martedì 26 gennaio 2016

L’epoca post-costantiniana: il dominio della teologia


Durante i primi tre secoli della nostra era il Cristianesimo era come un tesoro incommesurabile che gli Apostoli avevano consegnato a uomini d’altissimo valore: i primi cristiani. 
Secondo lo storico americano David Bercot il Cristianesimo era protetto da quattro poderosi muri.
Innanzitutto vi era la forte convinzione che l’ultima rivelazione fosse stata scritta nei libri del Nuovo Testamento, il cui Canone era già in uso intorno alla fine del II secolo (Frammento muratoriano). Vi era pertanto un'idea ultra-conservatrice che equiparava ogni possibile aggiunta ai testi sacri e ogni cambio come un errore grave. 
Il secondo muro era la separazione della Chiesa dal mondo. Nessun cristiano era impregnato di potere e nessun cristiano viveva in modo mondano. 
Il terzo muro era la pratica di inviare le domande su possibili dispute ai membri del consiglio delle Chiese, dove gli Apostoli avevano insegnato. 
Il quarto muro era l’indipendenza delle varie Chiese, l’una dall’altra. (Gerusalemme, Antiochia, Alessandria d’Egitto, Costantinopoli, Efeso, Corinto, Roma). Questo fatto rendeva praticamente impossibile che un insegnamento errato si estendesse rapidamente tra i credenti. 
Durante il secondo e il terzo secolo le persecuzioni ai cristiani continuarono. Tuttavia intorno alla fine del terzo secolo, alcuni cristiani iniziarono ad adottare uno stile di vita più mondano, e iniziarono a vedere le loro guide spirituali più come sacerdoti cerimoniali, che come predicatori, maestri di vita e d’integrità. Inoltre il vescovo di Roma iniziò ad imporre la sua autorità sulle altre Chiese (1). 
Durante questa situazione, il potere imperiale non era racchiuso in un solo uomo. Nel 306 d.C. Severo governava l’Italia e la costa africana corrispondente all’attuale Tunisia e Algeria, Costantino governava la Gallia e altri due uomini governavano la parte orientale dell’impero. Dopo che Severo fu sconfitto da Massenzio, Costantino si dichiarò legittimo imperatore dell’impero romano d’Occidente. 
Nel 312 d.C. Costantino e il suo esercito marciarono verso Roma. Prima dello scontro con Massenzio accadde un fatto strano, che indirettamente influenzò tutto il mondo occidentale. Lo storico Eusebio (265-340 d.C.), narra questo fatto, nella sua “Vita di Costantino” (2): 

Disse che a mezzanotte…vide con i suoi occhi il segno di una croce di luce nei cieli, sovrapposta al sole, con le parole: con questo segno sarai vincitore. (in hoc signo vinces) 

Inoltre Costantino disse che Gesù Cristo gli era apparso in sogno e gli aveva detto che facesse dipingere il segno della croce negli scudi utilizzati dai soldati. 
L’esito della battaglia fu favorevole a Costantino, che attribuì la vittoria al “Dio dei cristiani”. Costantino si convertì così nell’unico imperatore d’Occidente. 
In seguito successe un fatto molto importante per la storia del mondo occidentale. Come sappiamo la religione romana era civica, nel senso che si attribuiva il successo e la prosperità agli dei che erano stati adorati. Costantino credeva realmente che il “Dio cristiano” gli avesse propiziato la vittoria e questo stesso Dio potesse proteggere l’impero, sempre e quando gli imperatori gli rendessero culto. Pertanto Costantino decise di rendere lecita la religione cristiana. Con l’editto di Milano (313 d.C.), l’imperatore Costantino e Licinio (Augusto d’Oriente) decretarono la libertà di culto per ogni religione in tutto l’impero. 

«Noi, dunque, Costantino Augusto e Licinio Augusto, essendoci incontrati proficuamente a Milano e avendo discusso tutti gli argomenti relativi alla pubblica utilità e sicurezza, fra le disposizioni che vedevamo utili a molte persone o da mettere in atto fra le prime, abbiamo posto queste relative al culto della divinità affinchè sia consentito ai Cristiani e a tutti gli altri la libertà di seguire la religione che ciascuno crede, affinchè la Divinità che sta in cielo, qualunque essa sia, a noi e a tutti i nostri sudditi dia pace e prosperità.»

