di considerazione in alcun processo; infatti è prassi di pessimo esempio, indegna dei nostri tempi.» (10)

La prima cosa che risalta dal primo documento è la straordinaria diffusione del Cristianesimo nelle regioni della Bitinia e del Ponto nei primi anni del II secolo della nostra era. Plinio il giovane domanda all’imperatore se si doveva osservare alcuna età per il processo ai cristiani, e se si poteva perdonare chi si pentiva e tornava al culto degli dei. Inoltre, il cristiano doveva essere castigato solo per essere cristiano, anche se non ci fosse stato altro crimine, o solo si poteva castigare il cristiano che commetteva un crimine? In conseguenza di questa corrispondenza tra Plinio il Giovane e Traiano, molte più persone rispetto a prima si trovavano in una condizione di pericolo. 
La risposta di Traiano fu concisa ma molto chiara. Per Traiano “essere cristiano” era già di per sè un crimine e doveva essere castigato. Però: “non li si deve ricercare”. Inoltre Traiano non fece ditinzione tra cristiani cittadini romani e cristiani non cittadini. 
Si conosce poco però lo sviluppo di questa persecuzione. Non si sa pertanto con certezza se la maggioranza dei cristiani di Bitinia e del Ponto furono giustiziati o inviati a Roma. Sappiamo però che ci fu una persecuzione in Macedonia attraverso la Lettera di Policarpo ai Filippesi (scritta possibilmente dal 110 al 115 d.C.). Vediamone una frase iniziale:  

Lodi ai Filippesi per la loro benevolenza verso i fratelli imprigionati per Cristo, e per la loro salda fede.

Per concludere, la politica di Traiano nei confronti dei cristiani fu caratterizzata da una generale diffidenza. I cristiani, che si ostinavano a non sacrificare al “genio” dell’imperatore, dovevano essere messi a morte. Tuttavia nell’approccio di Traiano si nota anche una certa tolleranza, in quanto i cristiani non dovevano essere ricercati, e se fossero tornati ai culti pagani avrebbero dovuto essere perdonati. 
In ogni caso il rescritto di Traiano influenzò tutta la successiva politica dello stato romano nei confronti dei cristiani almeno fino alla pesrsecuzione sistematica dell’imperatore Decio (249-251 d.C.).

YURI LEVERATTO
Copyright 2016

Foto: Ritratto del decennale di Traiano

Note:
1-http://www.jstor.org/stable/20861540?seq=1#page_scan_tab_contents
2-il vescovo di Magnesia, Macario partecipò al sìnodo di Costantinopoli del 403 si veda: https://en.wikipedia.org/wiki/Macarius_Magnes
3- http://www.tertullian.org/fathers/macarius_apocriticus.htm#2_14
4-Eusebio di Cesarea, Storia Ecclesiastica, II, 2, 1-6
5- 6-P. Lond. 1912 = CPJ II 153
6- Cassio Dione, Hist., LX, 6, 6
7-Martirio di Pietro: Prima Lettera di Clemente 5, 4
8-Martirio di Paolo di Tarso: Lettera di Ignazio di Antiochia agli Efesini, 12 (vi sono altre fonti).
(9)(10)-Traduzione all’italiano di A. Nicolotti

giovedì 4 febbraio 2016

La condanna a morte del console Manio Acilio Glabrio e la sua sepoltura nelle catacombe di Priscilla


Molte volte si è affermato che la fede cristiana nel I secolo aveva fatto presa solamente sulle classi meno abbienti e sugli schiavi, come se scaturisse da un sentimento di rivalsa verso i potenti, e come se potesse alleviare le loro sofferenze terrene. Invece il Vangelo aveva fatto presa anche nelle classi alte, e perfino nel palazzo del potere. 
Il gruppo di famiglie detto “Gens Acilia” ottenne prestigio e fama quando Manio Acilio Glabrione, console nel 191 a.C., conquistò  la Macedonia nella battaglia delle Termopili.
La famiglia divenne presto molto importante e ottenne  onori, cariche pubbliche e lustro. 
Durante il primo secolo visse un altro appartenente a questa “Gens”, Manio Acilio Glabrio, che si distinse per aver ottenuto il consolato nel 91 d.C., insieme a Marco Ulpio Traiano (che divenne poi imperatore nel 98 d.C.). 
Nel 95 d.C. però  l’imperatore Domiziano decise l’esecuzione di Manio Acilio Glabrio. Per quale motivo?
Lo scrittore romano Svetonio ci da questa informazione (I dodici Cesari, Domiziano 10, 2): 

Complures senatores, in iis aliquot consulares, interemit; ex quibus Civicam Cerealem in ipso Asiae proconsulatu, Salvidienum Orfitum, Acilium Glabrionem in exsilio, quasi molitores rerum novarum, ceteros levissima quemque de causa; 

Vediamo la traduzione in italiano: 

[Domiziano] Mandò a morte molti senatori, tra questi parecchi ex consoli: tra cui Civica Cereale, proprio mentre era proconsole in Asia, e Salvidieno Orfito, Acilio Glabrione, già in esilio, come fomentatori di  una rivoluzione, e gli altri per motivi futili. 

