giovedì 24 settembre 2015

Considerazioni sulla Risurrezione di Gesù Cristo


Coloro i quali non credono in Gesù Cristo, negano che la Risurrezione sia un fatto realmente avvenuto. 
Ma anche molti credenti in Gesù Cristo sostengono che la sua Risurrezione dai morti si deve accettare per fede e che non si può provare storicamente.
Premetto che questo mio articolo non ha lo scopo di provare che la Risurrezione sia realmente avvenuta. Piuttosto ha lo scopo di dimostrare che alcune tesi usate tentando di screditare l’evento della Risurrezione, non hanno fondamento storico.
Sul fatto poi che ogni credente accetti la Risurrezione per fede non c’è dubbio, ma a mio parere l’analisi dei fatti storici corrobora l’evento fondamentale della storia umana.
Un primo argomento che viene usato dagli scettici della Risurrezione è che Gesù non risorse perché semplicemente non morì sulla croce, e quindi fu visto tre giorni dopo la sua morte apparente.
Se però gli Apostoli credevano nella Risurrezione di Gesù era perché erano certi della sua morte. Se avessero divulgato una Risurrezione mai avvenuta, sapendo di divulgare il falso, ecco che sarebbero stati degli impostori. Ma se fossero stati degli impostori non sarebbero andati al martirio per affermare la loro predicazione e i loro scritti. (Infatti quasi tutti gli autori dei Libri del Nuovo Testamento morirono da martiri, mi riferisco a Marco, Matteo, Paolo, Pietro, Giacomo). Inoltre, naturalmente, se Gesù non fosse morto in croce, apparendo poi tre giorni dopo e dichiarando di aver vinto la morte, Gesù stesso sarebbe stato un impostore, perché avrebbe mentito. In questo caso gli Apostoli stessi, se fossero stati onesti, lo avrebbero smascherato e ovviamente non avrebbero divulgato la Buona Novella.
Ma è realmente possibile che Gesù non sia morto sulla croce?
Innanzitutto bisogna sottolineare che oggigiorno nessun storico del Nuovo Testamento avalla questa tesi. La crocifissione era il metodo più cruento per uccidere un uomo durante l’impero romano. E’ fortemente improbabile che la vittima di una crocifissione potesse sopravvivere, e anche ammettendo che Gesù avesse potuto sopravvivere, non vi sono fonti storiche che affermano questo fatto.
Vi sono invece varie fonti storiche dove si descrive la sua crocifissione, vediamole. Innazitutto vi è quella di Cornelio Tacito, che scrive così nei suoi annali (XV, 44):

"Nerone si inventò dei colpevoli e sottomise a pene raffinatissime coloro che la plebaglia, detestandoli a causa delle loro nefandezze, denominava cristiani. Origine di questo nome era Christus, il quale sotto l'impero di Tiberio era stato condannato all'estrema condanna dal procuratore Ponzio Pilato".

Tacito, anche se li disprezza, descrive i cristiani e conferma quello che c’è scritto nei Vangeli: Gesù Cristo, visse sotto l’impero di Tiberio (che governò dal 14 al 37 d.C.) e gli fu imposta l’estrema condanna (crocifissione) da Ponzio Pilato.
Vi è poi il libro “Antichità Giudaiche” dove, nel passaggio detto Testimonium Flavianum, Giuseppe Flavio descrive la crocifissione di Gesù e persino la sua Risurrezione (3):

"Ci fu verso questo tempo Gesù, uomo saggio, se è lecito chiamarlo uomo: era infatti autore di opere straordinarie, maestro di uomini che accolgono con piacere la verità, ed attirò a sè molti Giudei, e anche molti dei greci. Questi era il Cristo. E quando Pilato, per denunzia degli uomini notabili fra noi, lo punì di croce, non cessarono coloro che da principio lo avevano amato. Egli infatti apparve loro al terzo giorno nuovamente vivo, avendo già annunziato i divini profeti queste e migliaia d'altre meraviglie riguardo a lui. Ancor oggi non è venuta meno la tribù di quelli che, da costui, sono chiamati Cristiani."

Vediamo un’altra fonte storica sulla crocifissione di Gesù: il Talmud Babilonese, una collezione di scritti rabbinici ebrei (4):

"Alla vigilia della Pasqua, Yeshu fu appeso. Per quaranta giorni prima dell'esecuzione, un araldo…gridava: "Egli sta per essere lapidato perché ha praticato la stregoneria e ha condotto Israele verso l'apostasia".