Con questo editto Costantino non esigeva che nessuno si convertisse al Cristianesimo, ma il fatto stesso che lui si professasse cristiano (anche se non ne aveva colto il senso profondo), diede alla religione cristiana un certo prestigio. Quindi Costantino decise che ogni proprietà confiscata ai cristiani durante le persecuzioni di Diocleziano avrebbe dovuto essere riconsegnata. Inoltre ogni casa di preghiera che era stata bruciata avrebbe dovuto essere ricostruita a spese dello Stato. 
Presto si rese conto che la maggioranza dei vescovi cristiani stava vivendo nella povertà. Gli offrì pertanto un salario e protezione. Consentì che le Chiese potessero ricevere beni in eredità. Concesse l’istituzione di una sorta di tribunali vescovili (episcopalis audientia) ai quali i cristiani potevano accedere per dirimere le loro controversie. Inoltre, esentò dal pagamento di imposte tutti i vescovi e le loro proprietà.
Incredibilmente, i cristiani passarono così in pochi anni da una minoranza perseguitata, ad essere i favoriti della corte. Ecco che lentamente, lo spirito ultra -conservatore dei primi cristiani, si trovava ad essere in pericolo.
Durante il periodo dei primi cristiani, per esempio, nessuno aveva mai pensato di pagare dei salari ai vescovi, ma quando Costantino lo fece, loro accettarono. 
Nessuno aveva mai pensato che fosse giusto essere esenti da imposte, ma quando Costantino li esentò, loro accettarono. Nessuno aveva mai pensato che fosse giusto vivere in un palazzo sontuoso, ma quando Fausta, la seconda moglie di Costantino, concesse la Domus Faustae (nell’area del Palazzo Laterano) a Milziade, il vescovo di Roma, egli accettò senza riserve. 
Cosa ottenne l’imperatore in cambio di tutti questi favori e privilegi?
Già nel 314 d.C., quando ci fu una polemica tra donatisti e cattolici, fu Costantino a dirimerla e a dare ai cattolici la priorità e il riconoscimento di essere la legittima corrente della Cristianità. L’intervento di Costantino per dirimere la polemica con i donatisti, fissò un precedente, a partire dal quale l’imperatore ottenne il diritto di convocare concili e decidere sulle controversie religiose. Inoltre Costantino non era più considerato una “divinità”, come i precedenti imperatori, ma siccome il vescovo di Roma lo riconosceva, ecco che otteneva il “diritto divino”, ossia il “diritto di regnare consacrato da Dio”. Costantino però aveva più potere temporale rispetto al vescovo di Roma, nel senso che veniva considerato come fosse una specie di vescovo al di sopra delle parti, o vescovo universale. 
Proprio per aver decretato che le Chiese cristiane fossero ricostruite a spese dello Stato, Costantino ottenne voce in capitolo nell’ambito della religione cristiana. Gli edifici religiosi non dovevano solo essere più grandi, dovevano essere sontuosi. Seguendo questo ragionamento materiale fece costruire le Chiese con colonne ciclopiche e le fece decorare con marmi eleganti e costosi. Credeva realmente che se lui avesse benedetto la Chiesa, Dio avrebbe benedetto l’impero. Aveva semplicemente continuato a seguire gli schemi della religione romana, propiziandosi il “Dio dei cristiani”. Ma non sembra che Costantino fosse un cristiano “nato di nuovo”.
Come fu possibile che i cristiani del IV secolo si allontanarono dalla credenza originale di Gesù Cristo? Loro pensarono che Dio stava inaugurando una specie di nuova era dell’oro, durante la quale le persecuzioni erano finite, e finalmente si poteva vivere abbracciati con il potere e nella mondanità. Ma nel Nuovo Testamento non vi era nessun passaggio che giustificasse questa supposta era dell’oro. Pertanto trovarono alcuni passi dell’Antico Testamento che giustificavano questa situazione rinnovata. Invece di avanzare verso l’uomo rinato, tipico del Nuovo testamento, retrocedettero ad alcuni concetti tipici dell’Antico Testamento. Ecco perché ci si riferisce al concetto di “ibrido costantiniano”. In questo ibrido, inventato da Costantino, si tentarono di adattare alcuni precetti del Nuovo Testamento alla morale e allo stile di vita dell’Antico Testamento. Metà dell’ibrido era lo Stato e l’altra metà era la Chiesa. Fu una specie di ritorno al modello del vecchio stato d’Israele. Solo che adesso era più grande, in quanto includeva l’impero romano. In molti punti l’ibrido costantiniano assomigliava all’Antico Testamento. Per esempio nel concetto di ricchezza. Siccome nell’Antico Testamento non vi sono particolari esortazioni a non accumulare ricchezze, anche nell’ibrido non vi furono, e pertanto ci si allontanò dai precetti evangelici, dove la ricchezza non poteva essere centrale nella vita di una persona. I giuramenti erano leciti nell’Antico Testamento e pertanto tornarono ad essere leciti nell’ibrido, mentre nel Nuovo Testamento non era lecito giurare, in quanto una persona doveva avere onore. 
La violenza era completamente avversata nel Nuovo Testamento. Addirittura bisognava amare i propri nemici. I cristiani dell’ibrido tornarono invece ad una morale tipica dell’Antico Testamento: “occhio per occhio, dente per dente”. 
Già nel quarto secolo tornò lecito rispondere con la forza alle provocazioni e affermare con la violenza le proprie idee. Naturalmente nell’ibrido ci furono anche cose positive: Costantino promulgò leggi per aiutare le famiglie povere, condannò l’immoralità sessuale e la stregoneria. Proibì i crudeli combattimenti dei gladiatori, dichiarò illegale la prostituzione, e osteggiò il concubinato. Però l’unico modo per castigare i comportamenti contrari alla morale era con la forza bruta. Pertanto decise che i castighi per comportamenti contro il costume sessuale dovessero essere attuati con metodi orribili: praticare la tortura, bruciare vive le persone, o far cadere del piombo fuso nella gola dei condannati.
Con il tempo Costantino diventò un governante crudele. Dopo aver sconfitto Licinio, utilizzando anche truppe di cristiani, gli concesse di restare in vita, ma dopo pochi mesi lo fece assassinare. Poi, vedendo nemici in ogni dove, fece assassinare suo figlio Crispo e sua moglie Fausta. Nessun vescovo gli chiese di pentirsi per questi fatti. 
Durante 280 anni il Cristianesimo antico non era cambiato, proprio perché era protetto dai quattro muri descritti al principio di questo articolo. Ma ora il muro esterno, lo spirito ultra-conservatore della Chiesa primitiva, era minacciato. Ecco che i cristiani iniziarono a pensare che il cambio non poteva essere sinonimo di errore, ma forse poteva portare a miglioramenti. E’ come se i cristiani si dissero a se stessi che Dio aveva cambiato le regole. Vediamo a tale proposito uno scritto di Eusebio (3): 

“A tutti quelli che consideravano questi fatti, gli doveva sembrare che una fresca e nuova era fosse cominciata ad apparire e una luce, prima sconosciuta, iniziava a sorgere dall’oscurità verso la razza umana. E tutti dovettero confessare que queste cose erano opere di Dio che ci aveva dato questo pio imperatore per contrarrestare la moltitudine degli empi”. 

La Chiesa già non equiparava il cambio all’errore, ma iniziava a pensare che il Cristianesimo avrebbe potuto cambiare per migliorare. S’iniziava a pensare che forse il Cristianesimo apostolico era solo l’inizio di nuove e più sublimi rivelazioni. A tale proposito si ricorda che i cristiani del IV secolo applicavano alla Chiesa la profezia di Aggeo (2, 9), sulla ricostruzione del tempio (4): 

“E la gloria di questa casa sarà più grande di quella di prima”.

L’altro muro che aveva difeso la Chiesa durante i primi tre secoli era la separazione dal mondo. Per la prima volta nella storia essere cristiano dava prestigio sociale e molti cristiani accedettero alle cariche pubbliche.
In passato l’essere cristiano presupponeva una fede reale, e un cambio di vita radicale. Nel IV secolo l’essere cristiano indicava che una persona approvava un credo particolare e partecipava a vari riti cristiani, come il battesimo e l’eucarestia. Ma già non significava che questa persona avesse realmente cambiato vita. 
La Chiesa iniziò ad adottare i metodi del mondo. Per esempio questo cambio si vide anche nel modo come i cristiani si opponevano al potere. Durante i primi tre secoli i cristiani quando erano perseguiti fuggivano, e se catturati, non opponevano resistenza. 
I cristiani del IV secolo invece se erano destinatari di un ingiustizia o di una persecuzione, non avevano la benchè minima intenzione di non opporre resistenza e ovviamente neppure di accettare la tortura o la morte. 
Per esempio quando il figlio di Costantino inviò uno dei suoi generali a Costantinopoli nell’intento di sostituire il vescovo della Chiesa, invece di accettare quella decisione, la folla, composta da cristiani, appiccò il fuoco alla casa del generale. Quando poi il generale uscì in strada, fu ucciso (5)(6).
In generale l’attitudine dei cristiani, e specialmente di quelli che avevano posti di potere, era cambiata. In pochi anni i perseguitati, si ritrovarono ad essere persecutori. Costantino pensava che sarebbe stato meglio che non ci fossero eresie, in modo da individuare un modello da seguire. 
Vediamo il pensiero di Costantino, riportato da Eusebio di Cesarea (7): 

Vengano edotti pertanto, attraverso questo statuto, i Novaziani, i Pauliziani, i Montanisti e tutti quelli che appoggiano eresie attraverso le proprie assemblee private…sappiamo che le loro offese sono abbominevoli e atroci e che un solo giorno non basterebbe per raccontarle tutte…come già non è possibile tollerare i loro errori terribili, li avvertiamo che nessuno di loro dovrà riunirsi da qui in avanti. Per tanto abbiamo ordinato che i loro siti di riunione li siano chiusi. Ed è pertanto proibito portare a termine i loro culti e superstizioni e le loro inutili riunioni, non solo in pubblico, ma anche in luoghi privati o in qualsiasi altro luogo. 