L’espressione “molitores rerum novarum” ha un significato politico per Cereale e Orfito, ma potrebbe avere un significato politico e religioso per Manio Acilio Glabrio, che vari indizi indicano come cristiano. 
Il monaco bizantino Xifilino (XI sec.), che riportò  la “Storia Romana” di Cassio Dione, indica che alcuni membri della famiglia imperiale furono condannati a morte nel 95 d.C. per ateismo, insieme con altri personaggi che “abbracciarono i costumi e le persuasioni dei giudei”. 
Sappiamo che i cristiani erano accusati di ateismo, in quanto non sacrificavano agli dei pagani (1). 
Da altre citazioni di storici romani sappiamo che Manio Acilio Glabrio fu uno dei condannati insieme a Flavio Clemente e Flavia Domitilla, entrambi cristiani. Vediamo altre due citazioni  dei due storici romani Svetonio e Dione Cassio. 

Svetonio (I dodici Cesari, Domiziano 15):

Infine fece uccidere tutto ad un tratto, per il più leggero sospetto e quasi nell'esercizio stesso del consolato, suo cugino Flavio Clemente, personaggio assolutamente inattivo, di cui, pubblicamente, aveva destinato i figli, ancora piccoli, ad essere suoi successori e a perdere i loro nomi precedenti, per chiamarsi uno Vespasiano e l'altro Domiziano. Fu soprattutto questo delitto ad affrettare la sua morte.

Dione Cassio, Storia Romana (Libro LXVII, cap. XIV)

“In quello stesso anno, Domiziano mise a morte, con molti altri, Flavio Clemente, allora console, malgrado fosse suo cugino e marito di Flavia Domitilla, sua parente. Tutti e due furono condannati per crimine di ateismo. Con questo capo di accusa, vennero condannati un gran numero di altri, che si erano fuorviati negli usi giudaici. Alcuni furono puniti di morte, altri con la confisca. Quanto a Domitilla, ci si contentò di relegarla nell’isola di Pandataria. Glabrione che era stato console con Traiano, accusato tra le altre cose, dello stesso crimine, fu messo a morte.”

Manio Acilio Glabrio fu messo a morte nel luogo del suo esilio, che non ci è noto, ma poi il suo corpo fu portato a Roma e tumulato nelle catacombe di Priscilla. Secondo Sandro Carletti (2), Priscilla era imparentata con la Gens Acilia, e possibilmente era la moglie di Manio Acilio Glabrio. 
La cripta degli Acilii fu trovata nelle catacombe di Priscilla nel 1888 dall’archeologo Giovanni Battista De Rossi (3). Fu trovata una lapide marmorea con scritto ACILIO GLABRIONI FILIO. In seguito furono trovate altre iscrizioni, che riportavano i nomi di Manius Acilius, Priscilla, Acilius Rufinus, Acilus Quintianus e Claudius Acilius Valerius (4).  

Conclusione: 

1-Ci sono vari indizi documentali che il console romano Manio Acilio Glabrio fu condannato a morte per ateismo insieme con altre persone di rango elevato (Flavio Clemente e Flavia Domitilla). Sappiamo che “ateo” era un sinonimo di “cristiano”, quindi verso la fine del I secolo della nostra era, il culto cristiano non era solo diffuso tra la plebe, ma anche tra i patrizi. 

2-Vi sono prove archeologiche che varie persone della Gens Acilia, tra le quali Manio Acilio Glabrio, furono tumulate nelle catacombe di Priscilla, probabilmente all’inizio del II secolo della nostra era. Queste prove archeologiche concordano con quelle documentali.