Questo passaggio non solo è una delle prove dell’esistenza stessa di Gesù, ma spiega indirettamente, dal punto di vista degli ebrei che non credettero in lui, il motivo della sua crocifissione, infatti si sostiene che abbia praticato la “stregoneria” e che “abbia portato Israele all’apostasia”. Da una parte si confermano i miracoli, considerati come “stregoneria” da chi non credeva, dall’altra parte si confermano i Vangeli, che descrivono il perché Gesù fu mandato al patibolo, in quanto dal punto di vista degli ebrei non credenti, lui era un apostata, ovvero una persona blasfema che non crede nelle sacre scritture, ma si sostituisce ad esse.
Vi sono altre fonti storiche sulla crocifissione di Gesù, come per esempio quella dello scettico Luciano di Samostata nell’opera La morte di Peregrino (5).
Abbiamo visto pertanto che Gesù Cristo morì realmente sulla croce, ed ogni altra teoria che nega la sua morte in croce na ha alcun credito tra la maggioranza degli storici moderni. Pertanto l’ipotesi che non risorse perché non morì in quella circostanza, risulta essere priva di fondamento.
Alcuni scettici sostengono poi che la Risurrezione di Gesù sarebbe una leggenda sorta molti anni dopo la sua morte, e sarebbe stata inserita nei Vangeli per giustificare la fede dei cristiani. Gesù Cristo sarebbe stato così divinizzato circa trenta anni dopo la sua morte, ma nessuno dei primi cristiani avrebbe mai realmente creduto alla Risurrezione durante gli anni immediatamente successivi alla morte di Gesù.
Questo argomento è confutabile in quanto già nelle Lettere di Paolo di Tarso, vi è descritta la Risurrezione. Nella Prima Lettera ai Tessalonicesi (scritta nel 52 AD), vi sono dei chiari riferimenti alla Risurrezione (1: 9-10): 

Sono essi infatti a raccontare come noi siamo venuti in mezzo a voi e come vi siete convertiti dagli idoli a Dio, per servire il Dio vivo e vero e attendere dai cieli il suo Figlio, che egli ha risuscitato dai morti, Gesù, il quale ci libera dall’ira che viene.

Vediamo ora il famoso passaggio della Prima Lettera ai Corinzi (15: 1, 11):

Vi proclamo poi, fratelli, il Vangelo che vi ho annunciato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi e dal quale siete salvati, se lo mantenete come ve l’ho annunciato. A meno che non abbiate creduto invano!
A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana. Anzi, ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me. Dunque, sia io che loro, così predichiamo e così avete creduto.

Questo passaggio della Prima Lettera ai Corinzi, (che è stata scritta nel 54 A.D.), è riconosciuto essere da molti storici del Nuovo Testamento come un “credo” molto antico, che potrebbe risalire solo a cinque anni dopo la morte di Gesù e originatosi nella comunità cristiana di Gerusalemme (1).
Paolo lo ha riportato nella sua lettera ai Corinzi proprio perché aveva un’importanza fondamentale. All’interno di questo “antico credo” vi sono sintetizzati tre fatti: la morte in croce di Gesù, la sua Risurrezione fìsica, e le sue apparizioni non solo ai suoi Apostoli, ma anche a numerosi altri discepoli.
Naturalmente ci sono tanti altri passaggi delle Lettere di Paolo di Tarso dove si descrive la Risurrezione, ma per ora vorrei sottolineare il fatto che quest’evento era già tramandato negli anni immediatamente successivi alla morte di Gesù.
Non fu pertanto un fatto aggiunto nei Vangeli in epoca successiva, ma è stato un fatto al quale gli Apostoli credevano fermamente già da subito, pertanto inmediatamente dopo le prime apparizioni.
Analizziamo ora un altro mito, che spesso viene usato da chi nega la Risurrezione di Gesù. Alcune persone sostengono che il corpo di Gesù fu sottratto dalla tomba, nascosto e poi tumulato in un altro luogo, con il fine di far credere ad altri che Gesù fosse risorto dai morti.
Innazitutto bisogna ricordare che la legge ebraica vietava espressamente di aprire i sepolcri (se non per collocarvi nuovi morti), e puniva con la morte il trafugamento di cadavere, pertanto l’ipotesi che qualcuno dei seguaci di Gesù abbia realmente asportato il corpo è, da un punto di vista storico, remota.
Inoltre vi è un particolare del Vangelo di Giovanni che descrive come furono trovati i lini e il sudario nel sepolcro.
Secondo l’Apostolo Giovanni, il primo giorno della settimana (domenica), Maria Maddalena andò di buon mattino al sepolcro e vide la pietra tolta dal sepolcro. Nei sepolcri ebraici dei tempi di Gesù, la pietra posta all’ingresso non poteva scivolare, essendo bloccata in una scanalatura praticata nel tufo. E perciò il sepolcro non poteva essere stato aperto dall’interno con una spallata. Per questo Maria concluse che il cadavere fu rubato.
Ma secondo il Vangelo di Matteo (27: 64-66), i capi dei sacerdoti e i farisei dissero a Pilato:

Ordina dunque che la tomba venga vigilata fino al terzo giorno, perché non arrivino i suoi discepoli, lo rubino e poi dicano al popolo: “È risorto dai morti”. Così quest’ultima impostura sarebbe peggiore della prima!». Pilato disse loro: «Avete le guardie: andate e assicurate la sorveglianza come meglio credete». Essi andarono e, per rendere sicura la tomba, sigillarono la pietra e vi lasciarono le guardie.

Pertanto come potrebbe essere stato rubato il corpo se vi erano delle guardie che vigilavano il sepolcro?
Dopo aver visto che la pietra era stata tolta dal sepolcro Maria Maddalena corse andando da Simone Pietro e dall’altro discepolo che Gesù amava (Giovanni) e disse loro (Vangelo di Giovanni 20, 2):

Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!