Solo una decade prima, essere cristiano era un crimine. Però adesso il crimine era essere eretico. In effetti, oltre al Cristianesimo apostolico, si erano sviluppate anche altre tendenze, che vedevano Gesù Cristo non come il Verbo incarnato, il Figlio di Dio, ma solamente come un “ponte”, per poter raggiungere Dio. Queste visioni differenti di Gesù Cristo, che non rispecchiavano la credenza originale del I secolo, erano state confutate a partire da Ireneo nel II secolo, ma mai combattute con la violenza. Per Costantino queste dispute sulla vera essenza del Cristianesimo erano una minaccia alla stabilità dell’impero. Per governare ci voleva una sola fede, non importa che fosse un ibrido tra credenze cristiane originali, un parziale ritorno all’Antico Testamento (Agostino d’Ippona nel secolo sucessivo avvallerà la guerra giusta, vedi nota 8) e sincretismo con religioni solari (culto per il Sol Invictus). I cristiani eretici, come nel caso degli ariani, dovevano essere silenziati e avversati con ogni mezzo. 
La controversia principale iniziò tra Alessandro, il vescovo di Alessandria d’Egitto e Ario, un presbitero di Alessandria. Ario, contraddicendo le scritture, sosteneva che il Figlio di Dio non poteva avere la stessa natura del Padre. Pertanto per Ario il Figlio di Dio non poteva essere co-eterno con il Padre.
Costantino decise pertanto che un concilio dei vescovi dovesse tenersi a Nicea (attuale Turchia), in modo da decidere una volta per tutte quale fosse la credenza cristiana originale e darle lo status di dottrina. 
Lo stesso Costantino presidiò il Concilio, al quale parteciparono oltre 300 vescovi dell’oriente e dell’occidente. Lo stesso Costantino propose la redazione di un “Credo” dove fosse indicata la credenza cristiana e la dottrina della consustanzialità, racchiusa nella parola greca “homoousios” termine che si traduce: “della stessa sostanza”. Questa decisione di dichiarare il Padre e il Figlio della “stessa sostanza”, concordava esattamente con le scritture del Nuovo Testamento, ciononostante, il termine “homoousios” anche se non appare nelle sacre scritture, fu incluso nel “Credo Niceno”, al quale fu data un’importanza massima, quasi paragonabile alle scritture. Con il Concilio di Nicea pertanto si era creato un precedente, nel senso che si aveva “aggiunto” un qualcosa alla credenza originale, scritta nel Nuovo Testamento. E’ come se si fosse accettato che esiste una credenza essenziale, senza la quale non potemmo salvarci, che non si esprime in modo specifico nella scrittura.
La maggioranza dei vescovi sancì la consustanzialità del Padre con il Figlio e la pre-esistenza del Figlio (come si evince dal Vangelo di Giovanni). I più notabili furono Alessandro di Alessandria, Eustazio di Antiochia, Atanasio, Marcello di Ancira (Ankara). Cinque vescovi tra i quali Ario, si erano negati a firmare il Credo Niceno (9). Quello che interessa, è l’attitudine agressiva dell’imperatore, che decretò: 

Se si trovasse alcun trattato di Ario, che sia bruciato, in modo che non solo la sua dottrina corrotta sia soppressa, ma che non rimanga alcun ricordo della stessa. Per tanto decreto che se qualcuno fosse sorpreso ad occultare un libro di Ario e non lo presenti all’autorità per bruciarlo, gli sia data la pena di morte. (10).  

Ecco a che punto si era arrivati: chi non la accettava il Credo Niceno, e occultava libri di Ario, doveva essere messo a morte. Un atteggiamento non proprio evangelico. 
Costantino inoltre pensò che la Chiesa doveva essere organizzata sulla falsariga dell’impero romano. In questo modo secondo Costantino, sarebbe stata più forte e si sarebbero evitati scismi futuri. Pertanto ad ogni vescovo si dava una diocesi, (dal greco: διοίκησις, unità amministrativa dell’impero romano). 
Con il tempo il potere dei vescovi metropolitani, ossia i vescovi delle città principali dell’impero, crebbe notevolmente. Nessun nuovo vescovo poteva essere nominato senza il permesso del vescovo metropolitano. 
Riassumendo, con il Concilio di Nicea si pose fine all’indipendenza delle congregazioni individuali. Da ora in avanti qualsiasi cambio o aggiunta alla dottrina, poteva spargersi rapidamente a tutte le Chiese. In pratica si era stabilita una gerarchia piramidale, con al suo vertice la Chiesa di Roma, mentre prima, fino al 313 d.C. vi erano varie Chiese, nessuna però soggetta alle altre. In un sol colpo caddero il terzo e quarto muro a difesa del Cristianesimo antico.
Subito dopo Nicea, si ebbe una rezione conservatrice. Ci si rese conto che qualcosa era cambiato, ma ormai la Chiesa, invece di sconvolgere il mondo (Atti degli Apostoli 17, 6), stava sprofondando nel mondo. I conservatori, che vedevano il cambio come un errore, avevano notato che nel Credo Niceno si erano utilizzate parole non presenti nelle scritture come “homoousios”. Un personaggio importante di questo periodo fu Atanasio, che fu vescovo di Alessandria d’Egitto, dal 328 al 373 d.C. 
Fu proprio Atanasio che contrastò il movimiento conservatore, il quale basava la sua credenza più sulle scritture che sul Credo. Apparentemente Atanasio difendendo il Credo, voleva preservare la fede originale dei primi cristiani apostolici, ma in seguito, il Credo divenne importante come le scritture, essendo, secondo Atanasio, ispirato da Dio. 
In realtà, il proposito di Costantino, ovvero quello di unificare la Chiesa in una sola credenza e annullare le dispute teologiche, fallì. 
Fu proprio dopo Nicea, infatti, che si moltiplicarono le divisioni tra le varie correnti cristiane. In effetti la controversia ariana non finì affatto con il Concilio di Nicea. Uno dei vescovi ariani più in vista, Eusebio di Nicomedia, che fu vescovo di Costantinopoli dal 339 al 341 d.C., ottenne un grande prestigio quando battezzò Costantino sul punto di morte, nel 337 d.C. Seguirono vari concili minori e dispute teologiche sulla consustanzialità del Padre e del Figlio. Pochi anni dopo, alle dispute sulla consustazialità del Padre con il Figlio, si aggiunsero anche quelle sulla natura dello Spirito Santo, la cui Divinità veniva negata dal vescovo Macedonio di Costantinopoli (342-360 d.C.). 
Nel 381 d.C. ci fu un altro Concilio dei vescovi, che questa volta si tenne a Costantinopoli. Fu l’imperatore Teodosio che lo convocò, nel 381 d.C., con lo scopo di riunificare le varie controversie dottrinali che minacciavano la Chiesa e quindi indirettamente, l’impero. 
La principale decisione del Concilio di Costantinopoli fu la proclamazione del Credo Niceno-Costantinopolitano. Al Credo Niceno si aggiunsero alcune frasi (in grassetto), tra le quali la più significativa fu: 