YURI LEVERATTO
Copyright 2016

Bibliografia:
Roma pagana e cristiana, Rodolfo Lanciani, 1893
Bollettino di Archeologia cristiana, Giovanni Battista De Rossi, 1889

Note:
1-L'accusa di ateismo verso i cristiani è attestata in: Giustino, Prima Apologia, 6, 13; Seconda Apologia 3, 2
2-Sandro Carletti, "Catacombe di Priscilla", Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, 1981
3-Giovanni Battista De Rossi: Bullettino di archeologia cristiana, 1888-1889, p. 15; 1890, p. 97.—Edmond Le Blant: Comptes rendus de l'Acad. des Inscript., 1888, p. 113.—Arthur Frothingham: American Journal of Archæology, June, 1888, p. 214.—R. Lanciani: Gli horti Aciliorum sul Pincio, in the Bullettino della commissione archeologica, 1891, p. 132; Underground Christian Rome, in the Atlantic Monthly, July, 1891.
4-I dettagli del libro di Giovanni Battista De Rossi: Bullettino di archeologia cristiana, 1888-1889, si possono leggere in internet a questo indirizzo: http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/bacr1888_1889/0021?sid=61680b19494b0153fdb03423696a17e7

lunedì 1 febbraio 2016

Amare i nostri nemici? L’insegnamento di Gesù Cristo


Tutti noi conosciamo i precetti non-violenti di Gesù Cristo. Tuttavia la grande maggioranza dei cristiani di oggi pensa che questi precetti siano rivolti alla sfera del personale. Se domanderete a dei cristiani cosa intendeva Gesù quando disse “amate i vostri nemici” molti di loro risponderanno: “amate i vostri nemici è un messaggio rivolto al singolo. Ma se i nemici attaccano una nazione, ognuno ha il dovere di difenderla”. Molte persone pertanto pensano che questo messaggio abbia valenza solo quando si riferisce all’individuo. Quando però lo Stato, l’autorità terrena, ci ordina di commettere un atto violento (guerra, invasione, conquista), non dobbiamo porci il problema. E’ lo Stato che ce lo ordina, e pertanto è giusto farlo. E’ proprio così?
Per iniziare nell’analisi dell’insegnamento di Gesù Cristo contro ogni tipo di violenza analizziamo alcuni passi del Vangelo di Matteo (5, 38-42): 

Voi avete udito che fu detto: "Occhio per occhio e dente per dente". Ma io vi dico: Non resistere al malvagio; anzi, se uno ti percuote sulla guancia destra, porgigli anche l'altra, e se uno vuol farti causa per toglierti la tunica, lasciagli anche il mantello. E se uno ti costringe a fare un miglio, fanne con lui due. Da' a chi ti chiede, e non rifiutarti di dare a chi desidera qualcosa in prestito da te.

Innanzitutto da questo passaggio straordinario si nota una prima rivoluzione: “Avete inteso, ma io vi dico”. Pertanto Gesù supera la Legge data da Dio ai Giudei. Ma l’altra rivoluzione è una condotta passiva: non opporsi al malvagio. 
Nell’insegnamento di Gesù vi è però poi anche un insegnamento attivo, nel Vangelo di Matteo (5, 43-48):

Voi avete udito che fu detto: "Ama il tuo prossimo e odia il tuo nemico". Ma io vi dico: Amate i vostri nemici, benedite coloro che vi maledicono, fate del bene a coloro che vi odiano, e pregate per coloro che vi maltrattano e vi perseguitano, affinchè siate figli del Padre vostro, che è nei cieli, poichè egli fa sorgere il suo sole sopra i buoni e sopra i malvagi, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. Perché, se amate coloro che vi amano, che premio ne avrete? Non fanno altrettanto anche i pubblicani? E se salutate soltanto i vostri fratelli, che fate di straordinario? Non fanno altrettanto anche i pubblicani? Voi dunque siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro, che è nei cieli».