Stranamente Maddalena usò il termine “Signore”, che normalmente è un termine riferito solo a Dio (molte volte) o a Gesù risorto. Quindi Pietro e Giovanni si recarono al sepolcro. Ma Giovanni vi giunse prima di Pietro.
Analizziamo i passi del Vangelo di Giovanni (20: 5-8):

Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette”.

I due Apostoli verificarono pertanto che la tomba era vuota. Inoltre da questi passi si evince che il sudario che era sopra il capo non era giacente con i lini (o teli), ma era separatamente arrotolato in un luogo spostato.
“Vide e credette”.
Cosa vide? Cosa credette?
Vide appunto che il lini erano separati dal sudario (o mentoniera). Credette alla Maddalena e all'ipotesi dell’asportazione del cadavere, o credette alla Risurrezione?
Il verbo usato da Giovanni (in greco: pisteÙw) viene usato 98 volte nel Vangelo di Giovanni in senso sopranaturale. Quindi è logico pensare che appunto Giovanni credette alla Risurrezione. Se ci fosse stata asportazione del cadavere, Pietro e Giovanni non avrebbero trovato nulla, perché appunto il cadavere sarebbe stato asportato avvolto nei lini e nel sudario. In pratica se qualcuno avesse voluto portar via il cadavere, non avrebbe potuto lasciare i lini in quel modo.
Vediamo un’altro passaggio del Vangelo di Giovanni (20, 10):

I discepoli perciò se ne tornarono di nuovo a casa”,

Da questo passo si evince che Pietro e Giovanni non pensarono all’asportazione del cadavere (sennò sarebbero andati a cercare il corpo), ma alla Risurrezione. Inoltre, una prova che l’asportazione del corpo di Cristo da parte degli stessi cristiani è improponibile, risulta dal fatto che essi non furono accusati di ciò dalle autorità. Se ci fossero stati indizi della loro colpevolezza sarebbero stati arrestati e messi sotto investigazione, in quanto aprire una tomba e trafugare un cadavere era un delitto grave. Ma di questa accusa o investigazione non c’è traccia. D’altronde come avrebbero potuto trafugare il corpo se vi erano delle guardie che controllavano la tomba? (Come si evince dal Vangelo di Matteo 27:64).
Analizziamo ora un’altra possibile leggenda relazionata alla Risurrezione e alle successive apparizioni di Gesù Cristo. Alcune persone hanno sostenuto che gli Apostoli avessero avuto delle allucinazioni collettive. In pratica non avrebbero visto Gesù in carne e ossa risorto, ma si sarebbero convinti di averlo visto, di avergli parlato, in pratica avrebbero avuto un’esperienza non reale.
Gli studiosi di fenomeni di allucinazione sostengono che normalmente le allucinazioni si verificano attraverso uno dei cinque sensi. Pertanto si possono verificare allucinazioni visive, olfattive, uditive, tattili, e persino gustative.
E’ rarissimo però che il fenomeno di allucinazione si manifesti in modo completo, ossia vedendo, ascoltando e toccando “qualcuno o qualcosa”. Inoltre ancora più difficile è che una allucinazione si manifesti a più persone contemporaneamente. Ma le apparizioni di Gesù non hanno avuto luogo in un singolo evento. Ve ne sono state varie, e in differenti luoghi. Inoltre gli Apostoli in seguito alle apparizioni non hanno dato segno di delirio o pazzia, ma hanno vissuto in modo mite, pacato e tranquillo, divulgando con fermezza la Buona Novella. Il fatto poi che nessuno di loro abbia contraddetto gli altri è un’altra prova del fatto che ciò che videro era veritiero. Inoltre il fatto che i primi cristiani fossero disposti addirittura ad andare alla morte pur di non rinnegare Gesù Cristo è una ulteriore prova della veridicità delle apparizioni.
Nessuno di loro sarebbe andato alla morte se non fosse stato più che sicuro che colui che gli apparve dopo la Risurrezione era proprio Gesù, in carne e ossa, ricordando ovviamente che questo evento era stato da lui annunciato, mentre era in vita.
Inoltre c’è un fatto da considerare: se la teoria delle allucinazioni fosse vera, dovrebbe essere vera pure la teoria dell’asportazione del cadavere di Gesù dalla tomba.
A questo punto gli scettici della Risurrezione devono conciliare vari fatti per negare che la Risurrezione sia realmente avvenuta: devono infatti assumere che il corpo di Gesù sia stato rubato (teoria che come abbiamo visto è, da un punto di vista storico, remota), e che contestualmente tutti gli Apostoli, oltre a Maria Maddalena, i discepoli di Emmaus, Giacomo il Giusto e poi Paolo di Tarso abbiano avuto allucinazioni di gruppo per più di una volta. Considerando infatti che nel Nuovo Testamento, vi sono descritte almeno tredici apparizioni (6) diverse fra loro (escludendo l’Apocalisse), risulta altamente improbabile che siano state tutte dovute ad allucinazioni, anche considerando che durante gli anni successivi nessuno degli Apostoli ha dato segni di schizzofrenia o delirio.
Vediamo pertanto che anche la teoria delle allucinazioni di gruppo, che attualmente non è sostenuta da nessun serio studioso del Nuovo Testamento, viene a cadere.
Un’altra tesi di alcune persone che non credono che la Risurrezione di Gesù sia stata veritiera è che secondo la scienza, risorgere dalla morte è impossibile. Questa tesi però si può confutare in quanto si presuppone che la Risurrezione di Gesù sia avvenuta proprio a causa di un evento soprannaturale, quindi un evento voluto da Dio. E’ ovvio che se una persona nega l’esistenza stessa di Dio non potrà ammettere la possibiltà della Risurrezione di Gesù Cristo.
Un’ultima tesi di alcuni negazionisti della Risurrezione è che nei Vangeli apocrifi gnostici è spesso narrata una diversa Risurrezione, non reale, nella carne, ma allegorica o spirituale e pertanto sarebbero più attinenti alla realtà. Innazitutto bisogna considerare che tutti i cosidetti Vangeli apocrifi gnostici sono stati scritti in epoche successive, a partire dal secondo secolo, mentre i libri del Canone neo-testamentario sono stati scritti entro il primo secolo dell’era cristiana. I Vangeli apocrifi gnostici pertanto non sono stati scritti dagli Apostoli, ossia i testimoni oculari, o da persone che conoscevano i testimoni oculari, ma da persone che hanno dato una propria interpretazione sulla vicenda di Gesù e sulla sua Risurrezione. Queste persone hanno risentito di influenze gnostiche che gli hanno fatto descrivere Gesù come un “ponte” per raggiungere Dio attraverso la conoscenza. Nel Cristianesimo antico, invece, quello del Canone neo-testamentario, la salvezza si raggiungeva solo con il pentimento dei propri peccati e con la fede in Gesù Cristo. Per gli gnostici cristiani, inoltre, che derivavano le loro credenze dal neoplatonismo, era impossibile ammettere la Risurrezione nella carne. Secondo la credenza neoplatonica infatti il corpo sarebbe stato una prigione e alla morte l’anima immortale avrebbe lasciato il corpo. L’idea pertanto della Risurrezione era vista in termini negativi dai neoplatonici, che la consideravano come un ritorno alla “prigionia del corpo”.
Dopo aver analizzato alcune teorie che negano la Risurrezione, abbiamo verificato che non possono essere provate. Al contrario, i fatti storici descritti sostengono e avvalorano la tesi della veridicità della Risurrezione di Gesù Cristo.
Per concludere analizziamo il fatto che i primi cristiani non solo divulgavano la Buona Novella a parole, ma attuarono realmente un cambio di paradigma nelle loro stesse vite. Dimostrarono nei fatti di organizzarsi in comunità di credenti e di vivere nella piena condivisione dei loro beni, aiutandosi l’un l’altro. Inoltre rigettavano la violenza ed erano disposti addirittura a pregare per i loro nemici.
Il martirio di molti primi cristiani, a cominciare da quello di Stefano (nel 36 d.C., quindi pochi anni dopo la Risurrezione), prova che erano disposti ad anteporre il nome di Gesù Cristo alle loro stesse vite. Consideravano pertanto che Gesù Cristo fosse Dio, equiparandolo a Dio Padre. Nessuno andrebbe al martirio per affermare il nome di un semplice profeta.