Credo nello Spirito Santo, che è Signore e da la vita e procede dal Padre e dal Figlio

Con questa frase, ribadendo la Divinità del Figlio e dello Spirito Santo si condannavano gli ariani e i seguaci di Macedonio. 
Inoltre al Credo Niceno si aggiunse la frase: 

si è incarnato nel seno della Vergine Maria

Con la introduzione del nome di Maria, si posero le basi per le succesive dispute teologiche sulla natura della madre di Gesù Cristo, che lentamente aprirono la strada a nuovi e ulteriori dogmi, che si sancirono poi nel Concilio di Efeso del 431 d.C. 
Era il dominio della teologia. Ma la teologia, pur avendo la sua importanza, se diventa centrale, svia il credente da una vita di fede, carità e speranza. In pratica molti cristiani davano approvazione ad un Credo, ma nella sostanza non erano più disposti a cambiare le loro vite per Gesù Cristo. In pratica lentamente si dava più importanza alla teologia cristiana che alla vita cristiana. Nel corso del IV secolo le discussioni di teologia erano quotidiane, ma da allora la Chiesa non ha visto un solo anno totalmente libero da questioni teologiche. Solo un secolo dopo il Concilio di Nicea non era più suficiente conoscere la Bibbia per poter aiutare una persona ad avvicinarsi al messaggio di Gesù Cristo. Era necessario studiare gli scritti dei Padri della Chiesa e i decreti dei vari concili. In pratica non era più importante avere una profonda conoscenza della Bibbia, ma era necessario sapere quello che la Chiesa aveva sancito. Questo portò con il tempo a considerare la Bibbia un libro pericoloso. Infatti nel 1229 nel sinodo di Tolosa si proibì il possesso della Bibbia per i laici. 
A questo punto sarebbe stato necessario un predicatore come Pietro o Paolo di Tarso, per riportare alla freschezza propria del messaggio apostolico, ed invece arrivò un grande filosofo, che però era funzionale all’ibrido costantiniano, inserendosi perfettamente in quel tipo di architettura sociale: Agostino d’Ippona. 

YURI LEVERATTO
Copyright 2016

Bibliografia: 
Che parlino I primi cristiani, David Bercot
Il Regno che sconvolse il mondo, David Bercot
Storia ecclesiastica, Eusebio

Foto: l'imperatore Costantino.

Note: 
1-Cipriano – On the Lapsed and Commodianus Instruction on Christian discipline: “E a questo punto sono indignato per la evidente follia di Stefano che si vanta del suo vescovato e afferma che ha la successione di Pietro, sui quali furono poste le fondamenta della Chiesa.  
2-Eusebio, la vita di Costantino, 1, cap. 28
3-Eusebio, la vita di Costantino, 3, cap. 1
4-Eusebio, Storia ecclesiastica 10, 4, 36
5-Socrate scolastico, Storia della Chiesa, tomo 2, cap. 13
6-http://www.newadvent.org/fathers/26012.htm
7-Eusebio, Costantino, tomo 3, capitoli 64-65
8-Ecco una citazione di Agostino d’Ippona tratta dal suo scritto "Contro Fausto Manicheo" Libro 22, 74: "Cosa infatti si biasima nella guerra? Forse il fatto che muoiano quelli che sono destinati a morire, perché i destinati a vivere siano sottomessi nella pace? Obiettare questo è proprio dei paurosi, non dei religiosi. Il desiderio di nuocere, la crudeltà della vendetta, l'animo non placato e implacabile, la ferocia della ribellione, la brama di dominare e simili: è questo che a ragione si biasima nelle guerre. È soprattutto per punire a buon diritto simili cose che le guerre vengono intraprese dai buoni, per ordine di Dio o di qualche altro potere legittimo, contro la violenza di chi si oppone, quando essi vengono a trovarsi in una congiuntura delle umane vicende tale che la situazione stessa li costringe giustamente o a ordinare qualcosa di simile o ad eseguirlo". (http://www.augustinus.it/italiano/contro_fausto/index2.htm)
9-Socrate scolastico, Storia, tomo1, cap. 8
10-Socrate scolastico, Storia, cap. 9
11-Gibbon, il declino e la caduta dell’impero romano, 252