La non-resistenza e la non-violenza sono forse gli insegnamenti più difficili e più rivoluzionari di Gesù Cristo. E sono opposti al messaggio che il mondo attuale ci da: se c’è un’ingiustizia bisogna rispondere attivamente, lottando, combattendo e se necessario annichilendo l’avversario. 
Ma la non-violenza di Gesù Cristo non è solo una dottrina teologica: è uno stile di vita. Attenzione però: questo non è un messaggio di codardia: Gesù stesso, Pietro, Paolo, e tutti gli altri apostoli, oltre ai martiri, non furono dei codardi. Morirono denunciando il male, e opponendosi al male, ma non resistettero al male con la forza fisica.
Paolo di Tarso per esempio è stato colpito, picchiato e lapidato. Avrebbe potuto difendersi con la forza, assoldare delle guardie che lo proteggessero, ma non lo fece. 
Cosa succede se è lo Stato che ci ordina di andare in guerra e quindi uccidere dei nemici? A questo punto molti cristiani, come ho anticipato all’inizio dell’articolo risponderebbero: “Se lo stato ti ordina di andare in guerra, non ti puoi negare, devi difendere lo stato”. Ma facendo così contraddicono gli insegnamenti di Gesù Cristo. 
Facciamo un esempio. Immaginiamo che dei responsabili di un governo straniero ci ordinassero di mettere una bomba in una città del nostro paese. Cosa faremmo se, dopo il nostro rifiuto, loro ci minaccierebbero di uccidere la nostra moglie o i nostri figli? 
Forse la maggioranza delle persone preferirebbe addirittura che il nemico uccidesse i propri familiari, piuttosto che tradire la propria patria. 
Ecco il punto, se si tratta di lealtà al proprio stato, nessuno si tira indietro, perché la patria è il valore massimo, ma se tratta di esprimere lealtà verso Dio, allora molti negano i suoi comandamenti. 
Di solito varie persone non concepiscono che un cristiano debba rifiutarsi di combattere per la patria. Di solito questo è il loro ragionamento: “Siccome non ci può essere una società senza stato, e lo stato deve difendersi, è logico che un cristiano debba per forza obbedire agli ordini dello stato ed andare in guerra, e se necessario uccidere i nemici”. 
Spesso le argomentazioni che danno per confutare la veridicità dei precetti di Gesù Cristo quando riferiti allo stato, sono di due tipi: esempi storici e biblici. 
Per quanto riguarda gli esempi storici di solito si chiama in causa Adolf Hitler. “Se gli americani, inglesi e francesi e russi (che in maggioranza erano cristiani) -dicono- non avessero combattuto e ucciso i tedeschi (anch’essi in maggioranza cristiani), seguaci di Hitler, oggi l’Europa sarebbe nazista e pertanto sarebbe una sub-civiltà abominevole”. 
A questa osservazione si risponde che se tutti questi cristiani (tedeschi, americani, inglesi, francesi, russi) avessero praticato l’insegnamento di Gesù Cristo, Hitler non avrebbe potuto fare quello che ha fatto. Perché? Ma perché se i cristiani tedeschi fossero stati fedeli agli insegnamenti di Gesù Cristo e non avessero obbedito agli ordini di Hitler, la guerra non sarebbe neppure iniziata. Hitler avrebbe perso potere fin da subito e forse un governo più pacifico si sarebbe insediato al potere. 
Nell’attualità molte persone criticano alcuni cristiani per non prendere parte a guerre combattute in nome della patria. Ma anche nel passato alcuni pagani criticavano i cristiani per non prendere parte a guerre per la difesa dell’impero romano. Eppure i cristiani non parteciparono a guerre ne risulta che uccisero loro simili.  
Quando Gesù Cristo predicò sull’importanza di amare i nostri nemici, fece forse qualche differenza tra le azioni individuali e le azioni ordinate dallo stato? Niente affatto. In effetti stava sostituendo una legge dell’Antico Testamento che era relazionata alle azioni ordinate dallo stato (1). Mi riferisco a questa frase del Vangelo di Matteo: (5, 38-39): 

Avete inteso che fu detto: occhio per occhio e dente per dente. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra,  

A questo punto di solito la persona che tenta di interpretare questi insegnamenti di Gesù Cristo dice: “Forse potremmo mostrare due distinte personalità: quando uccido in guerra, in realtà siccome porto l’uniforme del mio stato, non sono io che uccido, ma è lo stato che uccide”. 
Questa frase è tipica di chi non considera che il Regno di Dio sia già qui presente, su questa terra. 
Facciamo un altro esempio. Se un cittadino italiano vivesse stabilmente in uno stato vicino, per esempio la Croazia, potrebbe, essendo residente in quel paese, essere obbligato alle armi (gli stati in tempo di guerra possono reclutare anche i residenti non cittadini). Immaginiamo che la Croazia entri in guerra con l’Italia. Il nostro cittadino italiano sarà stato costretto ad uccidere suoi concittadini e verrà poi catturato da truppe italiane e sottoposto a giudizio. Lui risponderà così: “Ma in realtà non ero io che uccidevo, era la Croazia che mi aveva imposto di uccidere”.
Pensate che i giudici italiani accetterebbero un simile pretesto? E soprattutto, pensate che Gesù Cristo accetterebbe un simile argomento? Ovviamente no. 
Pertanto se un governo terreno, non permette ai suoi cittadini di uccidersi l’un l’altro, per quale motivo supponiamo che Gesù Cristo possa permetterci di ucciderci, proprio lui che non distinse tra le varie etnie? E in più considerando le sue frasi sull’amore, come quella del Vangelo di Giovanni (13, 34): 

Vi do un nuovo comandamento: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, anche voi amatevi gli uni gli altri. 