YURI LEVERATTO
Copyright 2015

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1-Sia riprodotto integralmente.
2-Non si alteri il titolo, alcuna parte di esso nè le fonti bibliografiche.
3-Si aggiunga in vista dopo il titolo e alla fine dell’articolo: opera di Yuri Leveratto.

Note:
1-Neufeld, The Earliest Christian Confessions (Grand Rapids: Eerdmans, 1964) p. 47; Reginald Fuller, The Formation of the Resurrection Narratives (New York: Macmillan, 1971) p. 10 (ISBN 0281024758); Wolfhart Pannenberg, Jesus—God and Man translated Lewis Wilkins and Duane Pribe (Philadelphia: Westminster, 1968) p. 90 (ISBN 0664208185); Oscar Cullmann, The Early Church: Studies in Early Christian History and Theology, ed. A. J. B. Higgins (Philadelphia: Westminster, 1966) p. 64; Hans Conzelmann, 1 Corinthians, translated James W. Leitch (Philadelphia: Fortress 1975) p. 251 (ISBN 0800660056); Bultmann, Theology of the New Testament vol. 1 pp. 45, 80–82, 293; R. E. Brown, The Virginal Conception and Bodily Resurrection of Jesus (New York: Paulist Press, 1973) pp. 81, 92 (ISBN 0809117681) . see Wolfhart Pannenberg, Jesus—God and Man translated Lewis Wilkins and Duane Pribe (Philadelphia: Westminster, 1968) p. 90 (ISBN 0664208185); Oscar Cullmann, The Early church: Studies in Early Christian History and Theology, ed. A. J. B. Higgins (Philadelphia: Westminster, 1966) p. 66–66; R. E. Brown, The Virginal Conception and Bodily Resurrection of Jesus (New York: Paulist Press, 1973) pp. 81 (ISBN 0809117681); Thomas Sheehan, First Coming: How the Kingdom of God Became Christianity (New York: Random House, 1986) pp. 110, 118 (ISBN 0394511980); Ulrich Wilckens, Resurrection translated A. M. Stewart (Edinburgh: Saint Andrew, 1977) p. 2 (ISBN 071520257X); Hans Grass, Ostergeschen und Osterberichte, Second Edition (Gottingen: Vandenhoeck und Ruprecht, 1962) p. 96; Grass favors the origin in Damascus. Hans von Campenhausen, "The Events of Easter and the Empty Tomb," in Tradition and Life in the Church (Philadelphia: Fortress, 1968) p. 44; Archibald Hunter, Works and Words of Jesus (1973) p. 100 (ISBN 0334018064)
2- Annali XV, 44
3- Antichità Giudaiche XVIII, 63-64
4- Talmud Babilonese, (II-V sec.) trad. di I. Epstein, vol. III, 43a/281; cfr. Sanhedrin B, 43b
5- Luciano, De morte Peregrini., 11-13
6- Elenco delle apparizioni e indicazione del rispettivo libro del Nuovo Testamento dove sono citate (senza contare l'Apocalisse):