domenica 10 gennaio 2016

Paolo di Tarso e la cristianizzazione della Grecia


La Grecia è stata il centro culturale per eccellenza del mondo antico. A partire da Talete, (624-546 a.C), i filosofi greci si erano posti il problema della “causa prima”, l’elemento primordiale da cui tutto si è originato.
Talete, ma anche Anassimandro e Anassimene avevano analizzato il concetto di Logos indicandolo come il mezzo attraverso cui l’essere umano arriva ad avere una conoscenza stabile delle continue trasformazioni che avvengono in natura.
Nel corso dei secoli successivi, molti altri fiolosofi hanno dominato l’universo culturale ellenico e la ricerca dell’elemento primordiale dell’universo, come per esempio Pitagora (570-495 a.C.), Eraclito di Efeso (535-475 a.C), Parmenide di Elea (510-450 a.C.).
Anche Eraclito e Parmenide descrissero un Logos insito nella natura, cioè un progetto razionale che governa le cose e dà loro le leggi cui sono sottoposte. Per Eraclito tale progetto era l’armonia dei contrari, che vanno sempre insieme, giorno/notte, buono/cattivo, e la realtà è un continuo fluire, scorrere, ma ciò che permane stabile è il Logos, tale armonia. Parmenide, concepisce il Logos come il tutto, stabile, immobile, eterno, la vera realtà, mentre tutte le cose che si trasformano sono solo illusione dei sensi.
Fu però con Socrate (469-399 a.C.), Platone (427-347 a.C.) e Aristotele (384-322 a.C.), che la filosofia greca raggiunse il suo culmine, nell’età classica. Platone individuò l’anima come immortale ed incorporea, ed Aristotele individuò Dio come “motore immobile”, o “ultimo atto puro”.
A partire dal 146 a.C. la Repubblica romana conquistò militarmente la Grecia. Lentamente la cultura latina si fuse con quella ellenistica. Anche se Roma dominava il mondo mediterraneo dal punto di vista militare ed economico, la Grecia rimaneva sempre il centro culturale dell’impero ed inoltre la lingua greca era considerata la lingua franca dell’impero romano. Nel I secolo d.C. Atene non era più il centro culturale del Mediterraneo, ma erano sorti nuovi poli d’attrazione, come Efeso e Alessandria d’Egitto. Proprio ad Alessandria l’ebreo ellenizzato Filone contribuì a sviluppare una sintesi tra l’Antico Testamento e la filosofia ellenistica. Per Filone il Logos era inteso come il progetto di Dio prima della creazione. Il Logos era pure la parola di Dio che fa essere, che crea, che parla, è la parola dotata di senso profondo e sostanziale, una parola mediatrice che avvicina cielo e terra, divino e umano.
Proprio in quello stesso periodo storico, in Galilea, in Giudea ed infine a Gerusalemme accadde l’avvenimento fondamentale della civiltà occidentale: la predicazione e la morte in croce di Gesù Cristo, che i suoi seguaci individuarono come il Messia, il Figlio di Dio, il Logos incarnato.
Già nei primi tre anni successivi alla missione di Gesù Cristo sulla terra, i suoi seguaci lo invocavano come Signore (1 Cor. 16, 22). Fu proprio in quegli anni che Saulo di Tarso portò a termine durissime persecuzioni contro i seguaci di Gesù Cristo, che culminarono nel martirio di Stefano. Ma fu dopo questo evento scioccante che Saulo si convertì a Gesù Cristo, sulla via per Damasco, (possibilmente nel 36 d.C.). Dopo tali fatti Saulo, che da allora si fece chiamare Paolo, si diresse a predicare in Arabia (attuale Giordania) e quindi ritornò a Damasco (Lettera ai Galati 1, 17). In seguito visitò Gerusalemmme dove rimase per quindici giorni e conobbe Pietro e Giacomo, fratello di Gesù (Lettera ai Galati 1, 18-20). E’ possibile che in questo breve ma intenso periodo Pietro narrò a Paolo molti fatti e detti di Gesù Cristo, anche se da un punto di vista fideistico si ammette che la gran parte degli insegnamenti e dei fondamenti dottrinali della missione di Gesù Cristo sulla terra siano stati rivelati direttamente dal Signore a Paolo durante la sua conversione. Quindi Paolo partì per Tarso da dove proseguì per un periodo di predicazione in Siria e Cilicia. In seguito raggiunse Antiochia, dove si fermò un anno (44 a.C.). Quindi vi fu una seconda visita a Gerusalemme, insieme all’apostolo Barnaba ed il successivo ritorno ad Antiochia. Nel 47-48 d.C. Paolo, insieme a Barnaba e al futuro evangelista Marco, intrapresero il primo viaggio con lo scopo di cristianizzare l’Asia minore (odierna Turchia), che faceva parte del mondo ellenistico. Le tappe del viaggio furono l’isola di Cipro, il porto di Attalia, e quindi le città dell’Asia Perge, Antiochia di Pisidia, Iconio, Listra, Derbe. Il ritorno fu effettuato nuovamente dal porto di Attalia fino a Seleuce per poi raggiungere nuovamente Antiochia. Nel 50 d.C. Paolo si diresse nuovamente a Gerusalemme, dove partecipò al Concilio, insieme agli Apostoli (Lettera ai Galati, 2, 1-9). Nel Concilio si sancì definitivamente la possibilità di portare la parola del Signore anche ai non ebrei.
Dopo il Concilio di Gerusalemme Paolo partì per il suo secondo viaggio evangelizzatrice. Questa volta era deciso a portare il Vangelo nel cuore della Grecia, quella che era stata la culla della filosofia antica. Come fu possibile per Paolo di Tarso, iniziare con successo quel processo che avrebbe portato nel corso di un secolo alla cristianizziazione della Grecia? Come fu possibile che un uomo solo riuscì ad evangelizzare i Greci, eredi della filosofia platonica e seguaci della ferrea logica aristotelica?
Paolo partì insieme a Sila e Timoteo per Antiochia e quindi per Tarso. Da Tarso procedette per Antiochia di Pisidia da dove continuò il viaggio fino a Troade, presso lo stretto dei Dardanelli. Da quel punto s’imbarcò per la Macedonia e quindi giunse a Filippi. Dopo essere passati per Anfipoli ed Apollonia giunsero a Tessalonica. Ecco il passaggio corrispondente degli Atti degli Apostoli, (17, 1-7):

Dopo essere passati per Amfipoli e per Apollonia, giunsero a Tessalonica, dove c'era una sinagoga dei Giudei; e Paolo, com'era sua consuetudine, entrò da loro, e per tre sabati tenne loro ragionamenti tratti dalle Scritture, spiegando e dimostrando che il Cristo doveva morire e risuscitare dai morti. «E il Cristo», egli diceva, «è quel Gesù che io vi annuncio». Alcuni di loro furono convinti, e si unirono a Paolo e Sila; e così una gran folla di Greci pii, e non poche donne delle famiglie più importanti. Ma i Giudei, mossi da invidia, presero con loro alcuni uomini malvagi tra la gente di piazza; e, raccolta quella plebaglia, misero in subbuglio la città; e, assalita la casa di Giasone, cercavano di trascinare Paolo e Sila davanti al popolo. Ma non avendoli trovati, trascinarono Giasone e alcuni fratelli davanti ai magistrati della città, gridando: «Costoro, che hanno messo sottosopra il mondo, sono venuti anche qui, e Giasone li ha ospitati; ed essi tutti agiscono contro i decreti di Cesare, dicendo che c'è un altro re, Gesù».