O, del Vangelo di Matteo (22, 39):

Il secondo, simile a questo, è: "Ama il tuo prossimo come te stesso".

Passiamo ora alle confutazioni bibliche, usate da alcuni dei nostri interlocutori. 
Innazitutto in questi casi molti citano il famoso passo del Vangelo di Matteo (10, 34): 

Non pensate che io sia venuto a mettere pace sulla terra; non sono venuto a mettervi la pace, ma la spada.

Sembrerebbe quasi che Gesù abbia esortato i suoi discepoli a usare delle spade per e combattere per il “regno”. 
Leggiamo invece tutto il passaggio, in modo da poter comprendere bene l’autentico messaggio di Gesù. 

Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come serpenti e semplici come colombe. Ma guardatevi dagli uomini, perché vi trascineranno davanti ai loro sinedri e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe. E sarete condotti davanti ai governatori e davanti ai re, per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai gentili. Quando essi vi metteranno nelle loro mani, non preoccupatevi di come parlerete o di che cosa dovrete dire; perché in quella stessa ora vi sarà dato ciò che dovrete dire; poichè non sarete voi a parlare, ma lo Spirito del Padre vostro che parla in voi. Ora il fratello consegnerà a morte il fratello e il padre il figlio; e i figli insorgeranno contro i genitori e li faranno morire. E sarete odiati da tutti a causa del mio nome; ma chi avrà perseverato fino alla fine, sarà salvato. Ora, quando vi perseguiteranno in una città, fuggite in un'altra, perché in verità vi dico, che non avrete finito di percorrere le città d'Israele, prima che venga il Figlio dell'uomo. Il discepolo non è da più del maestro, nè il servo da più del suo signore. Basta al discepolo di essere come il suo maestro e al servo come il suo padrone. Se hanno chiamato il padrone di casa Beelzebub, quanto più chiameranno così quelli di casa sua! Non li temete dunque, poichè non c'è nulla di nascosto che non debba essere rivelato e nulla di segreto che non debba essere conosciuto. Quello che io vi dico nelle tenebre, ditelo nella luce; e ciò che udite dettovi all'orecchio, predicatelo sui tetti. E non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l'anima; temete piuttosto colui che può far perire l'anima e il corpo nella Geenna. Non si vendono forse due passeri per un soldo? Eppure neanche uno di loro cade a terra senza il volere del Padre vostro. Ma quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non temete dunque; voi siete da più di molti passeri. Chiunque perciò mi riconoscerà davanti agli uomini, io pure lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli. Ma chiunque mi rinnegherà davanti agli uomini, io pure lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli». «Non pensate che io sia venuto a mettere pace sulla terra; non sono venuto a mettervi la pace, ma la spada. Perché io sono venuto a mettere disaccordo tra figlio e padre, tra figlia e madre, tra nuora e suocera, e i nemici dell'uomo saranno quelli di casa sua. Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; e chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me. E chi non prende la sua croce e non viene dietro a me, non è degno di me. Chi avrà trovato la sua vita, la perderà; ma chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la ritroverà. 

Il messaggio cardine di questo passaggio, è la lealtà massima che Gesù Cristo ci chiede. Se non siamo disposti a morire per lui, non siamo degni di lui. 
Ma la nostra eventuale morte giammai deve venire in seguito ad un atto violento, o ad una battaglia. Al contrario semmai deve venire dalla fermezza di non voler abbandonare i suoi insegnamenti. Nei tempi antichi la spada serviva per due motivi. Sia uccidere che dividere, tagliare. Nel passo del Vangelo di Matteo (10, 34), ci si riferisce proprio alla spada della divisione, infatti subito dopo vi è scritto che il figlio sarà in disaccordo con il padre. E quando il figlio sarà in disaccordo con il padre? Quando uno dei due avrà messo in pratica gli insegnamenti di Gesù e l’altro invece vorrà seguire il dio denaro o il suo egosimo. E’ ovvio pertanto che il cardine di questo passaggio non è la spada della guerra, ma la lealtà massima che dobbiamo a Gesù e ai suoi insegnamenti. 
Vi è poi il passaggio del Vangelo di Luca (3, 12-14) quando alcuni soldati si avvicinarono a Giovanni il Battista. Alcune persone dicono che, siccome in questo passaggio Giovanni Battista non disse ai militari di abbandonare le loro armi, allora “uccidere in seguito ad un ordine dello stato sarebbe lecito, anche davanti a Dio”. Vediamo il passaggio: 

Or vennero anche dei pubblicani per essere battezzati e gli chiesero: «Maestro, che dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non riscuotete nulla di più di quanto vi è stato ordinato». Anche i soldati lo interrogarono dicendo: «E noi, che dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non fate estorsioni ad alcuno, non accusate falsamente alcuno e contentatevi della vostra paga».  