Prima apparizione a Maria Maddalena, Marco 16, 9-11; Giovanni 20, 11-18
Seconda apparizione a Maria Maddalena e l’altra Maria, Matteo 28, 9-10
Terza apparizione a Simon Pietro: Vangelo di Luca 24: 43; 1 Corinzi 15, 5
Quarta apparizione a due discepoli in Emmaus: Vangelo di Luca 24, 13-35
Quinta apparizione a Gerusalemme ai dieci: Vangelo di Giovanni 20, 19-25; Marco 16, 14; Luca 24, 33-43
Sesta apparizione a Gerusalemme agli undici: Vangeli di Giovanni 20, 26-31; 1 Corinzi 15, 5
Settima apparizione ai sette sul lago di Galilea, (Pietro, Tommaso, Bartolomeo/Natanaele, Giovanni, Giacomo e altri due), Giovanni 21, 1-25
Ottava apparizione a 500 in una sola volta, 1 Corinzi 15, 6
Nona apparizione a Giacomo (fratello di Gesú); 1 Corinzi 15, 7
Decima apparizione agli undici in Galilea, Matteo 28, 16-20; Marco 16, 15-18
Undicesima apparizione agli undici (Ascensione) a Gerusalemme: Luca 24, 44-53; Atti 1, 3-12
Dodicesima apparizione (uditiva e accecante): a Paolo: Atti 9: 3-9; Atti 22: 6-11; Atti 26: 12-18
Tredicesima apparizione: a Stefano: Atti 7, 55

mercoledì 23 settembre 2015

Il Cristianesimo antico: l’età patristica prenicena


Il Cristianesimo antico (o primitivo), è iniziato con la Risurrezione di Gesù, e si è diffuso da Gerusalemme a tutto il mondo antico attraverso l’azione instancabile degli Apostoli e degli altri seguaci di Cristo.
I documenti più significativi nei quali si descrive l’età apostolica, ovvero il periodo dalla Risurrezione alla morte di Giovanni, sono gli Atti degli Apostoli, le Lettere di Paolo, e le altre opere che conformano il Nuovo Testamento.
Tuttavia vi sono altri documenti, come la Prima Lettera di Clemente di Roma, dove si descrivono alcuni fatti dell’età apostolica, per esempio il martirio di Pietro e l’instancabile opera di evangelizzazione di Paolo. (1).
Durante il primo secolo d.C. i cristiani furono perseguiti duramente, in quanto non riconoscevano la “divinità” dell’imperatore e predicavano il Vangelo di Cristo, affermando che solo la fede in lui e il pentimento dei propri peccati avrebbero portato alla salvezza e quindi alla vita eterna. Tutto ciò era in forte contraddizione con la religione e con la cultura romana, la quale vedeva l’essere umano come un semplice animale sviluppato e non un essere sacro, al centro del progetto divino.
Le persecuzioni contro i cristiani iniziarono sotto l’imperatore Nerone. L’imperatore Vespasiano, dopo le guerre giudaiche, ordinò di ricercare tutti i discendenti della stirpe di Davide. In seguito Domiziano tornò a perseguitare i cristiani, con inaudita ferocia.
Dopo la morte di Giovanni, l’Apostolo di Gesù Cristo che visse più avanti nel tempo, avvenuta indicativamente il 100 d.C. ad Efeso, non vi era più alcuna persona che avesse conosciuto il Salvatore del mondo.
Il Cristianesimo però, malgrado le terribili persecuzioni romane, sopravvisse, anzi si diffuse “come il fuoco in un bosco secco”.
Come fu possibile?
Chi furono i sucessori degli Apostoli e quale era il loro stile di vita?
Perchè riuscirono a far accettare la nuova fede in Dio a masse di persone che fino a pochi anni prima riconoscevano come divina la persona dell’imperatore o adoravano idoli?
Innanzitutto bisogna considerare che le chiese cristiane che sorsero nel I secolo, e che poi si svilupparono nel secolo successivo, non erano organizzate in modo gerarchico, in pratica non vi era un “papa” o capo della Cristianità. Contrariamente a quanto si può pensare, il successore di Pietro, il cui nome era Lino, non era il capo della Chiesa cristiana, ma era solamente il capo della Chiesa cristiana di Roma.
Ogni città aveva il suo vescovo: Alessandria d’Egitto, Efeso, Antiochia, Gerusalemme, Olimpo, Filippi, Corinto, Cartagine, ecc.
L’indipendenza di ogni congregazione dalle altre, rendeva così impossibile che qualsiasi insegnamento erroneo, cioè diverso dalla parola del Signore, e che qualsiasi nuovo dogma, si estendesse alle altre comunità.
Inoltre i vescovi non erano stati educati al di fuori della comunità dove professavano, ma vi erano cresciuti all’interno, erano conosciuti da tutti e a tutti dovevano rispondere delle loro azioni.
Siccome la credenza cristiana esige dei cambi radicali non solo a parole, ma anche nei fatti, i vescovi che predicavano questo cambio di paradigma dovevano dimostrare nei fatti che loro per primi erano disposti a lasciare tutto per Gesù Cristo. Non solo dovevano dimostrare di vivere in modo integerrimo e mite, non solo dovevano abbandonare le loro proprietà materiali per donarle alla comunità, vivendo così in condivisione dei beni, ma dovevano essere disposti ad anteporre Cristo persino alle loro vite.
Ed è quello che fecero: infatti la maggioranza dei vescovi o dei saggi cristiani che vissero dopo la morte di Giovanni, nella cosidetta “età patristica”, morirono martirizzati, dando l’estrema testimonianza (martire significa testimone, in greco), di Gesù Cristo.
Mi riferisco per esempio a Clemente di Roma (morto nel 100 d.C.), Ignazio di Antiochia (35-107 d.C.), Policarpo di Smirne (69-155 d.C.), Giustino Martire (100-168 d.C.), Ireneo di Lione (130-202 d.C.), Ippolito di Roma (170-235 d.C.), Origene (185-254 d.C.), Cipriano (210-258 d.C.), Metodio di Olimpo (250-311 d.C.)
La loro principale forza dunque, fu la fede incrollabile in Cristo, e la dimostrarono col martirio.
Sul processo di nomina di un nuovo vescovo analizziamo uno scritto di Cipriano (2):