Dopo una sosta a Berea, Paolo si diresse ad Atene, dove tenne il famoso discorso all’Areopago, davanti ai filosofi neo-platonici. Fu realmente la prova più difficile in quanto Paolo si scontrava per la prima volta con un muro quasi impenetrabile, giacchè la Risurrezione del Signore da lui predicata non faceva presa nelle menti neo-platoniche dei saggi dell’Areopago. Infatti gli eruditi greci vedevano la morte come una liberazione dell’anima dal corpo e l’idea di una risurrezione nella carne, sembrava loro un ritorno alla prigionia del corpo.
Paolo comunque non si perse d’animo, ma si diresse a Corinto, dove si fermò almeno un anno e mezzo. Fu proprio a Corinto che sorse la prima comunità di cristiani di Grecia e fu proprio da quella città che Paolo iniziò a scrivere le sue Lettere, dove cominciò a delineare i fondamenti dottrinali della missione salvifica di Gesù Cristo, nonchè il concetto della Divinità di Gesù Cristo. Le prime due Lettere di Paolo di Tarso furono scritte da Corinto ai Tessalonicesi nel 51-52 d.C.
Paolo che era un ebreo ormai ellenizzato, scriveva in greco, ben consapevole che la diffusione dei suoi scritti sarebbe stata più agevole nella lingua franca dell’impero romano.
Quindi Paolo decise di tornare in Asia e salpò per Efeso da dove poi continuò il viaggio via mare per Cesarea, visitando poi Gerusalemme e giungendo infine ad Antiochia.
Presto Paolo decise di iniziare il suo terzo viaggio con lo scopo di portare il Vangelo ancora una volta in Grecia. Aveva compreso che la Grecia da un punto di vista culturale era estremamente importante per la futura cristianizzazione del mondo. Se la Grecia avesse accettato Gesù Cristo, tutto il mondo l’avrebbe successivamente accettato.
Il terzo viaggio ebbe inizio da Antiochia. Ancora una volta Paolo percorse le strade polverose della Cilicia, della Galazia e della Frigia, giungendo quindi ad Efeso, importante capitale della cultura ellenistica. Ad Efeso Paolo si fermò almeno due anni e da quella città scrisse varie lettere (Prima Lettera ai Corinzi, Lettera ai Galati, Lettera ai Filippesi).
Vediamo un importante passaggio della Prima Lettera ai Corinzi, (15, 1-8):

Vi proclamo poi, fratelli, il Vangelo che vi ho annunciato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi e dal quale siete salvati, se lo mantenete come ve l’ho annunciato. A meno che non abbiate creduto invano! A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè
che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto.

In questo passaggio Paolo proclama il kerygma del Vangelo, ossia il messaggio centrale che vuole trasmettere ai suoi ascoltatori. Gesù Cristo è morto con il fine di togliere il peccato del mondo, ossia espiare tutti i peccati, e quindi il terzo giorno è risorto dai morti. Quindi Paolo descrive le apparizioni di Gesù ai suoi seguaci.
Vediamo ora un passaggio fondamentale della Lettera ai Filippesi (53-55 d.C.), dove vi è un importante inno all’umiltà, dedicato a Gesù Cristo (2, 3-11):

Non fate niente per ambizione ne per vanagloria, ma con umiltà ritenete gli altri migliori di voi; non mirando ciascuno ai propri interessi, ma anche a quelli degli altri. Coltivate in voi questi sentimenti che furono anche in Cristo Gesù:
il quale, essendo per natura Dio,
non stimò un bene irrinunciabile
l’essere uguale a Dio
ma annichilì se stesso
prendendo natura di servo,
diventando simile agli uomini;
e apparso in forma umana
si umiliò facendosi obbediente
fino alla morte
e alla morte in croce.
Per questo Dio lo ha sopraesaltato
ed insignito di quel nome,
affinchè, nel nome di Gesù,
si pieghi ogni ginocchio
degli esseri celesti
dei terrestri e dei sotterranei
e in ogni lingua proclami,
che Gesù Cristo è Signore
a gloria di Dio Padre.

Leggendo questo importante brano ritmico, vediamo che, al sesto passo Paolo scrive: “il quale, essendo per natura Dio”. Quindi Paolo scrive chiaramente che Gesù è Dio, per natura. Però Paolo aggiunge che Gesù Cristo “annichilì se stesso prendendo natura di servo” e “si umiliò facendosi obbediente fino alla morte e alla morte in croce”. Qui Paolo esprime pertanto il concetto dell’incarnazione di Dio in una persona umana e per la prima volta, ribadisce il concetto dell’umiltà del Signore, che avrebbe potuto venire in piena potenza, ma venne “prendendo natura di servo”, umiliandosi fino alla morte in croce. Ecco che pertanto, Paolo di Tarso esprime in poche righe vari concetti cardine del Cristianesimo: Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo, ed è morto in croce.
Inoltre nell’undicesimo passo scrive: “e in ogni lingua proclami, che Gesù Cristo è Signore a gloria di Dio Padre”. Paolo non scrive “Dio”, ma bensì “Dio Padre”. Così facendo, ricollegandosi al sesto passo, certifica la Divinità del Figlio.
In altri passaggi delle sue Lettere svilupperà il concetto dell’atto salvìfico attuato da Gesù Cristo sulla croce e descriverà la sua Risurrezione, come certificazione della sua vittoria sul peccato e sulla morte.
Dopo il lungo soggiorno ad Efeso Paolo di Tarso procedette per Tessalonica, in Macedonia, da dove scrisse la Seconda Lettera ai Corinzi. Quindi proseguì per Corinto dove rimase per circa tre mesi e da dove scrisse la sua Lettera ai Romani.
Anche in questa Lettera vi è un importante passaggio dove Paolo certifica la piena Divinità di Gesù Cristo: (9, 4-5):

Essi sono Israeliti, loro è l’adozione a figli, la gloria le alleanze, a loro è stata data la legge, il culto le promesse, i patriarchi, da loro proviene Cristo secondo la sua natura umana, egli che domina tutto è Dio, Benedetto nei secoli, amen.

Quindi Paolo di Tarso decide di rientrare in Asia passando per la Macedonia.
Da Neapolis (il porto di Filippi) s’imbarca per la Troade da dove poi raggiunge via mare Mileto. Da Mileto s’imbarca per il viaggio che lo porterà a Gerusalemme, dove verrà arrestato, con l’accusa di aver predicato contro la legge mosaica. In realtà Paolo di Tarso non aveva affatto predicato contro la legge, ma aveva predicato il Vangelo di Gesù Cristo, che non era venuto al mondo per abolire la legge, ma per completarla. In ogni caso Paolo fu imprigionato per circa due anni nella città di Cesarea. Durante il periodo in carcere vari giudei lo accusarono formalmente di fronte al governatore romano Felice, ma quest’ultimo non decise ne per una condanna ne per una inmediata scarcerazione.
I governatori romani esitavano infatti a pronunciarsi sulle questioni religiose dimostrando invece una certa prudenza e moderazione. Anche il governatore successivo Porcio Festo (59-60 d.C.) attuò con prudenza evitando di condannare Paolo di Tarso. Ma Paolo, essendo cittadino romano, si appellò all’imperatore ed ottenne così di poter essere giudicato direttamente a Roma. Perchè Paolo chiese di essere giudicato a Roma quando godeva di un certa benevolenza sia da parte di Porcio Festo che da parte del re Agrippa? Sicuramente in lui vi era ancora una potente fiamma evengelizzatrice, e voleva poter raggiungere Roma, la capitale dell’impero, in modo da poter espletare colà la sua missione finale.
Iniziò così il suo viaggio verso Roma, accompagnato dal suo discepolo Luca, autore successivo del Vangelo di Luca e degli Atti degli Apostoli, sotto la custodia di Giulio, probabilmente un incaricato di Porcio Festo. Il viaggio fu effettuato via mare toccando vari porti del Mediterraneo orientale quali Sidone, Mira, l’isola di Creta e l’isola di Malta. Quindi Siracusa, Reggio e Pozzuoli, da dove Paolo procedette via terra verso Roma.
Paolo rimase agli arresti domiciliari a Roma per circa due anni. Durante questo periodo scrisse altre lettere (Lettera ai Colossesi, Lettera agli Efesini, Lettera a Filemone).
La Lettera ai Colossesi è importante perchè vi è un passaggio dove ancora una volta Paolo attesta la piena Divinità di Gesù Cristo (2, 9):

