giovedì 22 novembre 2012

La morale e l’organizzazione sociale nei Machiguenga


I Machiguenga (pron.: maciguenga) vivono nel Perú sud-orientale, nelle valli del Rio Urubamba (regione di Cusco) e nelle valli del Rio Alto Madre de Dios. Parlano una lingua del ceppo arawak, e asommano a un totale di quasi 9000 persone.
La prima volta che ho avuto contatto con questi indigeni è stato nel 2008, quando uno di loro mi ha accompagnato ai petroglifi di Pusharo, un magistrale intaglio nella roccia del quale nessuno di loro sa spiegarne l’origine o il significato.
Nella loro lingua la parola “Machiguenga” significa “gente”.
Tutti quelli che non rientrano nella loro etnia sono considerati “altri” sia che siano altri indigeni (come i Mashco Piro, i Nahua o gli Ashaninka), peruviani o stranieri.
Secondo gli studiosi più conosciuti, a partire dal Padre Vicente de Cenitagoya, l’uomo Machiguenga non ha il concetto di territorio, di nazione e tantomeno di patria così come noi occidentali lo conosciamo.
E vero che riconoscono di appartenere ad un gruppo umano che parla la stessa lingua e ha gli stessi usi e costumi, ma il concetto di capo, o leader, è per loro diverso da come lo concepisce l’uomo occidentale.
Non avendo un leader, vivono raggruppati in famiglie allargate, ma anche qui non vi è un vero e proprio capo, più che altro vi è un saggio che viene consultato in caso di problemi o dispute.
Secondo il Padre Andres Ferrero, se un gruppo di Piros del basso Urubamba attaccassero un gruppo di Machiguenga, altri Machiguenga del Camisea non farebbero assolutamente nulla, Nessuno si organizzerebbe per vendicare la morte di gente della loro stessa cultura o stirpe. Perché?
Sembra che la mentalità della gente di quest’etnia sia fortemente individualista. Mancando del tutto il concetto di patria o di nazione, manca anche il concetto di guerra, salvo rarissimi casi.
Questo gruppo umano vive in capanne, al massimo due o tre, dove sta la famiglia allargata. Non formano villaggi. L’immensità della selva che circonda i loro insediamenti fa si che siano pochi o nulli i motivi di disaccordo tra di loro o le dispute. E se vi fossero, di solito succede che il capo famiglia fa armi e bagagli e va a vivere sulle rive di un altro fiume, lontano dal motivo del litigio.
Si capisce pertanto il perché, all’interno della società Machiguenga, non ci sia un presidente, ne documenti necessari per individuare, e quindi catalogare una persona.
Non vi sono nemmeno delinquenti, salvo rarissimi casi come Huaneco, un individuo violento che è stato descritto dal Padre Polentini. Non essendoci carceri, questi individui vengono isolati, lasciati soli e non vengono aiutati.
Nella lingua Machiguenga esiste un vocabolo che si applica al capo: itingami, che si usa per indicare il concetto del “più importante”. (per esempio, fiume principale: otingamá).
Però il capo non è colui che comanda, ma è colui che ha autorità, che sa convincere con la parola, che domina il problema e lo risolve, ed è solo a capo della famiglia allargata, non è a capo di un clan, ne tantomeno dell’intera etnia. Inoltre coloro che vivono nella famiglia allargata sono liberi di dissentire con il “capo” e, se vogliono, sono liberi di andarsene e organizzare la propria vita altrove: la selva è grande.