“Deve essere scelto in presenza della gente e deve dimostrare di essere degno e appropriato mediante un giudizio e una testimonianza pubblica. Per poter nominare un nuovo vescovo in modo appropriato, tutti i supervisori della stessa provincia devono riunirsi in una congregazione. Il vescovo deve essere scelto in presenza della congregazione, e tutti devono conoscere la sua vita e i suoi costumi.”

E sull’integrità e moralità dei cristiani leggiamo una parte di uno scritto di Ignazio (3):

E’ necessario pertanto, non solo essere chiamato cristiano, ma essere realmente cristiano…Se non siamo preparati per morire allo stesso modo del nostro Salvatore, la sua vita non sta in noi.

Un’altra caratteristica dei primi cristiani era la cosidetta separazione dal mondo. Vediamo a tale proposito i celebri passi del Vangelo di Giovanni (15, 18-19):

Se il mondo vi odia, sappiate che ha odiato me prima di voi. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che gli appartiene. Poichè invece non siete del mondo, ma io vi ho eletti dal mondo, per questo il mondo vi odia.

In effetti i primi cristiani dimostrarono di non essere interessati alle tentazioni del mondo. Non erano interessati al denaro, nè al potere. Vivevano nel mondo, eppure non ne facevano parte. Fu solo a partire dal cosidetto ibrido costantiniano che le cose cambiarono. Nei 280 anni che vanno appunto dalla Risurrezione fino all’editto di Milano, i cristiani vissero in contesti non frivoli, nè mondani, quindi piuttosto austeri. Non che non fossero felici, s’intenda, ma la loro allegria derivava dalla fede, e non certo dalle possessioni materiali o dal potere terreno. Vediamo a tale proposito due scritti di Erma, fratello di Pio, vescovo di Roma 

(4):
Infatti, quelli che hanno fede, e che però hanno anche le ricchezze di questo mondo, così sono. Quando arriva la prova, negano il Signore per mantenere le loro ricchezze e affari. Pertanto coloro i quali sono ricchi in questo mondo non possono essere utili al Signore a meno che prima di tutto si riducano le loro ricchezze. Nel vostro caso apprendete prima questo. Quando voi eravate ricchi eravate inutili. Però adesso siete utili e adatti alla vita.

(5):
Astenetevi dagli affari ed eviterete il peccato. Coloro che sono occupati con i loro affari commettono molti peccati, e i loro affari li distraggono, invece di servire il Signore.

Proprio la separazione dai piaceri mondani, quindi dall’apparire, dal mostrarsi, dal culto del possedere, non fecero che rafforzare la loro attitudine all’aiutare ed amare il loro prossimo, sia egli cristiano o non cristiano.
Vediamo a tale proposito una citazione di Giustino Martire (6):

Noi, che davamo valore ad acquisire ricchezze e beni materiali più che a qualsiasi altra cosa, adesso mettiamo ciò che abbiamo in un fondo comune e lo condividiamo con chiunque ne abbia bisogno. Ci odiavamo e ci distruggevamo tra di noi e non volevamo associarci con popoli di altre razze o paesi. Adesso, per Cristo, viviamo insieme a queste persone e preghiamo per i nostri nemici.

Ecco come Clemente di Alessandria descriveva il buon cristiano (7):

Impoverisce se stesso a causa dell’amore, assicurandosi che niente sarà più importante di aiutare un fratello in difficoltà, in special modo se sa che può sopportare la povertà meglio di lui. Allo stesso modo, considera il dolore dell’altro come il suo proprio dolore. E se soffre alcuna difficoltà non si lamenta.