È in lui che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità

Paolo afferma che in Cristo si ha “tutta la pienezza della divinità” (1), cioè l'Essenza divina. Per Paolo di Tarso Gesù Cristo è Dio.
Egli, in quanto Persona, si distingue dal Padre per la relazione che ha con il Padre essendo lui il Figlio Unigenito, ma una sola è l'Essenza. Tutta la pienezza della divinità “abita corporalmente” in lui, cioè non per via di semplice azione della divinità su di un corpo umano, ma per l'unione ipostatica delle due nature, quella divina e quella umana. Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo.
Quando Paolo fu rilasciato, presumibilmente nel 62 d.C., iniziò un periodo di predicazione a Roma, durante il quale scrisse altre lettere (Prima Lettera a Timoteo, Lettera a Tito, Seconda Lettera a Timoteo).
Nella Prima Lettera a Timoteo vi è un altro passaggio importante (2)(3), dove Paolo sottolinea ancora una volta la Divinità di Gesù Cristo (3, 16)

Senza alcun dubbio, infatti, è grande il mistero della pietà:
Dio si è manifestato nella carne
Fu giustificato nello spirito
Apparve agli angeli
Fu predicato alle nazioni
Fu creduto nel mondo
Fu assunto nella gloria

Durante il periodo passato a Roma, Paolo di Tarso continuò a predicare il Vangelo, e in specialmodo la Divinità di Gesù Cristo, e la sua morte in croce con il fine salvìfico di togliere il peccato del mondo. Vediamo a tale proposito un passaggio Lettera ai Galati, nella quale ci sono riferimenti all’azione salvifica di Gesù (1, 3-5):

grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo, che ha dato se stesso per i nostri peccati al fine di strapparci da questo mondo malvagio, secondo la volontà di Dio e Padre nostro, al quale sia gloria nei secoli dei secoli. Amen.

Naturalmente Paolo continuava anche a divulgare la gloriosa Risurrezione di Gesù Cristo dai morti, vediamo a tale proposito due passaggi delle sue Lettere:

Prima Lettera ai Corinzi (15, 12-14):

Ora, se si annuncia che Cristo è risorto dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non vi è risurrezione dei morti? Se non vi è risurrezione dei morti, neanche Cristo è risorto! Ma se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede. 

Lettera ai Romani (6, 9-10):

sapendo che Cristo, risorto dai morti, non muore più; la morte non ha più potere su di lui. Infatti egli morì, e morì per il peccato una volta per tutte; ora invece vive, e vive per Dio.

Sotto l’impero di Nerone i cristiani furono perseguiti duramente, in quanto non riconoscevano la “divinità” dell’imperatore e predicavano il Vangelo di Cristo, affermando che solo la fede in lui e il pentimento dei propri peccati avrebbero portato alla salvezza e quindi alla vita eterna. Tutto ciò era in forte contraddizione con la religione e con la cultura romana, la quale vedeva l’essere umano come un semplice animale sviluppato e non un essere sacro, al centro del progetto divino.
La credenza cristiana era pertanto vista come ostile alla cultura e alle tradizioni romane. Chi non sacrificava al genio dell’imperatore, era visto come sedizioso e ribelle in quanto detti sacrifici propiziavano anche le vittorie militari. I cristiani erano così visti come scomodi, a volte pericolosi e contrari al costume e alla morale romana. Fu in questo periodo che Paolo fu sentenziato alla pena capitale. Ovviamente Paolo di Tarso fu fedele fino all’ultimo ai precetti di Gesù Cristo, dimostrando con l’estremo sacrificio l’assoluta veridicità e affidabilità dei suoi insegnamenti.
Abbiamo varie fonti storiche (4) del suo martirio, avvenuto probabilmente nel 67 d.C., vediamone alcune:

Lettera di Ignazio di Antiochia agli Efesini (110 AD)

XII. So chi sono e a chi scrivo. Io sono un condannato, voi avete ottenuto misericordia. Io in pericolo, voi al sicuro. Voi siete la strada per quelli che s'innalzano a Dio. Gli iniziati di Paolo che si è santificato, ha reso testimonianza ed è degno di essere chiamato beato. Possa io stare sulle sue orme per raggiungere Dio; in un'intera sua lettera si ricorda di voi in Gesù Cristo.

Lettera ai Romani di Dionigi, vescovo di Corinto (166-174 AD), in Eusebio di Cesarea - Storia Ecclesiastica 25-8

“Con una tale ammonizione voi avete fuso le piantagioni di Roma e di Corinto, fatte da Pietro e da Paolo, giacchè entrambi insegnarono insieme nella nostra Corinto e noi ne siamo i frutti, e ugualmente, dopo aver insegnato insieme anche in Italia, subirono il martirio nello stesso tempo”

Tertulliano –Prescrizione contro le eresie (200 AD)

Come felice è la sua chiesa, su cui gli apostoli riversano tutta la loro dottrina insieme con il loro sangue! Dove Pietro subisce la passione come il suo Signore! Dove Paolo vince la corona in una morte simile a quella di Giovanni, dove l'apostolo Giovanni fu immerso, illeso, in olio bollente, e quindi rimandato in esilio nella sua isola! Vedete ciò che ha imparato, ciò che ha insegnato, e quello che ha avuto comunione con le nostre chiese in Africa!