Quella parola “estorsioni”, in greco “diaseio” significava, violenza, uccisione. Pertanto Giovanni il Battista esortò effettivamente i soldati a non essere violenti. In ogni caso Giovanni il Battista era un profeta dell’Antico Testamento, non era un cittadino del Regno di Dio. Infatti Gesù Cristo disse, Vangelo di Matteo (11, 11): 

In verità vi dico: tra i nati di donna non è sorto mai nessuno più grande di Giovanni Battista; ma il minimo nel regno dei cieli è più grande di lui. 

Vi è poi il caso del centurione romano. Ed inoltre vi è il caso di Cornelio, che dopo la conversione forse non abbandonò l’esercito. 
Andiamo per ordine, vediamo prima il caso del Centurione, Vangelo di Matteo, (8, 5-13): 

Quando Gesù fu entrato in Capernaum, un centurione venne a lui pregandolo, e dicendo: «Signore, il mio servo giace in casa paralizzato e soffre grandemente». E Gesù gli disse: «Io verrò e lo guarirò». Il centurione, rispondendo, disse: «Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto; ma di' soltanto una parola, e il mio servo sarà guarito. Perché io sono un uomo sotto l'autorità di altri e ho sotto di me dei soldati; e se dico all'uno: "Va'", egli va; e se dico all'altro: "Vieni", egli viene; e se dico al mio servo: "Fa' questo", egli lo fa». E Gesù, avendo udite queste cose, si meravigliò, e disse a coloro che lo seguivano: «In verità vi dico, che neppure in Israele ho trovata una così grande fede. Or io vi dico, che molti verranno da levante e da ponente e sederanno a tavola con Abrahamo, con Isacco e con Giacobbe, nel regno dei cieli. Ma i figli del regno saranno gettati nelle tenebre di fuori. Lì sarà il pianto e lo stridor di denti». E Gesù disse al centurione: «Va' e ti sia fatto come hai creduto!». E il suo servo fu guarito in quell'istante.

In questo caso notiamo che Gesù non disse nulla sulla professione di quest’uomo. Più che altro quest’incontro sembra risaltare il fatto che il centurione era un gentile e non un ebreo. In effetti anche con la samaritana (Vangelo di Giovanni 4, 7-26), Gesù non dice nulla sulla sua condizione di convivente con un uomo, pur non essendo sposata. Però non per questo si può concludere che Gesù approvasse quella condizione. 
Sul caso di Cornelio, dopo la sua conversione, le scritture non dicono nulla sul fatto che abbia o non abbia abbandonato l’esercito. Si suppone che se la conversione è vera il converso non possa più andarè ad uccidere i suoi simili, perché andrebbe contro l’insegnamento di Gesù. 
Anche l’episodio dell’entrata di Gesù nel tempio quando scacciò i mercanti (Vangelo di Giovanni 2, 13-16), non può essere portato come prova di un supposto atto violento di Gesù. In questo caso Gesù fu energico, ma non violento. Dalle scritture non si evince che Gesù usò la “frusta di cordicelle” contro alcun uomo, ma solo contro buoi e pecore. 
Ma è nell’episodio dell’arresto che Gesù Cristo dimostra che giammai bisogna rispondere con forza alla forza. Innazitutto nell’episodio quando uno degli Apostoli usò una spada per difendere il maestro e recise l’orecchio di un servo del sommo sacerdote. Vediamo il passaggio del Vangelo di Matteo (26, 52), quando Gesù redarguì il suo discepolo:  

Allora Gesù gli disse: «Riponi la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che mettono mano alla spada, periranno di spada. 

Ma anche nel Vangelo di Luca (22, 49-51) Gesù non responde con violenza alla violenza: 

Allora quelli attorno a Gesù, vedendo ciò che stava per accadere, gli dissero: «Signore, dobbiamo colpire con la spada?». E uno di loro colpì il servo del sommo sacerdote e gli recise l'orecchio destro. Ma Gesù, rispondendo, disse: «Lasciate, basta così». E, toccato l'orecchio di quell'uomo, lo guarì. 