Da questa e altre citazioni dei testi patristici risulta pertando che i cristiani del secondo e terzo secolo si dedicavano realmente al prossimo, non solo al prossimo cristiano, s’intenda.
Un’altra delle loro caratteristiche era il fatto che non solevano portare in un giudizio un loro “fratello”, ma tentavano di dirimere le controversie in modo pacato, con il dialogo e la comprensione.
Il loro spirito ultra-conservatore li portava inoltre a considerare che non ci dovesse essere nessuna nuova rivelazione dopo i testi del Nuovo Testamento. Ogni possibile cambio o aggiunta ai testi sacri era pertanto visto come un grave errore.
Come potevano vivere, i primi cristiani, all’interno di società, la romana e la greca, profondamente corrotte, sia dal punto di vista della moralità che da quello dei costumi sessuali?
I cristiani si trovavano letteralmente a nuotare contro corrente.
Innanzitutto il fatto stesso di non fare i sacrifici rituali agli dei pagani o di non bruciare incenso in onore del “genio” dell’imperatore, che era riconosciuto il “dio” protettore dei romani, era già di per sè una situazione che li esponeva alla morte. In effetti molte persecuzioni contro i cristiani ebbero origine proprio a causa dell’ostinato rifuto dei cristiani di sottoporsi a rituali per loro senza senso.
I primi cristiani erano però anche in contrasto con la cultura del tempo e non solo con la religione greca o romana.
Prendiamo per esempio il caso dell’aborto: nella Roma imperiale era una pratica comune e tollerata. La vita umana infatti non era considerata sacra, vista come il progetto di Dio, da preservare ad ogni costo.
L’essere umano era ritenuto solamente un animale che aveva sviluppato delle qualità intellettive particolari, ma non era considerato su un piano superiore agli altri esseri viventi.
Pertanto il feto poteva essere distrutto senza problemi, esattamente come alcuni schiavi venivano gettati nell’arena in balia di bestie feroci, solo per il divertimento delle masse.
I primi cristiani si opponevano tenacemente a tutto ciò. A tale proposito vediamo uno scritto di Tertulliano (8):

Nel nostro caso, giacché l’assassinio è assolutamente proibito in ogni sua forma, neppure potremmo uccidere il feto nell’utero. Fermare una nascita è semplicemente una forma più rapida di uccidere. Non importa se si uccide una vita appena nata o se si distrugge una vita che ancora non è nata.

I primi cristiani erano inoltre contrari all’istituzione della schiavitù, giacchè nell’insegnamento di Cristo tutti gli uomini sono liberi e nessuno deve prevalere o dominare l’altro.
Ecco una citazione di Lattanzio che sancisce questo concetto (9):

Davanti agli occhi di Dio, nessuno è schiavo, e nessuno è padrone. Siccome tutti abbiamo lo stesso Padre siamo tutti suoi figli. Nessuno è povero agli occhi di Dio eccetto chi non ha giustizia. Nessuno è ricco eccetto chi ha tante virtù.

Vediamo ora quale erano le credenze dei primi cristiani in relazione al battesimo. Credevano che il battesimo avrebbe purificato i peccati di una persona? Pensavano forse che senza battesimo un bambino sarebbe stato condannato?
Niente affatto. Per primi cristiani il battesimo non era considerato un rituale magico che potesse salvare una persona, a meno che non fosse accompagnato dalla fede in Gesù Cristo e dal vero pentimento dei propri peccati. In pratica il battesimo attuato senza fede, non aveva alcun valore. Quindi sostenevano che i bambini non battezzati che morivano nell’infanzia potevano salvarsi, a differenza del dogmatico Agostino di Ippona (354-430 d.C.).
Vediamo, a tale proposito un passo di Giustino Martire, nella sua opera “Dialogo con Trifone” (10):

Non c’è altro modo, (per ottenere le promesse di Dio), che questo: conoscere Cristo, bagnarsi nella fonte della quale parlava Isaia per la remissione dei peccati, e per ultimo, condurre una vita senza peccato.

Che cosa sostenevano i primi cristiani a proposito della salvezza?
Secondo la maggioranza degli storici, tra i quali lo statunitense David Bercot, durante il Cristianesimo antico, pertanto sia nell’era apostolica che nell’era patristica, si credeva che la fede in Dio fosse assolutamente essenziale per la salvezza e che senza la grazia di Dio, nessuno potesse salvarsi.
Tuttavia nel corso dei secoli sucessivi si svilupparono verbose diatribe tra i sostenitori della salvezza per fede e quelli della salvezza attraverso le opere. Secondo queste due tendenze quindi o la salvezza è un regalo di Dio, o si consegue attraverso le opere buone.
Queste polemiche però furono introdotte dal dogmatico Agostino di Ippona (354-430 d.C.), e in seguito da Martin Lutero (1483-1546), e non esistevano ai tempi del Cristianesimo antico.
I cristiani dei primi tre secoli, avevano chiaro che solo attraverso la fede assoluta si può ottenere la salvezza. Il loro ragionamento considerava naturalmente che una fede senza opere, non è vera fede. Ma a tale proposito vediamo alcune citazioni dei primi cristiani dell’età patristica.
Clemente di Roma per esempio (11):

E noi, dunque, che per Sua volontà siamo stati chiamati in Gesù Cristo, non siamo giustificati nè per la nostra sapienza o intelligenza o pietà o le opere compiute in santità di cuore, ma per la fede con la quale Dio onnipotente giustificò tutti sin dal principio. A Lui sia gloria nei secoli dei secoli. Amen.