Anche il concetto di patria non esiste tra i Machiguenga. Quasi nessuno di loro combatterebbe per difendere la loro terra ed in questo sono differenti per esempio dai Matses della conca del Rio Yavarí che fino al 1985 hanno combattuto con ogni mezzo per difendere il loro territorio.
Se i Machiguenga vengono molestati, molto probabilmente si sposterebbero più in lá.
Nella lingua dei Machiguenga esiste il concetto di morale, del bene e del male, si dice: kametite. E’ una delle poche parole che esprime un concetto generico perché di solito la lingua dei Machiguenga è fortemente specifica.
Certamente per loro vi è un modo giusto e ingiusto di comportarsi, ma sembra che non rispondano ad una legge superiore o divina, che è alla base della nostra cultura occidentale. La morale Machiguenga sembra essere sostanzialmente laica. E’ una morale sociale, non religiosa.
La più importante delle norme non scritte è “non uccidere”. L’omicidio è infatti considerato il maggiore dei delitti.
Però è risaputo che tra i Machiguenga vengono abbandonati gli infermi, gli anziani decrepiti e i bambini deformi. Anche se non è omicidio diretto, abbandonare nella selva una persona in difficoltà equivale a sopprimerla, ma quest’atto non è dettato da cattiveria, piu che altro sono le difficili condizioni di vita che lo impongono.
Già c’è poco cibo sufficiente per quelli che stanno bene e possono cacciare, quindi chi è in difficoltà sarebbe un peso insostenibile per un determinato gruppo di persone.
Per quanto concerne l’uguaglianza tra i sessi, ancora oggi il Machiguenga considera la donna come un essere inferiore.
Per quanto riguarda il matrimonio, di solito vige una stretta norma esogamica, ovvero il giovane deve sposarsi una donna che non ha alcun vincolo di parentela con la sua famiglia. La nuova famiglia risiede dove viveva la donna.
La poligamia è frequente anche se è spesso fonte di dissidi tra le donne. Di solito l’uomo è colui che tenta di pacificare gli animi e dissimulare se ha una preferita.
Spesso si notano anche casi di poliandria, specie nella zona di Pantiacolla, per la scarsità di donne. In questi casi il Machiguenga, siccome ha paura che la sua donna lo lasci, o per ottenere dei favori, tollera che un altro uomo la possieda carnalmente.
E’ in pericolo l’esistenza dei Machiguenga? E quale sarà il loro futuro?
Apparentemente, con la creazione del Parco Nazionale del Manu e del Santuario Nazionale del Megantoni, aree immense dove loro possono circolare liberamente, i Machiguenga dovrebbero essere al sicuro e potrebbero conservare indefinitamente la loro cultura.
Le minacce però sono costanti e vicine: Nella zona del Rio Camisea, la loro esistenza come “entità culturale distinta” è già in pericolo, in quanto si stanno abituando alla presenza dell’impresa che estrae il gas dal loro territorio (PlusPetrol). Nella zona del lote 88, (territorio che si sovrappone alla riserva Nahua-Nanti), sta già operando l’impresa PlusPetrol, insieme a Repsol e Hunt Oil. Quest’ultima impresa poi, ha annunciato che sfrutterà il lote 76 ubicato nella terra degli indigeni Huachipaery, nelle adiacenze del Parco Nazionale del Manu, dove vivono i Machiguenga.