Anche quando stava per commettersi il più grande crimnine della storia dell’umanità, l’ingiusta condanna del Figlio di Dio, Gesù non esorta i suoi discepoli a difenderlo, non reagisce alla violenza con violenza, ma accetta pacatamente il suo destino. 
Cosa voleva dire Gesù con la frase: “Riponi la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che mettono mano alla spada, periranno di spada”? Voleva dire che chi ripone la sua fede e la sua speranza nelle armi, perirà con questa speranza. 
Dopo di ciò nessun cristiano del Regno (fino a Costantino) ha più utilizzato armi contro i suoi simili. Forse Stefano si è ribellato con la forza quando lo portavano al martirio? O forse Giacomo, Pietro, Paolo e poi Ignazio di Antiochia, Policarpo, Giustino si sono ribellati con la forza quando furono condotti al martirio? No, nessuno di loro si è ribellato e ha risposto alla forza con la forza. E questo perché i cristiani del Regno erano già nel “Regno”, anche in vita. 
E questo perché mentre la Legge mosaica dopo essre durata circa 1500 anni si era compiuta, gli insegnamenti di Gesù non passeranno, infatti, nella Lettera agli Ebrei (13, 8) vi è scritto:

Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e in eterno. 

A questo punto il lettore potrebbe argomentare, che se il cristiano ripudia l’ordine di andare alla guerra dello stato, non riconosce lo stato, e sarebbe quindi un anarchico. Errato. Il cristiano deve riconoscere lo stato, proprio perché, secondo la Bibbia, tutti i governi terreni derivano il loro potere da Dio. A tale proposito vediamo due passaggi, il primo del Vangelo di Giovanni quando Gesù rispose a Pilato (19, 11): 

Gesù rispose: «Tu non avresti alcun potere su di me se non ti fosse dato dall'alto; perciò chi mi ha consegnato nelle tue mani ha maggior colpa».

E il secondo, della Lettera ai Romani di Paolo di Tarso (13, 3-4): 

I magistrati infatti non sono da temere per le opere buone, ma per le malvagie; ora vuoi non temere l'autorità? Fa' ciò che è bene, e tu riceverai lode da essa, perché il magistrato è ministro di Dio per te nel bene; ma se tu fai il male, temi, perché egli non porta la spada invano; poichè egli è ministro di Dio, un vendicatore con ira contro colui che fa il male.

Secondo questo concetto Dio ha dato potere ai regni del mondo per lo stato peccaminoso del genere umano e anche un cattivo governante sarebbe comunque meglio dell’anarchia, cioè del caos. Attenzione, Paolo di Tarso non dice che il “ministro” (ossia il governante), è il rappresentante di Dio in terra, ma sta dicendo che è il suo servo. Inoltre i regni di “questo mondo”, non hanno nulla a che fare con il “Regno di Dio”, ma questo non vuol dire che il Regno di Dio possa esistere sulla terra, sebbene per ora abbia avuto caratteristiche frammentarie e trasversali. Ed inoltre dobbiamo considerare che il “maligno” ha avuto un ruolo importante in tutti i regni del mondo (si veda il Vangelo di Matteo 4, 8-10).
Il Regno di Dio può essere pertanto un regno reale su questa terra? Certo che lo può essere! E’ come se un cittadino italiano vivesse in Croazia essendo residente in quel paese. Forse il fatto di essere cittadino italiano lo esime dal dover sottostare alle leggi croate? Niente affatto. Ovviamente, pur essendo italiano avrà comunque dei diritti sotto la legge croata. Avrà diritto ad essere difeso dalla polizia, o il diritto a ricorrere ad un tribunale, in caso di un problema legale. 
La nostra situazione è simile: se crediamo in Gesù Cristo siamo cittadini del Regno di Dio e contestualmente dobbiamo obbedire alle leggi dello stato dove residiamo. Pertanto, non dobbiamo vedere lo stato terreno come ostile, proprio perché, secondo la Bibbia, deriva il suo potere da Dio. Quando è che i due “regni”, quello terreno e quello di Dio, entrano in conflitto? 
Torniamo all’esempio del cittadino italiano che vive in Croazia. Supponiamo nuovamente che l’Italia e la Croazia entrino in guerra. Potrà l’Italia esigere che la persona in questione rientri immediatamente in Italia per essere reclutata nell’esercito? Certo. Potrà la Croazia, reclutare quella persona che è residente in Croazia? Certo. Potrà il nostro ipotetico italiano, essere reclutato dalla Croazia e giurare sulla patria italiana? No di certo! A questo punto dovrà scegliere da che parte stare. Non potra servirè due padroni. 
Alcune persone dopo aver letto il capitolo 13 della Lettera ai Romani pensano che l’autorità terrena abbia ogni diritto su di noi. Ma le scritture in realtà non dicono questo. Infatti Gesù disse: Vangelo di Matteo (22, 21): 