Lattanzio, De Mortibus Persecutorum (318 AD)

I suoi apostoli erano allora undici di numero, al quale sono stati aggiunti Mattia, al posto del traditore Giuda, e poi Paolo. Poi si dispersero per tutta la terra a predicare il Vangelo, come il Signore loro Maestro gli aveva ordinato; e durante venticinque anni, e fino all'inizio del regno di Nerone, si occuparono di gettare le fondamenta della Chiesa in ogni provincia e città. E mentre Nerone regnava, l'apostolo Pietro è venuto a Roma, e, attraverso la potenza di Dio che gli fu affidata, fece certi miracoli e, convertendo molti alla vera religione, costruì un tempio fedele e saldo al Signore. Quando Nerone sentì parlare di queste cose, e osservò che non solo a Roma, ma in ogni altro luogo, una grande moltitudine di persone abbandonava ogni giorno il culto degli idoli, e, condannando le loro vecchie abitudini, si avvicinava alla nuova religione, lui, un esecrabile e pernicioso tiranno, decise di radere al suolo il tempio celeste e distruggere la vera fede. Fu lui che per primo ha perseguitato i servi di Dio; lui ha crocifisso Pietro e ha fatto uccidere Paolo.

L’opera di evangelizzazione del mondo ellenico è continuata, in particolare con altri tre Apostoli del Signore. Contemporaneamente a Paolo di Tarso, anche Andrea divulgò la Parola del Signore nel mondo ellenistico. Secondo Eusebio di Cesarea, Andrea predicò in Asia Minore, Scizia, e fu il fondatore della sede episcopale di Bisanzio (il secondo vescovo fu Stachys a partire dal 38 d.C.). Andrea fu quindi martirizzato a Patrasso, (provincia greca dell’Acaia), nel 60 d.C.
Il terzo Apostolo del Signore che predicò nel mondo ellenistico fu Filippo. Secondo Policrate di Efeso, che fu vescovo dell’omonima città ellenistica sul finire del secondo secolo, Filippo predicò a lungo in Frigia, morendo a Gerapoli nell’anno 80 d.C.
Il quarto Apostolo del Signore che predicò nel mondo ellenistico fu Giovanni, autore del quarto Vangelo, di tre Lettere e dell’Apocalisse.
Gli scritti di Giovanni sono stati immensamente importanti per la diffusione del Cristianesimo. Giovanni si inserisce in modo diretto nel substrato ellenistico ma anche in quello prettamente asiatico, dominato dal dualismo tra luce e tenebre, tra verità e falsità e riporta alcuni detti di Gesù Cristo che toccano i cuori di quelle popolazioni.
Come abbiamo visto la piena Divinità di Gesù Cristo era già stata divulgata fin dagli anni immediatamente successivi alla Resurrezione di Gesù da Paolo di Tarso, ma Giovanni introduce un concetto nuovo: il Logos, il Verbo di Dio, si è incarnato in un essere umano. Inoltre Giovanni svela la Verità ultima: il “Logos è Dio”.
Dopo la morte di Giovanni il Cristianesimo è già abbastanza radicato in Grecia e nel mondo ellenistico. Importante fu l’opera di Ignazio di Antiochia (35-107 d.C.), che dopo essere stato imprigionato e inviato a Roma scrisse sette lettere con le quali divulgava il Vangelo. L’opera evangelizzatrice di Giovanni fu continuata da Policarpo di Smirme (69-155 d.C.), il quale ci ha lasciato una Lettera ai Filippesi. Policarpo fu martirizzato nel 155 d.C. per essersi rifiutato di sacrificare all’imperatore.
Ma nel secondo secolo dopo Cristo la fede cristiana era già diffusa nel cuore della Grecia e anche in tutto il mondo ellenistico. Uno dei primi apologisti cristiani greci fu Atenagora di Atene (133-190 d.C.). Nella sua opera principale, Supplica intorno ai cristiani (177 d.C.), Atenagora cercò di divulgare la credenza cristiana rivolgendosi agli imperatori Marco Aurelio e Lucio Aurelio Commodo, e tentò di difendere il Cristianesimo da false accuse di ateismo (chi non adorava gli dei pagani era accusato di atesimo), incesto (l’amore fraterno era visto a volte dai romani come incesto), e cannibalismo, (il rito dell’eucarestia era a volte scambiato per cannibalismo). Inoltre, in alcuni passaggi di quest’opera Atenagora ribadisce il fondamento del credo cristiano, la fede in Gesù Cristo, e addirittura individua la Trinità, nominando il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Vediamo il passaggio corrispondente della Supplica intorno ai crristiani, Prologo del capo X:

Non siamo atei, perchè affermiamo un Dio unico e perfetto. Inoltre noi riconosciamo il Figlio di Dio, il suo Verbo, per cui il Padre ha fatto ogni cosa, e lo Spirito Santo, emanazione di Dio. Ammettiamo ancora una moltitudine di angeli e ministri di Dio.

Sul finire del secondo secolo l’opera evangelizzatrice di Paolo di Tarso, iniziata circa 160 anni prima, aveva dato molti frutti e continuava ad espandersi. Altri apologisti ed autori cristiani continuarono a diffondere il Vangelo, che lentamente si stava affermando tra le persone umili, tra gli ultimi, nell’intimità del popolo greco ed ellenistico e in tutto l’impero.

YURI LEVERATTO
Copyright 2016

Foto principale: Martirio di San Paolo - Hendrik Goltzius, XVII secolo

Note:
1-Textus Receptus in greco: ὅτι ἐν αὐτῷ κατοικεῖ πᾶν τὸ πλήρωμα τῆς θεότητος σωματικῶς - che tradotto nella King James del 1611 è: “For in him dwelleth all the fulness of the Godhead bodily”. O nella Reina Valera in spagnolo è: “Porque en el habita corporalmente toda la plenitud de la Deidad”. E in italiano: “È in lui che dimora corporalmente tutta la pienezza della divinità”.
2-Textus Receptus, King James, Reina Valera
3-Prima Lettera a Timoteo (3, 16). Negli antichi manoscritti, i nomi sacri di Dio, Cristo, lo Spirito, ecc. Erano abbreviati. L’abbreviazione greca per “Dio” sembra esattamente iguale alla parola “Chi”, eccetto che ha un breve trattino orrizontale che segna la differenza tra una theta e una omicron, e un altro trattino sulla parola da mostrare che si tratta di un’abbreviazione. I manoscritti hanno differenti letture: “Dio” (Textus receptus), “Chi”, e Colui che”. In ogni caso anche la dicitura “Colui che si manifestò nella carne”, indica l’incarnazione del Verbo, ossia Dio, in una persona umana. Infatti Paolo di Tarso non avrebbe scritto “colui che si manifestò nella carne” riferendosi ad un semplice uomo, giacché un semplice uomo è sempre in carne e ossa.
4- Vi sono poi altre fonti sul martirio di Paolo, come la Lettera ai Filippesi di Policarpo e la Storia Ecclesiastica Eusebio di Cesarea, Libro II cap. 25 5-7