Lo stesso Clemente però esorta a compiere opere buone (12):

Che faremo o fratelli? Cesseremo di fare il bene e trascureremo la carità? Giammai permetta il Signore che questo avvenga tra noi, ma con zelo ed ardore sforziamoci di compiere ogni opera buona.

Allo stesso modo consideriamo due citazioni di Policarpo, il discepolo di Giovanni. Nella prima riporta un celebre passo della Lettera agli Efesini di Paolo (13):

Molti desiderano entrare nella gloria del Signore, sapendo che: “Infatti siete salvi per la grazia, tramite la fede: ciò non proviene da voi, ma è dono di Dio; non dalle opere, perché nessuno se ne vanti “(Efesini, 2, 8-9).

Nella seconda citazione però lo stesso Policarpo esorta a fare opere di bene (14):

Colui il quale resuscitò dai morti, ci risusciterà, se facciamo la sua volontà e seguiamo i suoi comandamenti e amiamo quello che lui ama, mantenendoci lontano da ogni corruzione.

Vediamo ora il pensiero di Clemente di Alessandria in riferimento alla salvezza attraverso la fede (15):

Abramo non fu salvato per le sue opere, ma per la fede (Romani, 4, 3). Pertanto anche se realizzate buone opere adesso, ciò non vi aiuterà dopo la morte, se non avete fede.

Lo stesso Clemente però afferma (16):

Chi riconosce la Verità e si distingua per le sue opere buone otterà la vita eterna…Alcune persone recepiscono questo messaggio (Dio fornisce loro il potere necessario), però siccome danno poca importanza alle opere che conducono alla salvezza, non sono suficientemente preparati per conseguire l’obiettivo della loro speranza.

In quest’ultimo passaggio Clemente ribadisce che dopo “aver riconosciuto la Verità”, ossia dopo aver affermato la Verità in Cristo, il credente deve fare delle opere di bene per ottenere la vita eterna.
Da queste citazioni si evince pertanto che i primi cristiani davano priorità alla fede in Cristo per il raggiungimento della salvezza. Per loro non vi era affatto diatriba tra fede e opere, proprio perché se la fede è vera deve necesariamente includere anche le opere di bene.
Da tutto ciò si giunge alla conclusione pertanto che il mondo greco-romano e la cultura dei primi cristiani, derivata ovviamente dalla loro fede in Cristo, erano due pianeti opposti, che irrimediabilmente si sarebbero scontrati frontalmente.
Uno dei due sarebbe stato inglobato dall’altro. E così in effetti fu, il mondo antico greco-romano scomparve e fu trasformato nella civiltà cristiana, anche se essa, nel periodo dell’ibrido costantiniano, fu parzialmente annacquata e corrotta.

YURI LEVERATTO
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Bibliografia: Che parlino i primi cristiani, David Bercot

Note:
(1)Vi sono inoltre altre testimonianze che descrivono il martirio di Paolo, sotto l’imperatore Nerone, come la lettera ai Romani di Dionigi, vescovo di Corinto:
“Con una tale ammonizione voi avete fuso le piantagioni di Roma e di Corinto, fatte da Pietro e da Paolo, giacchè entrambi insegnarono insieme nella nostra Corinto e noi ne siamo i frutti, e ugualmente, dopo aver insegnato insieme anche in Italia, subirono il martirio nello stesso tempo”
O come la testimonianza di Gaio, vissuto a Roma al tempo del vescovo Zefirino. Egli, in uno scritto contro Proclo, capo della setta dei Catafrigi, dice a proposito dei luoghi dove furono deposte le sacre spoglie degli apostoli:
“Io ti posso mostrare i trofei degli apostoli. Se andrai al Vaticano o sulla via Ostiense, vi troverai i trofei dei fondatori della Chiesa”.
Queste due ultime testimonianze sono tratte dalla “Storia ecclesiastica” di Eusebio.
(2) Cipriano, Lettera alla congregazione della Spagna (epistola 67, capitoli 4, 5)
(3) Ignazio, Lettera ai Magnesi, cap. 5
(4) Erma, Il pastore di Erma, tomo 1, vis.3, cap.6
(5) Erma, Il pastore di Erma, tomo 3, sim.4
(6) Giustino, prima apologia, cap.14
(7) Clemente di Alessandria, Miscellanea, tomo 7, cap. 12
(8) Tertulliano, Apologia, cap.9
(9) Lattanzio, Istituzioni divine, tomo 5, cap.15/16
(10) Giustino, Dialogo con Trifone, capitolo 44
(11) Prima Lettera di Clemente, cap. 32, 4
(12) Prima Lettera di Clemente, cap. 33, 1
(13) Policarpo, Lettera ai Filippesi, cap. 1
(14) Policarpo, Lettera ai Filippesi, cap. 2
(15) Clemente, Miscellanea, tomo 1, cap. 7
(16) Clemente, uomo ricco, cap. 1, 2