Essi gli dissero: «Di Cesare». Allora egli disse loro: «Rendete dunque a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio»

Con questo Gesù voleva dire che siccome nelle monete vi è impressa l’immagine di Cesare devono essere date a Cesare, ma le nostre vite a chi appartengono? 
Dio ci ha creati a sua immagine, e pertanto in ultima analisi le nostre vite appartengono a Lui. Pertanto solo Dio ha il diritto supremo sulle nostre vite. Cesare ha diritto solo alle cose da lui create, ma non ha creato le nostre vite e pertanto non ne ha diritto. Paolo di Tarso pertanto non ha contraddetto Gesù, in quanto nella Lettera ai Romani (13, 7-8):

Rendete dunque a ciascuno ciò che gli è dovuto: il tributo a chi dovete il tributo, l'imposta a chi dovete l'imposta, il timore a chi dovete il timore, l'onore a chi l'onore. Non abbiate alcun debito con nessuno, se non di amarvi gli uni gli altri, perché chi ama il suo simile ha adempiuto la legge. 

Qui Paolo di Tarso menziona i tributi, ma non il servizio militare. 
Pertanto, se la Legge di Dio e la legge dello stato entrano in conflitto, ad un certo punto dobbiamo scegliere. Dobbiamo scegliere a quale regno vogliamo dare la nostra lealtà assoluta, al Regno di Dio o al regno terreno.
Quale fu l’esempio degli Apostoli e dei primi cristiani del II e del III secolo? Innanzitutto vediamo questa citazione bìblica, dagli Atti degli Apostoli (5, 27-29): 

Così essi li portarono e li presentarono davanti al sinedrio; e il sommo sacerdote li interrogò, dicendo: «Non vi abbiamo severamente proibito di insegnare in questo nome? Ed ecco, voi avete riempito Gerusalemme della vostra dottrina e volete far ricadere su di noi il sangue di quest'uomo». Ma Pietro e gli altri apostoli, rispondendo, dissero: «Bisogna ubbidire a Dio piuttosto che agli uomini. 

Durante i primi tre secoli della nostra era, inoltre, prima del periodo costantiniano, non risulta che alcun cristiano abbia ucciso altre persone seguendo gli ordini dello stato e contraddicendo così gli insegnamenti di Gesù Cristo. Se uno si convertiva al Cristianesimo, non si arruolava nell’esercito, e se si convertiva al Cristianesimo facendo già parte dell’esercito, si suppone che abbia scelto di ubbidire a Dio, e non allo stato. Per conoscere come la pensavano i primi cristiani su questo tema possiamo analizzare una delle loro citazioni. Vediamo a tale proposito un passaggio di Lattanzio (250-317 d.C.): 

Quando Dio ci proibisce di uccidere, non solo proibisce la violenza che condannano le leggi pubbliche, ma proibisce pure la violenza considerata lecita dagli uomini. Pertanto non è lecito che un uomo giusto si immischi nella guerra, in quanto la sua guerra è la stessa giustizia, e non è neppure lecito accusare qualcuno di un offesa alla quale si applica la pena di morte. E’ la stessa cosa se si condanna un uomo con la parola o con la spada. E’ l’atto di uccidere in se che è proibito, Per tanto in rispetto a questo precetto di Dio, non vi deve essere alcuna eccezione. Al contrario, sempre è illecito uccidere persone, che Dio ha disposto essere creature sacre. (2) 

Per concludere aggiungo che secondo l’insegnamento di Gesù Cristo, il cristiano non deve negare lo stato o comportarsi in modo ostile con le forze dell’ordine. Al contrario. Le forze dell’ordine devono essere rispettate nel loro lavoro e hanno diritto, come tutti a ricevere il Vangelo. Però quando le leggi e gli ordini dello stato, vanno contro gli insegnamenti di Gesù Cristo, (il caso del soldato in guerra che deve uccidere), il cristiano deve scegliere: o ubbidire agli uomini, o ubbidire a Dio. E se vogliamo essere cittadini del Regno di Dio, dobbiamo riconoscere che è il suo Regno a predominare su effimere realtà terrene. 

YURI LEVERATTO
Copyright 2016

Bibliografia: Il regno che sconvolse il mondo, David Bercot

Foto: Salita al calvario, Hieronymus Bosch

Note:
1-“Occhio per occhio e dente per dente” era una legge dell’Antico testamento relazionata alle azioni dello stato, non alle azioni private. Vedere Esodo (21, 22-24); Levitico (24, 16-23); Deuteronomio (19, 16-21).
2- Lattanzio, Divinæ institutiones tomo 6 cap. 20