YURI LEVERATTO
Copyright 2014

giovedì 4 ottobre 2012

L’origine di Cristoforo Colombo: i documenti ufficiali



Oggigiorno nessuno studioso serio dubita sul fatto che Cristoforo Colombo sia nato nella Repubblica di Genova. 
Tuttavia vi sono ancora molti pseudo-ricercatori, che sulla base di notizie false o congetture sostengono che il famoso navigatore avesse tutt’altra origine.
Vediamo innanzitutto cosa scrisse il grande storico spagnolo Gonzalo Fernandez de Oviedo nella sua Historia General y Natural de las Indias:

Cristobal Colon, secondo come ho potuto saper da uomini della sua nazione, è nato nella provincia della Liguria, che è in Italia, e nella quale vi si trova la città di Genova: alcuni dicono che è di Savona, e altri di un piccolo villaggio che si chima Nervi, che sta nella parte di Levante rispetto a Genova e che vi dista due leghe, nella costa che da sul mare; altri dicono che nacque in un villaggio che si chiama Cugureo, sempre vicino alla città di Genova.

Uno dei più grandi storici del XVI secolo pertanto, indica nella Repubblica di Genova (anche se non fornisce il luogo preciso), il territorio di origine del grande navigatore.
Ma andiamo ai documenti ufficiali che provano indiscutibilmente l’origine genovese di Cristoforo Colombo.
In totale sono più di sessanta i documenti che si riferiscono a Colombo o ai membri della sua familia.
Due documenti si riferiscono al nonno di Crisoforo, Giovanni, nato a Moconesi nei pressi di un’antica via che da Piacenza conduce a Genova. Trentacinque documenti si riferiscono al padre Domenico, nato a Quinto (Genova).
Tre documenti si riferiscono alla madre, Susanna Fontanarossa.
Il più importante tra questi scritti è il cosidetto Documento Assereto, trovato da Ugo Assereto nell’archivio di Genova nel 1904, tra gli atti del notaio Girolamo Ventimiglia.
Nel luglio del 1478 la casa Centurione di Genova incaricò Cristoforo Colombo di comprare una partita di zucchero nell’isola di Madeira. Però il rappresentante dei Centurione in Portogallo, Paolo de negro non invió a Colombo la somma necessaria per l’acquisto.
Circa un anno dopo Lodisio Centurione volle appurare le responsabilità dell’accaduto davanti ad un notaio a Genova.
In questo documento, che risulta essere stato scritto il 25 agosto 1479, Colombo appare come testimone nella disputa tra Lodisio Centurione e i fratelli Paolo e Cassano de Negro.
Il futuro ammiraglio dichiara, sotto vincolo di giuramento, di essere cittadino genovese:

“Cristoforus Columbus, civis Januae”

ossia:

“Cristoforo Colombo, cittadino di Genova”

Coloro i quali contrastano la genovesità dell’Ammiraglio del Mare Oceano, sostengono che il Cristoforo Colombo figlio di Domenico e di Susanna Fontanarossa, non ha nulla a che vedere con il Cristóbal Colon, Almirante del Mar Oceano.
Di solito aggiungono, essendo male informati, che Cristóbal Colon non avrebbe mai scritto nulla sulle sue origini genovesi.
In generale Colombo, fin da quando si stabilì in Spagna, non rinnegò mai le sue origini, però tentò di divulgarle il meno possibile, perché il semplice fatto di essere straniero ostacolava i suoi progetti.
Una delle prove del fatto che Cristoforo Colombo e Cristóbal Colon siano stati la stessa persona é proprio il Documento Assereto, che oltre a sancire la genovesitá di Cristoforo Colombo, prova il fatto che lui stesso si trovasse a Madeira nel 1478. Ma è assodato che Cristóbal Colon stesso si trovasse a Madeira in quegli anni, isola dove conobbe la sua prima sposa, Felipa Moniz Perestrelo.
Comunque in due scritti il Colon ormai ammiraglio menziona le sue origini.
Nello scritto “Institución de Mayorazgo”, il 28 febbraio 1498 ordina al figlio Diego di farsi carico del mantenimento di un membro della famiglia a Genova:

“Que tenga allì casa y mujer…como persona legada a nuestro lineaje, pues de aì salì y en ella nazì”

Ossia:

“Che possa avere casa e sposa…siccome è una persona del nostro lignaggio, in quanto da li sono partito e in quella città sono nato”.

Il secondo documento che lega indissolubilmente il Colombo genovese al Colon Almirante è una lettera ai Protettori delle Compere di San Giorgio (Genova), del 2 aprile 1502:

“Bien que el cuerpo ande acà, el corazón está allí de continuo”.

Ossia:

“Anche se il corpo viaggia per di quà, il cuore sta là continuamente”.

Un ultimo, importante documento è l’atto del notario Giovanni Battista Peloso davanti al quale comparvero i tre figli di Antonio Colombo (fratello di Domenico, padre di Cristoforo).
Matteo, Amighetto e Giovanni dichiararono di compromettersi a dividere in parti eguali i costi che avrebbe dovuto sostenere Giovanni per andare a trovare suo cugino, Cristobal Colon, almirante del rey de España.

YURI LEVERATTO
Copyright 2014

Bibliografia:
Nuova raccolta colombiana: i documenti genovesi e liguri A.Agosto

Webgrafia:
http://www.treccani.it/enciclopedia/cristoforo-colombo_%28Dizionario-Biografico%29/